6 Febbraio 1974
Il ricordo del Natale ancora riempie i nostri animi.
E, a ben riflettere, è naturale.
Se davvero, celebrando il Natale, noi abbiamo capito d'avere incontrato Dio fatto uomo, d'averlo incontrato come uno di noi, in questa intenzione di accostarsi a noi, di venire alla ricerca di noi, d'essersi umanizzato per noi, per parlare a noi, per entrare nel destino della nostra vita, cioè per salvarci, allora noi non possiamo non fermarci, non possiamo non attribuire a tale incontro un'importanza decisiva per la nostra vita medesima.
Riflettiamo bene sul significato dell'incontro con Cristo.
E innanzi tutto sulla realtà di questo fatto.
Pensiamolo nel grande disegno religioso offerto alla storia del mondo: il Dio del mistero, che senza lasciare la patria sua propria, cioè gli attributi della sua divinità, eterna - viene nella scena mobile del tempo ( Cfr. Ef 1,10 ) infinita - assume i limiti della « kénosis », cioè si può dire dello svuotamento di Sé ( Cfr. Fil 2,7 ); ineffabile - si riveste di carne a noi visibile ( Cfr. 1 Tm 3,16; Gv 14,9 ); inaccessibile - si rivela ai piccoli ( Cfr. Mt 11,26 ); si rende disponibile alla umana convivenza ( Bar 3,38 ), per elevare ad un livello soprannaturale ( 2 Pt 1,4 ) la nostra vita strisciante sulla terra, per rivolgere le sorti dell'umanità, da perdute ad impensatamente fortunate …
Possiamo rimanere indifferenti e immemori?
Se poi riflettendo scopriamo che questo disegno ci riguarda personalmente, la sua universalità si concentra su ciascuno di noi, diventa il nostro dramma personale, ci investe interiormente con una straordinaria ricchezza di doni, - i doni dello Spirito Santo; e ci propone un impiego libero, ma formidabile circa la scelta del genere di vita in cui vogliamo definirci:
se cristiano, o no, cioè se cristiano, ovvero alla fine insignificante e privo di eterna speranza;
se questo avvento di Cristo, diciamo, incrocia i suoi passi divini sul sentiero scabroso della nostra singola vita, possiamo restare impassibili?
L'incontro con Cristo! ricordiamolo nel racconto evangelico, che è specchio simbolico dell'intera avventura umana: sì, non manca in questo quadro l'indifferenza, anzi l'ostilità di tanti personaggi evangelici, che all'incontro con Cristo oppongono la cecità e la sordità dei loro spiriti materializzati, ovvero reagiscono con sospettosa malizia e con astuta opposizione, decisa a sopprimere la sua importuna presenza ( Cfr. Mc 3,6 ).
Ma vi è qualcuno che si accorge all'incontro con Gesù d'essere davanti ad un Uomo prodigioso e incomparabile, e arriva senz'altro a dichiarare una sua prima identità; Andrea per primo la rivela al fratello Simone ( che sarà poi chiamato Pietro ): « Abbiamo trovato il Messia » ( Gv 1,41 ).
L'incontro è decisivo; si trasforma in vocazione, che Gesù appunto formulerà; e che, a questo primo stadio, è di tutti noi, la vocazione cristiana.
Questo nome ci assale, ci investe, ci trasforma intimamente: siamo cristiani.
Nome controverso.
La prima generazione ne sentì dapprima una risonanza antipatica ( Cfr. At 11,26; At 26,28 ); poi quella discriminante e pericolosa ( 1 Pt 4,16 ), ma ormai, per i credenti, per i fedeli, subito divenne buona e gloriosa ( Cfr. Gc 2,7 ).
Diventerà nome qualificante per tutti i seguaci di Cristo ( Cfr. E. Jacquier, Les Actes … 351, 352 ).
Noi questo nome lo abbiamo ricevuto al battesimo, quando appunto siamo diventati cristiani.
Teniamo bene presente questo fatto.
Là, al battesimo noi abbiamo incontrato Cristo.
Incontro sacramentale e vitale, rigeneratore.
Fu il nostro vero Natale.
Ora, attenzione! che cosa comporta un simile incontro con Cristo?
Ancora il Vangelo ci insegna: comporta seguire Cristo.
Comporta uno stile di vita; comporta un impegno inscindibile; comporta una fortuna inestimabile ( Cfr. E. Neuhausleb, Exigence de Dieu et morale chrétienne, Cerf, 1962, 1971, p. 271 ss. ).
Qui, in Nice, c'è tutto.
Qui la coerenza della nostra vita,
qui la fedeltà alla nostra professione religiosa,
qui il genio della nostra arte di essere in questo mondo,
qui l'obbligo della nostra testimonianza morale,
qui la sorgente della nostra capacità a sovrumane virtù,
qui l'intimo conforto in ogni terreno travaglio,
qui l'urgenza della nostra carità missionaria e sociale.
Essere cristiani!
Noi non faremo che ripetere ciò che abbiamo scritto nella nostra prima Enciclica Ecclesiam Suam: « Bisogna ridare al fatto d'aver ricevuto il santo battesimo, e cioè di essere stati inseriti, mediante tale sacramento, nel Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa, tutta la sua importanza,
specialmente nella cosciente valutazione che il battezzato deve avere della sua elevazione, anzi della sua rigenerazione alla felicissima realtà di figlio adottivo di Dio,
alla dignità di fratello di Cristo,
alla fortuna, vogliamo dire alla grazia e al gaudio della inabitazione dello Spirito Santo,
alla vocazione d'una vita nuova, che nulla ha perduto di umano, salvo la infelice sorte del peccato originale, e che di quanto è umano è abilitata a dare le migliori espressioni e a sperimentare i più ricchi e candidi frutti ».
Così, ripetiamo, ripensando al nostro recente Natale, al nostro incontro con Cristo, al nostro essere rigenerato nel battesimo, e chiamato a perenne rinnovamento, come l'annuncio dell'Anno Santo, ci ricorda e c'invita a realizzare.
Con la nostra Benedizione Apostolica.