4 Aprile 1973
Non ci dispiaccia rivolgere ancora una volta il nostro pensiero al fatto che la Chiesa invita i suoi figli a trascorrere il periodo di tempo precedente la celebrazione della Pasqua, il periodo quaresimale, con uno stile particolare di vita, uno stile austero, intenso, tutto rivolto a un cambiamento interiore di noi stessi, e ad un avvicinamento religioso a Dio, a Cristo, al mistero della nostra salvezza.
È la quaresima, che possiamo riscontrare simboleggiata nella primavera della natura, sottoposta ad una rigorosa coltivazione, e pervasa da una vitalità nuova, ornata di fronde fresche e fiorenti, piene di promesse per la stagione futura.
Non possiamo trascurare una osservazione elementare e relativa ad aspetti essenziali della vita cristiana: l'aspetto della severità, dell'austerità, e l'aspetto della letizia, della felicità; l'uno piuttosto relativo all'uomo istintivo, naturale, all'« uomo animale », come lo definisce S. Paolo ( Cfr. 1 Cor 2,14 ); l'altro invece all'uomo spirituale, già avviato alla scuola della fede e animato dall'influsso della grazia.
Fissiamo un istante l'attenzione sul primo aspetto, e procuriamo d'essere sinceri nella comprensione della nostra vocazione cristiana: la vita cristiana non può prescindere da un'esigenza di disciplina ascetica.
Ed è questa esigenza che ci è richiamata principalmente nei quaranta giorni di preparazione alla Pasqua.
Cominciamo col ricordare che non si tratta di una raccomandazione facoltativa, ma d'un'esigenza inderogabile: « se voi non farete penitenza, dice Cristo, voi perirete tutti » ( Lc 13,5 ).
Diverse le forme, diversa la durata, diversa l'applicazione alle condizioni concrete della esistenza di ognuno; ma su ognuno incombe l'obbligo d'una norma ascetica, di una pedagogia « penitenziale ».
Dare le ragioni di questo carattere sgradevole, almeno all'apparenza, almeno ai principianti, della vita cristiana sarebbe altrettanto facile, che lungo; e sarebbe oggi polemico nei confronti di quanti fanno della condotta permissiva, della vita senza obblighi, senza precetti, senza proibizioni, della vita facile, spontanea, istintiva, passionale l'ideale programma dell'uomo affrancato dalle tradizioni moralistiche e autoritarie del passato.
Limitiamoci ad affermare che la vita cristiana invece è grave e forte.
Non pigra, non molle, non imbelle, non edonistica.
Essa prende la sua immagine dalla ginnastica dell'atleta; leggete ancora S. Paolo: « Non sapete che quelli che corrono nello stadio, corrono tutti, ma uno solo riceve il premio?
Correte anche voi così da riceverlo … » ( 1 Cor 9,25; cfr. 2 Tm 2,4ss; 2 Tm 4,7 ).
La vita cristiana è un'autodisciplina; esige una padronanza di sé, esige uno sforzo continuo, come lo esige un equilibrio, un ordine, una milizia, un progresso, un'ascensione …
Anche nell'ambito naturale una disciplina di crescita, di sviluppo, di dominio di sé è indispensabile; entra nelle regole fondamentali del nostro benessere.
Noi, discepoli della scuola evangelica, abbiamo un motivo nuovo e soverchiante che ci chiama al dovere ascetico:
noi siamo peccatori, almeno in potenza;
noi dobbiamo prevenire o riparare i nostri falli;
noi dobbiamo espiare le nostre mancanze;
noi dobbiamo castigare il disordine esistente o rinascente nel nostro essere devastato dal peccato originale e attuale;
noi abbiamo bisogno di qualche pena redentrice.
E infine abbiamo obbligo e desiderio di seguire i passi del nostro Maestro, che disse: « Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinunzi a se stesso; prenda la sua croce e mi segua » ( Mt 16,24 ).
L'imitazione di Cristo: quale programma!
Sorge spontanea la domanda circa il modo di realizzare tale programma.
Tutta l'educazione morale e spirituale cristiana risponde a tale domanda, sempre facendo l'apologia della dignità e della statura dell'uomo vero, e sempre ribadendo la necessità della penitenza pedagogica e espiatrice propria di tale programma.
E nessuno potrà dimenticare l'importanza che in esso ha avuto un esercizio penitenziale classico: il digiuno.
Questo meriterebbe una storia, che risale nei secoli, e che ha per noi il suo episodio saliente nei misteriosi quaranta giorni e quaranta notti del digiuno di Cristo dopo il suo battesimo nel Giordano per mano di Giovanni il Precursore, prima ch'Egli iniziasse la sua predicazione del regno di Dio.
E la storia del digiuno, fin dai primi secoli dell'era cristiana ( Cfr. At 13,3; At 14,22; Didaché 1,4; Tertull. De Paenitentia 9; De Ieiunio 17: ML 2, 978; etc. ), si inserisce nella prassi della vita religiosa, diventa costume di popolo osservante, e arrivando fino a noi tanto si attenua che scompare come obbligo, salvo per due giorni, voi sapete, il mercoledì delle ceneri, primo giorno di quaresima, e il venerdì santo.
Scompare, per quanto riguarda i cibi materiali, ma non scompare per quanto riguarda altre pratiche di penitenza, la preghiera specialmente e le opere di carità.
Vorremmo che aveste a rileggere la nostra Costituzione Apostolica Paenitemini, del 1966, dove questo tema è esposto con cura sensibile alle presenti condizioni del nostro mondo.
Noi ora ci limiteremo a rileggervi una citazione dell'antico e grande Origene; ecco: « vuoi tu ch'io ancora ti mostri quale digiuno tu devi praticare?
Digiuna ( cioè astieni te stesso ) da ogni peccato;
non prendere alcun cibo di malizia;
non concederti alcun banchetto di voluttà;
non inebriarti d'alcun vino di lussuria.
Digiuna dalle azioni cattive, astieni te stesso dai cattivi discorsi; rifuggi dai pensieri malvagi.
Non ti concedere i pani furtivi delle perverse dottrine.
Non desiderare i falsi cibi ideologici, che ti seducano dalla verità.
Tale è il digiuno, che piace a Dio » ( Hom. 10 in Lev.: MG 12 ).
E tale è il digiuno spirituale ( pneumatico, lo dicevano i Greci ).
E questo anche noi ancora possiamo praticare; esso ci deve condurre alla Pasqua.
Con la nostra Benedizione Apostolica.