4 Ottobre 1972
Noi ripetiamo: la Chiesa, o meglio noi tutti che abbiamo la fortuna di appartenere alla Chiesa, abbiamo bisogno di accrescere la nostra fede ( Cfr. Ef 4,15 ): questo per vivere da credenti, da fedeli, da cristiani, coerenti al nostro battesimo, alla nostra professione cattolica, capaci di fronteggiare le negazioni e le confusioni di questo nostro tempo, che assale la nostra osservanza religiosa, fino nel suo intimo senso e nel suo naturale orientamento, con le sue certezze scientifiche e con la sua polarizzazione antropologica, cioè tutta rivolta all'uomo, orizzontale, come oggi si dice, secolarizzata e chiusa nei confini dell'esperienza vissuta e del tempo, della storia.
E ancora ci chiediamo: è possibile questa riaffermazione della nostra fede nelle condizioni in cui ci troviamo?
Ecco il problema che ci deve tutti interessare, dopo avere riconosciuto la necessità della fede: la possibilità della fede.
È possibile la fede, anzi la crescita della fede?
È una domanda molto grave, alla quale tutti siamo invitati a rispondere.
Il che vuol dire: tutti siamo invitati a tentare una duplice indagine.
Vi accenniamo appena: l'indagine circa le difficoltà a credere, oggi specialmente, e l'indagine circa la facilità a credere, che pure il nostro tempo, quasi a nostra sorpresa, parimente ci offre.
Ciascuno provi a riflettere sopra questo duplice aspetto dell'immensa questione.
A titolo di stimolo alla nostra ricerca, per elementare ch'essa sia, diremo dapprima che all'atto di fede concorrono tre coefficienti:
Primo, l'elemento oggettivo, cioè le verità della fede, la dottrina, il « credo »; e questo coefficiente è spesso manchevole per difetto di istruzione.
Le crisi di fede sono tante volte dovute all'ignoranza.
Neghiamo ciò che non conosciamo.
Ora questo non è serio, non è degno di persone moderne, istruite e intelligenti, specialmente in ordine alla religione, la quale, volere o no, si pone come criterio decisivo per la guida della vita e per la misura dei suoi valori.
Potremo incontrare molti, moltissimi problemi, anche su questo sentiero della conoscenza religiosa; ma questo, più che arrestare il nostro studio, dovrebbe sollecitarlo a migliore approfondimento, anche per evitare che giunga a noi, come un rimprovero, l'eco della voce dell'antico apologista cristiano, Tertulliano, il quale fino alla fine del secondo secolo, scriveva circa la religione cristiana, allora ufficialmente avversata e perseguitata: ne ipnorata damnetur, non sia condannata per ignoranza ( Tertull. Apol. 1 ).
E lo studio onesto e perseverante della dottrina della fede avrà certamente, di per sé, un primo risultato positivo, quello di mostrare all'intelligenza e allo spirito dell'uomo moderno non l'estraneità, ma l'attraente affinità delle verità della nostra religione ( nonostante il mistero che le avvolge ), con le aspirazioni profonde dell'uomo stesso.
Secondo: l'elemento soggettivo, l'accettazione della Parola di Dio, cioè del « credo », da parte dell'uomo, che per ciò stesso diviene credente.
È questo l'aspetto specifico della fede; ed è quello oggi più compromesso e più reagente contro l'adesione autentica alla dottrina della fede.
Perché? perché la mentalità contemporanea è più che mai prevenuta contro una forma di conoscenza basata sulla parola altrui e non sull'esperienza propria, effettiva o soltanto possibile che sia.
L'argomento fondato sull'autorità della parola altrui, sulla testimonianza e non sulla verifica razionale, è certamente il più debole; e così dicevano, da sempre, anche i maestri della nostra scuola ( Cfr. S. TH. I, 1, 8 ad 2 ).
Prevale oggi la conoscenza razionale e scientifica, anzi fisica e quantitativa e sperimentale, nella quale la mente umana si sente soddisfatta e anche più di quanto sia, a buon diritto, consentito di esserlo; si sente sicura per un genere di certezza connaturato alla mente umana ( Cfr. P. H. Simon, Questions aux savants, Seuil, Paris ).
E adagiandosi a questo livello della conoscenza, l'intelligenza umana non si accorge d'aver compiuto una grande abdicazione, quella dell'impiego della sua facoltà alla conquista della verità superiore, cioè essenziale e metafisica; livello questo, veramente umano e spirituale, dove l'incontro con Dio, sia naturalmente raggiungibile, sia, e tanto più, per via di rivelazione, può verificarsi in certa adeguata misura.
In altri termini: l'uomo moderno manca di quella sana formazione filosofica sufficiente, la quale, anche se limitata a quel grado a tutti accessibile che si chiama il senso comune, è indispensabile per accedere al colloquio col mondo religioso.
La nostra mentalità, già dicevamo, non è « in fase » idonea e felice per captare le onde misteriose del linguaggio divino.
Ancora una volta ricordiamo la esortazione di Pascal: dobbiamo fare lo sforzo di pensare bene.
Vedremo allora che l'argomento d'autorità, sul quale si fonda la fede, trae la sua forza dalla credibilità di colui che lo impiega; nel nostro caso, Dio; e perciò diventa fortissimo anche se rimane nella sfera delle verità misteriose ( Cfr. S. TH. cit. ).
E non ci sorprenderà quindi d'incontrare un terzo elemento, un coefficiente a noi estraneo e superiore, che interviene nel nostro spirito per abilitarlo all'atto di fede, il soffio dello Spirito di Cristo, la grazia ( Benz.-Sch. 1525 ss.; 1553-1554 ss. ).
La fede è un dono di Dio, è una virtù possibile all'uomo mediante un impulso soprannaturale, che non ci mancherà, se noi ci porremo in condizione di accoglierlo.
Perciò: desiderio di Dio, umiltà, preghiera, attesa fiduciosa, ed anche esperienza spirituale quale la partecipazione alla vita di fede della comunità ecclesiale, domestica o pubblica che sia, ci spianeranno le vie alla fede, e la renderanno non solo possibile, ma facile e vittoriosa.
È il nostro voto per noi tutti.
Con la nostra Benedizione Apostolica.