9 Febbraio 1972
Non pare anche a voi, visitatori carissimi, che arrivando a questa benedetta sede, dove è onorata la tomba dell'apostolo Pietro, e dove perciò s'impernia il cardine della Chiesa cattolica, e che qui un'ora sostando insieme a chi, tanto indegnamente, ma legittimamente a quel beato apostolo è successore, non pare anche a voi, diciamo, che il panorama del mondo, del mondo umano, si distenda davanti agli occhi dell'anima?
non pare anche a voi che la scena amplissima, affascinante ed inquieta della nostra società, della sua storia mutevole, del suo dramma continuo, si presenti sotto un aspetto particolare, quello cioè del suo rapporto con questo punto focale della religione cattolica?
quanti, quanti volti umani, da ogni punto del globo vediamo rivolti verso questa direzione, quanti occhi fissi verso questo faro della fede?
quale singolare esperienza offre allo spirito la scoperta di questa convergenza nella fede, nella speranza, nella carità, cioè nell'essenza della nostra religione, che ci fa gustare l'onda corale dei fratelli in comunione di preghiera e di vita con noi?
come sentiamo il prodigio, che veramente sa di mistero, dell'unità coincidente con l'universalità!
non pare forse che la visione assuma l'aspetto d'una sconfinata raggiera, dove Cristo è unico centro di luce e di vita, circondato dall'umanità che prende forma e splendore al riverbero del lume divino?
Contemplate, gustate, ricordate, se lo Spirito Santo ve ne dà la grazia, questa felice e polare impressione: questo è un quadro del mondo, messo a fuoco per l'obiettivo del cuore.
Ma per chi bene osserva lo spettacolo, per stupendo che sia, non appare perfetto, non è totale.
Anzi esso presenta dei vuoti immensi; zone opache occupano la maggior parte del globo, non solo geografico, ma antropologico; umano, cioè, spirituale e sociale; e non solo in regioni lontane, ma anche in paesi vicini, anzi in sedi, dove la nostra stessa vita si svolge.
La fede cattolica non copre tutta la faccia della terra, ma nelle tavole statistiche solo qualche campo luminoso, ma incompleto; si vede quale terreno disponibile all'azione missionaria attenda ancora l'annuncio del Vangelo.
Per di più risaltano vasti territori, geografici e sociologici, dove al Vangelo è precluso l'ingresso.
Sembra che da molte parti salga ancora la voce udita in sogno dall'apostolo Paolo, dal missionario per eccellenza: « Vieni ad aiutarci! » ( Cfr. At 16,9 ); e sembra che con misteriosa e desolata amarezza Paolo stesso ci ricordi gli abissi esistenti nello spazio della salvezza: « non di tutti è la fede »! ( 1 Ts 3,2 )
E ancora. Ed è questo l'aspetto che noi osiamo presentarvi, anche in questo momento di unione e di gaudio: quale disinteresse per la fede cattolica, per la religione in genere, per la pratica della vita cristiana è un po' dappertutto diffuso e va guadagnando la mentalità moderna!
Quale difficoltà incontra la verità del Vangelo, quale opposizione l'insegnamento della Chiesa, Madre e Maestra!
Com'è facile comprendere, questo colossale e complicato fenomeno, per capirlo e tanto più per affrontarlo, esige una analisi accuratissima, che noi certo non intendiamo svolgere qui.
Intendiamo soltanto richiamare su di esso la vostra attenzione, quale segno della vostra partecipazione alla nostra sofferente, ma insonne sollecitudine apostolica.
Perché oggi tanta noncuranza religiosa?
perché tanta insensibilità spirituale?
perché tanta avversione all'osservanza della vita ecclesiale?
Quali mezzi, quale sapienza, quale amore impiegare per diffondere e per rendere accetto e gradito il nome di Cristo?
È il problema della costituzione pastorale « Gaudium et Spes ».
Sarebbe cosa saggia, noi crediamo, e degna della vostra perspicacia e della vostra fedeltà tenere presente questa interiore domanda: quali sono le ragioni dell'indifferenza e dell'ostilità religiosa?
Ciascuno può dare alla inchiesta di questa diagnosi non una, ma molte risposte.
Noi stessi, che ci poniamo continuamente questa riflessione, e che anche in queste udienze del mercoledì abbiamo cercato di darvi qualche frammentaria spiegazione, ci accorgiamo del bisogno di ben altra indagine, che non quella che viene spontanea ad un'osservazione immediata e fugace.
Esistono, per fortuna, tanti libri a questo riguardo.
Ma perché allora di nuovo ne parliamo?
Ne parliamo, primo, per stimolare in ciascuno di noi la vigilanza.
Si tratta d'un'alluvione d'irreligiosità, che tutti ci minaccia.
Diremo con Gesù Cristo: « vigilate e pregate, affinché non siate sedotti dalla tentazione » ( Mt 26,41 ).
La vita religiosa non può più svolgersi, come una volta, su le rotaie tranquille della consuetudine; non può più sentirsi sicura dalla protezione del costume sociale e della legge civile; non può più reggere con qualche aforisma di buon senso; deve mantenersi e affermarsi per via di convinzione e di istruzione ( la via della catechesi almeno, tanto in onore nella cristianità primitiva ), per via di coscienza, per via di coerenza, ed anche per via di coraggio e di sacrificio.
Oggi, per essere cristiani, bisogna volerlo essere.
La grazia, cioè la possibilità di esserlo con facilità e con gaudio, non ci manca; ma occorre entrare nella pedagogia e nell'economia della grazia, affinché l'esperimento vittorioso riesca.
E secondo. Ne parliamo perché ci sembra che un'obiezione generale alla vita religiosa, a quella nostra, cattolica, specialmente, oggi sia quella utilitaria: la religione, a che cosa serve?
A che cosa serve credere, pregare, andare in Chiesa, eccetera?
non è superfluo?
non è mitico?
non è antiquato?
non è noioso?
non è oneroso?
La mentalità moderna è, in fondo, persuasa dell'inutilità della fede; la cultura moderna sembra supplire magnificamente all'integrazione spirituale, che prima si attingeva dalla fede.
L'educazione moderna è antropocentrica, mentre la religione è teocentrica: è un'alienazione.
Questa mentalità, fondata sull'interesse soggettivo e personale, è così diffusa e così padrona dell'uomo moderno, che è lecito domandare se la fede non possa usufruire di questa attitudine egocentrica per farsi accogliere dallo spirito umano, non d'altro occupato che di se stesso.
Cioè: può la fede presentarsi all'uomo come un suo proprio interesse?
Noi intravediamo l'ambiguità della risposta nell'equivoca definizione di ciò ch'è nostro interesse.
Quale inganno sarebbe la fede, e quale deformazione essa subirebbe, se la religione si facesse accogliere « per interesse » temporale, economico, terreno, per un vantaggio puramente egoistico!
Ma non sarebbe forse conforme alla psicologia contemporanea e alla pedagogia di tutti i tempi presentare la fede sotto l'aspetto dell'utilità superiore per introdurla nel cuore degli uomini?
( Non ha scritto S. Agostino il suo primo libro dopo l'ordinazione sacerdotale intitolato De utilitate credendi? ).
E non è mediante il gioco che si attrae e si educa il fanciullo?
Diciamo di più: non è sotto questa prospettiva personale, soggettiva, sommamente utilitaria, che il Signore stesso ha presentato il suo regno: quando ha detto: « Che cosa giova all'uomo conquistare anche tutto il mondo, se poi perde l'anima sua? » ( Mt 16,26 )
E non è oggi la salvezza l'espressione sintetica della religione?
La teologia odierna gravita nell'orbita dell'interesse, del supremo interesse umano, la salvezza dell'uomo, la salvezza del mondo?
Un dubbio sorge a questo punto, la cui soluzione tutto c'insegna: è lecito, è giusto vedere la religione sotto questo angolo visuale, dell'utilità umana?
Risposta: sì, fratelli, per merito di questa grande e centrale e felice rivelazione: Dio è beatitudine; Dio è la nostra beatitudine.
Dio ci ama.
Dio si è interessato di noi, fino a farsi in Cristo nostro fratello, anzi nostro salvatore; « tanto Egli ha amato il mondo, da dare per esso il suo Figlio unigenito » ( Gv 3,16 ).
Siamo nella sfera dell'amore, se entriamo nella sfera della fede.
Si è parlato tanto di amore predicando la devozione cristiana.
Ma forse non sempre abbiamo avvertito noi stessi e fatto agli altri avvertire quale incantevole scoperta sia quella dell'amore di Dio per noi, e com'esso penetri e urga alle porte dei nostri desideri e dei nostri dolori per farci risentire il bisogno e la felicità d'essere cristiani, cioè uomini veri, uomini salvi ( Cfr. Os 11,1ss; Ger 31,3; Mt 11,28 ).
Qui, come potete comprendere, non finisce il discorso.
Qui comincia, ma non per qui, per la vita.
Con la nostra Apostolica Benedizione.