Paenitemi
« Convertitevi e credete al Vangelo » ( Mc 1,15 ): queste parole del Signore Ci sembra di dover ripetere oggi, nel momento in cui, chiuso il Concilio Ecumenico Vaticano II, la Chiesa con passo più vigoroso continua il suo cammino.
Tra i gravi ed urgenti problemi, infatti, che si pongono alla Nostra sollecitudine pastorale, non ultimo Ci sembra essere quello di richiamare ai Nostri figli - e a tutti gli uomini religiosi del nostro tempo - il significato e l'importanza del precetto divino della penitenza.
A ciò siamo spinti dalla visione più ricca e approfondita della natura della Chiesa e del suo rapporto col mondo, che il Concilio ci ha offerto.
Nel periodo del Concilio, infatti, la Chiesa, nello sforzo di meditare più profondamente il suo stesso mistero, ha esaminato la sua propria natura in tutta la sua dimensione, e ne ha scrutato gli elementi umani e divini, visibili e invisibili, temporali ed eterni.
Approfondendo anzitutto il legame che la unisce a Cristo e alla sua azione salvifica, ha maggiormente sottolineato come tutte le sue membra siano chiamate a partecipare all'opera di Cristo, e a partecipare quindi anche alla sua espiazione;2 ha preso, inoltre, più chiara coscienza che, pur essendo, per vocazione divina, santa e irreprensibile, ( Ef 5,27 ) essa è, nelle sue membra, defettibile e continuamente bisognosa di conversione e di rinnovamento,4 rinnovamento che deve essere effettuato non solo interiormente ed individualmente, ma anche esteriormente e socialmente;5 infine la Chiesa ha considerato più attentamente il suo ruolo nella città terrena:6 la sua missione cioè di indicare agli uomini il retto modo di usare dei beni terreni e di collaborare alla consacrazione del mondo, ma, nello stesso tempo, anche il suo compito di spingere i propri figli a quella salutare astinenza che li premunisce dal pericolo di lasciarsi trattenere, nel loro pellegrinaggio verso la patria celeste, dalle cose di questo mondo. ( Cf 1 Cor 7,31; Rm 12,2 )7
Per questi motivi vogliamo oggi ripetere ai Nostri figli le parole pronunciate da Pietro nel suo primo discorso dopo la Pentecoste: « Rallegratevi … per la remissione dei vostri peccati … », ( At 2,38 ) e, assieme, vogliamo ripetere, ancora una volta, a tutte le nazioni della terra, l'invito di Paolo ai gentili di Listri: « Convertitevi a Dio vivente! ». ( At 14,14 )9
La Chiesa, che nel periodo del Concilio ha esaminato con maggior attenzione le sue relazioni non solo con i fratelli separati dalla sua comunione, ma anche con le religioni non cristiane, ha rilevato con gioia come quasi ovunque e in ogni tempo la penitenza è tenuta in grande stima, essendo essa intimamente congiunta sia con il senso religioso che pervade la vita dei popoli più antichi, sia con le espressioni più elaborate delle grandi religioni connesse con il progresso della cultura.10
Nell'Antico Testamento si rivela con sempre maggiore ricchezza il senso religioso della penitenza.
Anche se ad essa l'uomo ricorre per lo più dopo il peccato per placare l'ira divina, ( Cf 1 Sam 7,6; Cf 1 Re 21,20.27; Cf Ger 36,9; Cf Gio 3,4-5 ) o in occasione di gravi calamità, ( Cf 1 Sam 31,13; Cf 2 Sam 1,12; Cf 2 Sam 3,35; Cf Bar 1,3-5 ) o nell'imminenza di particolari pericoli. ( Cf Gdt 4,8.12; Cf Est 4,15-16; Cf Sal 34,13; Cf 2 Cr 20,3 ) o comunque allo scopo di ottenere benefici dal Signore, ( Cf 1 Sam 14,24; Cf 2 Sam 12,16.22; Cf Esd 8,21.22 ) possiamo tuttavia costatare come l'opera penitenziale esterna sia accompagnata da un atteggiamento interiore di « conversione », di condanna cioè e di distacco dal peccato e di tensione verso Dio. ( Cf 1 Sam 7,3; Cf Ger 36,6-7; Cf Bar 1,17-18; Cf Gdt 8,16-17; Cf Gio 3,5; Cf Zc 8,19.21 )15
Ci si priva del cibo e ci si spoglia dei propri beni - il digiuno è generalmente accompagnato non solo dalla preghiera, ma anche dall'elemosina, ( Cf Is 58,6-7; Cf Tb 12,8-9 ) - anche dopo che il peccato è stato perdonato, anche indipendentemente dalla domanda di grazie; si digiuna e si usa il cilicio per affliggere « la propria anima », ( Cf Lv 16,31 ) per umiliarsi al cospetto del proprio Dio, ( Cf Dn 10,12 ) per volgere la faccia verso Iahvè, ( Cf Dn 9,3 ) per disporsi con più facilità alla preghiera, ( Cf Dn 9,3 ) per comprendere più intimamente le cose divine, per prepararsi all'incontro con Dio. ( Es 34,28 )
La penitenza è quindi, già nell'Antico Testamento, un atto religioso, personale, che ha come termine l'amore e l'abbandono nel Signore: digiunare per Dio, non per se stessi. ( Cf Zc 7,5 )
Tale essa deve rimanere anche nei diversi riti penitenziali sanciti dalla legge.
Quando ciò non si realizza, così il Signore si lamenta con il suo popolo: « Oggi voi non avete digiunato in modo da far udire la vostra voce in alto ». ( Is 58,4 )
« Stracciatevi il cuore e non le vesti … ». ( Gl 2,13; Cf Is 58,5-6; Cf Am 5, passim; Is 1,13-20; Ger 14,12; Zc 7,4-14; Tb 12,8; Sal 50,18-19; ecc. )
Non manca nell'Antico Testamento l'aspetto sociale della penitenza: le liturgie penitenziali, infatti, dell'Antica Alleanza non sono soltanto una presa di coscienza collettiva del peccato, costituiscono anche la condizione di appartenenza al Popolo di Dio. ( Cf Lv 23,29 )
Possiamo costatare inoltre come la penitenza sia presentata, anche prima di Cristo, come mezzo e segno di perfezione e di santità: Giuditta, ( Cf Gdt 8,6 ) Daniele, ( Cf Dn 10,3 ) la profetessa Anna e tante altre anime elette, « servirono Dio notte e giorno con digiuni e orazioni », ( Lc 2,37; Sir 31,12.17-19; Sir 37,31 ) nella gioia e nell'allegrezza. ( Cf. Zc 8,19; Mt 6,17 )
Troviamo infine, presso i giusti dell'Antico Testamento, chi si offre a soddisfare, con la propria penitenza personale, per i peccati della comunità: così fece Mosè nei quaranta giorni in cui digiunò per placare il Signore per le colpe del popolo infedele; ( Cf Dt 9,9.18; Es 24,18 ) così soprattutto ci si presenta la figura del « Servo di Iahvè », il quale « si addossò le nostre infermità » e nel quale « il Signore ha fatto cadere le colpe di noi tutti ». ( Cf Is 53,4-11 )
Tutto questo però non era che l'ombra delle cose future. ( Cf Eb 10,1 )
La penitenza, esigenza della vita interiore confermata dalla esperienza religiosa dell'umanità e oggetto di un particolare precetto della divina rivelazione, assume in Cristo e nella Chiesa dimensioni nuove, infinitamente più vaste e profonde.
Cristo, che sempre nella sua vita fece ciò che insegnò, prima di iniziare il suo ministero, passò quaranta giorni e quaranta notti nella preghiera e nel digiuno, e inaugurò la sua missione pubblica col lieto messaggio: « Il regno di Dio è vicino », cui tosto aggiunse il comando: « Ravvedetevi e credete nel Vangelo ». ( Mc 1,15 )
Queste parole costituiscono in certo modo il compendio di tutta la vita cristiana.
Al Regno annunciato da Cristo si può accedere soltanto mediante la « metánoia », cioè attraverso quell'intimo e totale cambiamento e rinnovamento di tutto l'uomo, di tutto il suo sentire, giudicare e disporre, che si attua in lui alla luce della santità e della carità di Dio, che, nel Figlio, a noi si sono manifestate e si sono comunicate con pienezza. ( Cf Eb 1,2; Col 1,19 e passim; Ef 1,23 e passim. )
L'invito del Figlio alla « metánoia » diviene più indeclinabile in quanto egli non soltanto la predica, ma offre anche esempio di penitenza.
Cristo infatti è il modello supremo dei penitenti: ha voluto subire la pena per i peccati non suoi, ma degli altri.35
Dinanzi a Cristo, l'uomo è illuminato da una luce nuova, e per conseguenza riconosce sia la santità di Dio sia la malizia del peccato; ( Cf Lc 5,8; Lc 7,36-50 ) attraverso la parola di Cristo gli viene trasmesso il messaggio che invita alla conversione e concede il perdono dei peccati, doni questi che egli pienamente consegue nel Battesimo.
Tale sacramento, infatti, lo configura alla Passione, alla Morte e alla Risurrezione del Signore, ( Cf Rm 6,3-11; Col 2,11-15; Col 3,1-4 ) e sotto il sigillo di questo mistero pone tutta la vita futura del battezzato.
Seguendo perciò il divino Maestro, ogni cristiano deve rinnegare se stesso, prendere la propria croce, partecipare ai patimenti di Cristo; trasformato in tal modo in una immagine della sua morte, egli è reso capace di meritare la gloria della risurrezione. ( Cf Fil 3,10-11; Rm 8,17 )
Seguendo inoltre il Maestro, dovrà non più vivere per se stesso, ( Cf Rm 6,10; Rm 14,8; 2 Cor 5,15; Fil 1,21 ) ma per colui che lo amò e diede se stesso per lui, ( Gal 2,20 )40 e dovrà anche vivere per i fratelli, dando compimento « nella sua carne a ciò che manca alle tribolazioni di Cristo … a pro del suo corpo che è la Chiesa». ( Cf Col 1,24 )41
Inoltre, essendo la Chiesa intimamente legata a Cristo, la penitenza del singolo cristiano ha pure un suo proprio ed intimo rapporto con tutta la comunità umana: non solo infatti è in seno alla Chiesa che egli riceve, nel Battesimo, il dono fondamentale della « metànoia », ma tale dono viene restaurato e rinvigorito, in quelle membra del corpo di Cristo che sono cadute nel peccato, attraverso il Sacramento della Penitenza, « ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita con il peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, con l'esempio e con la preghiera ».42
È nella Chiesa infine che la piccola opera penitenziale imposta singolarmente nel Sacramento, viene resa partecipe in modo speciale dell'infinita espiazione di Cristo, mentre, per una disposizione generale della Chiesa, il penitente può intimamente unire alla soddisfazione sacramentale stessa ogni altra sua azione, ogni patimento e ogni sofferenza.43
In tal modo il compito di portare nel corpo e nell'anima la morte del Signore,( Cf 2 Cor 4,10 ) investe tutta la vita del battezzato, in ogni istante, in ogni sua espressione.
Il carattere preminentemente interiore e religioso della penitenza, e i nuovi mirabili aspetti che in Cristo e nella Chiesa essa assume, non escludono né attenuano in alcun modo la pratica esterna di tale virtù, anzi ne richiamano con particolare urgenza la necessità45 e spingono la Chiesa, attenta sempre ai segni dei tempi, a cercare, oltre l'astinenza e il digiuno, espressioni nuove, più atte a realizzare, secondo l'indole delle diverse epoche, il fine stesso della penitenza.
La vera penitenza però non può prescindere, in nessun tempo, da una ascesi anche fisica: tutto il nostro essere, infatti, anima e corpo, anzi tutta la natura, anche gli animali senza ragione, come ricorda spesso la Sacra Scrittura,( Cf Gv 3,7-8 ) deve partecipare attivamente a questo atto religioso con cui la creatura riconosce la santità e maestà divina.
La necessità poi della mortificazione del corpo appare chiaramente se si considera la fragilità della nostra natura, nella quale, dopo il peccato di Adamo, la carne e lo spirito hanno desideri contrari tra loro.( Cf Gal 5,16-17; Rm 7,23 )
Tale esercizio di mortificazione del corpo, ben lontano da ogni forma di stoicismo, non implica una condanna della carne, che il Figlio di Dio si è degnato di assumere; ( Cf 1 Tm 4,4-5; Fil 4,8 )48 anzi, la mortificazione mira alla « liberazione »49 dell'uomo, che spesso si trova, a motivo della concupiscenza, quasi incatenato ( Cf Rm 7,23 ) dalla parte sensitiva del proprio essere; attraverso il « digiuno corporale » l'uomo riacquista vigore51 e « la ferita inferta alla dignità della nostra natura dall'intemperanza, viene curata dalla medicina di una salutare astinenza ».52
Nel Nuovo Testamento e nella storia della Chiesa, nonostante il dovere di far penitenza sia motivato soprattutto dalla partecipazione alle sofferenze di Cristo, tuttavia la necessità dell'ascesi che castiga il corpo e lo riduce in schiavitù, è affermata con particolare insistenza dall'esempio di Cristo medesimo.53
Contro il reale e sempre ricorrente pericolo di formalismo e di fariseismo, nella Nuova Alleanza, come ha fatto il divin Maestro, così gli Apostoli, i Padri, i Sommi Pontefici hanno apertamente condannato ogni forma di penitenza che sia puramente esteriore.
L'intimo rapporto che, nella penitenza, intercorre tra atto esterno e conversione interiore, preghiera e opere di carità, è affermato e sviluppato largamente nei testi liturgici e negli autori di ogni tempo.54
Perciò la Chiesa, mentre riafferma il primato dei valori religiosi e soprannaturali della penitenza - valori quanto mai atti a ridare oggi al mondo il senso di Dio e della sua sovranità sull'uomo, e il senso di Cristo e della sua salvezza55 - invita tutti ad accompagnare l'interna conversione dello spirito con il volontario esercizio di azioni esteriori di penitenza:
a) Insiste anzitutto perché si eserciti la virtù della penitenza nella fedeltà perseverante ai doveri del proprio stato, nell'accettazione delle difficoltà provenienti dal proprio lavoro e dalla convivenza umana, nella paziente sopportazione delle prove della vita terrena e della profonda insicurezza che la pervade.56
b) Quelle membra poi della Chiesa, che sono colpite dalle infermità, dalle malattie, dalla povertà, dalla sventura, oppure sono perseguitate per amore della giustizia, sono invitate ad unire i propri dolori alla sofferenza di Cristo in modo da poter non soltanto soddisfare più intensamente il precetto della penitenza, ma anche ottenere per i fratelli la vita della grazia, e per se stessi quella beatitudine che nel Vangelo è promessa a coloro che soffrono.57
c) In modo più perfetto deve essere soddisfatto il precetto della penitenza sia dai sacerdoti, più altamente insigniti del carattere di Cristo, sia da coloro i quali, per seguire più da vicino « l'esinanizione » del Signore e per tendere più facilmente e più efficacemente alla perfezione della carità, professano i consigli evangelici.58
La Chiesa però invita tutti i cristiani indistintamente a rispondere al precetto divino della penitenza con qualche atto volontario, al di fuori delle rinunce imposte dal peso della vita quotidiana.59
Per richiamare e spronare tutti i fedeli all'osservanza del precetto divino della penitenza, la Sede Apostolica intende perciò riordinare la disciplina penitenziale con modi più adatti al nostro tempo.
Spetta però ai Vescovi - riuniti nelle Conferenze Episcopali - stabilire le norme che, nella loro sollecitudine pastorale e nella loro prudenza, per la conoscenza diretta che hanno delle condizioni locali, stimeranno più opportune e più efficaci; resta però stabilito quanto segue.
In primo luogo la Chiesa, nonostante abbia sempre tutelato in modo particolare l'astinenza dalle carni e il digiuno, vuole tuttavia indicare nella triade tradizionale « preghiera, digiuno, opere di carità » i modi principali per ottemperare al precetto divino della penitenza.
Tali modi furono comuni a tutti i secoli; tuttavia nel nostro tempo esistono particolari motivi, per cui, secondo le esigenze dei diversi luoghi, sia necessario inculcare, a preferenza di altre, qualche speciale forma di penitenza.60
Perciò, là dove è maggiore il benessere economico, si dovrà piuttosto dare una testimonianza di ascesi, affinché i figli della Chiesa non siano coinvolti dallo spirito del « mondo » ( Cf Rm 12,2; Mc 2,19; Mt 9,15 ),61 e si dovrà dare nello stesso tempo una testimonianza di carità verso i fratelli che soffrono nella povertà e nella fame, oltre ogni barriera di nazioni e di continenti.( Cf Rm 15,26-27; Gal 2,10; 2 Cor 8,9; At 24,17 )62
Nei paesi invece dove il tenore di vita è più disagiato, sarà più accetto al Padre e più utile alle membra del corpo di Cristo, che i cristiani - mentre cercano con ogni mezzo di promuovere una migliore giustizia sociale - offrano, nella preghiera, la loro sofferenza al Signore, in intima unione con i dolori di Cristo.
Perciò la Chiesa, conservando - là dove più opportunamente potrà essere mantenuta - la consuetudine ( osservata per tanti secoli con norme canoniche ) di esercitare la penitenza anche mediante l'astinenza dalle carni e il digiuno, pensa di convalidare con sue prescrizioni anche gli altri modi di far penitenza, là dove alle Conferenze Episcopali sembrerà opportuno sostituire l'osservanza della astinenza dalla carne e del digiuno con esercizi di preghiera ed opere di carità.
Affinché tutti i fedeli però siano uniti in una celebrazione comune della penitenza, la Sede Apostolica intende fissare alcuni giorni e tempi penitenziali,63 scelti tra quelli che, nel corso dell'anno liturgico, sono più vicini al Mistero Pasquale di Cristo64 o vengano richiesti da particolari bisogni della comunità ecclesiale. ( Cf At 13,3 )
Perciò si dichiara e si stabilisce quanto segue:
I.
§ 1. Per legge divina tutti i fedeli sono tenuti a far penitenza.
§ 2. Le prescrizioni della legge ecclesiastica, circa la penitenza, vengono totalmente riordinate secondo le seguenti norme.
II.
§ 1. Il tempo di Quaresima conserva il suo carattere penitenziale.
§ 2. I giorni di penitenza, da osservarsi obbligatoriamente in tutta la Chiesa, sono tutti i venerdì dell'anno e il mercoledì delle Ceneri o il primo giorno della Grande Quaresima, secondo i riti; la loro sostanziale osservanza obbliga gravemente.
§ 3. Salve le facoltà di cui ai nn. VI e VIII, circa il modo di ottemperare al precetto della penitenza in detti giorni, l'astinenza si osserverà in tutti i venerdì che non cadono in feste di precetto, mentre l'astinenza e il digiuno si osserveranno nel mercoledì delle Ceneri, o - secondo la diversità dei riti - nel primo giorno della Grande Quaresima, e nel venerdì della Passione e Morte di Gesù Cristo.
III.
§ 1. La legge dell'astinenza proibisce l'uso delle carni, non però l'uso delle uova, dei latticini e di qualsiasi condimento anche di grasso di animale.
§ 2. La legge del digiuno obbliga a fare un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po' di cibo al mattino e alla sera, attenendosi, per la quantità e la qualità, alle consuetudini locali approvate.
IV.
Alla legge dell'astinenza sono tenuti coloro che hanno compiuto i quattordici anni; alla legge del digiuno invece sono obbligati tutti i fedeli dai ventun anni compiuti ai sessanta incominciati.
Per quanto riguarda, poi, coloro che sono di età inferiore, i pastori d'anime ed i genitori cerchino con particolare cura di formarli secondo un autentico spirito di penitenza.
V. Abrogati tutti i privilegi e gl'indulti sia generali che particolari, con queste norme nulla viene mutato né circa i voti di qualsiasi persona fisica o morale, né circa le costituzioni e regole di qualsiasi Religione o Istituto approvato.
VI.
§ 1. A norma del Decreto conciliare Christus Dominus, circa il ministero pastorale dei Vescovi, n. 38, 4, spetta alle Conferenze Episcopali:
a) trasferire, per giusta causa, i giorni di penitenza, tenendo sempre conto del tempo quaresimale;
b) sostituire, del tutto o in parte, l'astinenza e il digiuno con altre forme di penitenza, specialmente con opere di carità ed esercizi di pietà.
§ 2. Le Conferenze Episcopali, per informazione, comunichino alla Sede Apostolica quanto avranno stabilito in proposito.
VII.
Ferma restando la facoltà dei singoli Vescovi di dispensare a norma dello stesso Decreto Christus Dominus, n. 8 b, anche il parroco, per giusto motivo e in conformità alle prescrizioni degli Ordinari, può concedere, sia ai singoli fedeli, sia alle singole famiglie, la dispensa o la commutazione della astinenza e del digiuno in altre pie opere; delle stesse facoltà gode il Superiore di una Religione o Istituto clericale per i propri sudditi.
VIII.
Nelle Chiese Orientali spetta al Patriarca insieme con il Sinodo o alla suprema Autorità di ogni Chiesa insieme con il Concilio dei Gerarchi il diritto di determinare i giorni di digiuno e di astinenza, a norma del Decreto conciliare De Ecclesiis orientalibus catholicis, n. 21.
IX.
§ 1. È vivo desiderio che i Vescovi e tutti i pastori di anime, oltre a un più frequente uso del Sacramento della Penitenza, promuovano con zelo, specialmente durante il tempo quaresimale, opere straordinarie di penitenza con finalità di espiazione o di impetrazione.
§ 2. Si raccomanda vivamente a tutti i fedeli di ben radicare nel loro animo un genuino spirito cristiano di penitenza, che li spinga più vivamente a compiere opere di carità e di penitenza.
X.
§ 1. Queste prescrizioni che in via eccezionale vengono promulgate per mezzo de L'Osservatore Romano, andranno in vigore il mercoledì delle Ceneri di quest'anno, cioè il 23 del corrente mese.
§ 2. Dove finora erano in vigore particolari privilegi e indulti, sia generali che particolari di qualunque genere, là si ritenga concessa la « vacatio legis » per sei mesi dal giorno della promulgazione.
Queste nostre norme e prescrizioni al presente e per l'avvenire vogliamo che siano stabili ed efficaci, nonostante - in quanto è necessario - le Costituzioni e gli Ordinamenti Apostolici emanati dai Nostri Predecessori, e tutte le altre prescrizioni anche se degne di particolare menzione e deroga.
Dato a Roma presso San Pietro, il 17 febbraio 1966, anno terzo del Nostro Pontificato.
Paolo PP. VI
2 | Cf Conc. Vat. II,
Lumen Gentium, n. 5;
n. 8; cf Conc. Vat. II, Apostolicam actuositatem, n. 1 |
4 | Conc. Vat. II,
Lumen Gentium, n. 8; Cf Conc. Vat. II Unitatis redintegratio, n. 4; n. 7; n. 8 |
5 | Conc. Vat. II, Sacrosanctum Concilium, n. 110 |
6 | Conc. Vat. II, Gaudium et spes, n. 40 |
7 | Cf Conc. Vat. II,
Unitatis redintegratio, n. 6; Conc. Vat. II, Lumen Gentium, n. 8; n. 9; Cf Conc. Vat. II, Gaudium et spes, n. 37, n. 39, n. 93 |
9 | Cf Paolo VI, Discorso all'Assemblea Generale della Organizzazione delle Nazioni Unite, 4 ottobre 1965 |
10 | Cf Conc. Vat. II, Nostra aetate, n. 2 e n. 3 |
15 | Negli stessi luoghi menzionati sopra, viene chiaramente illustrata l'indole interiore della penitenza |
35 | Cf Summa Theol., III, q. 15, a. 1, ad 5 |
40 | Cf Conc. Vat. II, Lumen Gentium, n. 7 |
41 | Cf Conc. Vat. II,
Chiesa Ad gentes, n. 36; Optatam totius, n. 2 |
42 | Cf Conc. Vat. II,
Lumen Gentium, n. 11; Conc. Vat. II, Presbyterorum Ordinis, n. 5; n. 6 |
43 | Cf S. Tommaso, Quaestiones Quodlib., III, q. 13, a. 28 |
45 | Conc. Vat. II,
Presbyterorum Ordinis, 16; Conc. Vat. II, Gaudium et spes, n. 49 e n. 52; Pio XII, Discorso ai Padri Cardinali, Arcivescovi, Vescovi, e altri Ordinari del luogo, riuniti a Roma per la solenne definizione dell'assunzione corporea della B.V.M., 1 novembre 1950; Giustino, Dialogo con Trifone, 141, 2-3: PG 6, 797, 799; cf 2 Clemente, 8,1-3: F.X. Funk, Patres apostolici, ed. 2, Tubinga 1961, pp. 192-194 |
48 | Cf Martyrologium Romanum, vigilia di Natale. Cf Origene, Contra Celsum, 7 |
49 | Cf liturgia della Quaresima, passim |
51 | Cf Messale Romano, Prefazio di Quaresima IV: « Con il digiuno quaresimale tu vinci le nostre passioni, elevi lo spirito, infondi la forza e doni il premio » |
52 | Messale Romano ( di S. Pio V ), Colletta della feria V dopo la I domenica di Passione |
53 | Cf A) Nel Nuovo Testamento: 1) le parole e l'esempio di Cristo: cf Mt 17,20; Mt 5,29-30; Mt 11,21-24; Mt 3,4; Mt 11,7-11; Mt 4,2; Mc 1,13; Lc 4,1-2; 2) la testimonianza e l'insegnamento di Paolo: 1 Cor 9,24-27; Gal 5,16; 2 Cor 6,5; 2 Cor 11,27; 3) nella Chiesa delle origini: At 13,3; At 14,22; ecc. B) Nei Padri: cf Didaché, 1,4; Clemente Romano, 1 Cor 7,4-8,5; 2 Clemente, 16, 4; Aristide, Apologia, 15, 9: Goospeed, Göttingen 1914, 21; Erma, Pastor, Sim. 5, 1, 3-5: FUNK, I, 530; Tertulliano, De Paenitentia, 9; De Ieiunio, 17: PL 2, 978; Origene, Homiliae in Lev., Hom. 10, 2: PG 12, 628; S. Atanasio, De Virginitate, 6: PG 28, 257; 7, 8: PG 28, 260, 261; Basilio, Hom. 2, 5: PG 31, 192; Ambrogio, De Virginibus, 3, 2, 5: PL 16, 221; De Elia et Ieiunio, 2, 2; 3, 4; 8, 22; 10, 33: PL 14, 698, 708; Girolamo, Epist. 22, 17: PL 22,404; Epist. 130, 10: PL 22, 1115; Agostino, Sermo 208; Epist. 211, 8; Cassiano, Collationes, 21, 13, 14, 17: PL 49, 1187; Nilo, De Octo Spiritibus malitiae, 1: PG 79, 1145; Diadoco Di Fotice, Capita centum de perfectione spirituali, 47: PG 65, 1182; Leone Magno, Sermo 12, 4: PL 54, 171; Sermo, 86, 1: PL 54, 437-438; Sacramentario Leoniano, Praef. Temp. Autumni: PL 55, 112 |
54 | A) Nel NT: cf
Mt 6,16-18;
Mt 15,11;
Eb 13,9; Paolo inculca la carità verso coloro che sono deboli nella fede: cf Rm 14,15-23. B) Presso i Padri: cf nota 53, B |
55 | Conc. Vat. II, Gaudium et spes, n. 10, n. 41 |
56 | Conc. Vat. II,
Lumen Gentium, n. 34,
n. 36,
n. 41; cf Conc. Vat. II, Gaudium et spes, n. 4 |
57 | Conc. Vat. II, Lumen Gentium, n 41 |
58 | Cf Conc. Vat. II,
Presbyterorum Ordinis, n. 12,
n. 13,
n. 16,
n. 17; Conc. Vat. II, Lumen Gentium, n. 41; Conc. Vat. II, Ad gentes, n. 24; Conc. Vat. II, Lumen Gentium, n. 42; Conc. Vat. II, Perfectae Caritatis, n. 7, n. 12, n. 13, n. 14, n. 25; Conc. Vat. II, Optatam totius, n. 2, n. 8, n. 9 |
59 | Cf Conc. Vat. II,
Lumen Gentium, n. 42; Conc. Vat. II, Sacrosanctum Concilium, n. 9, n. 12, n. 104 |
60 | Cf Conc. Vat. II, Sacrosanctum Concilium, n. 110 |
61 | Cf Conc. Vat. II, Gaudium et spes, n. 37 |
62 | Cf Conc. Vat. II, Gaudium et spes, n. 88 |
63 | Cf Conc. Vat. II, Sacrosanctum Concilium, n. 105 |
64 | Cf Conc. Vat. II,
Sacrosanctum Concilium, n. 107 Sul tempo di Quaresima come preparazione alla celebrazione del mistero pasquale cf ivi, n. 109; sul mistero pasquale da celebrare ogni settimana, cf ivi, 102 e 106. Cf Eusebio, De solemnitate paschali, 7. 12: PG 24, 701. 705; Giovanni Crisoatomo, In ep. 7 ad Tim., 5, 3: PG 62, 529-530 |