6 Novembre 1974
Ancora una volta noi ci proponiamo la domanda: di che cosa ha bisogno oggi la Chiesa?
e questa volta noi rispondiamo: la Chiesa ha bisogno d'essere amata!
Il discorso si pone a differenti livelli.
A quello per primo di coloro che avversano la Chiesa a priori, per partito preso, quasi per istintiva repulsione; e già questi sono legione.
E partono da essi ondate di avversione, di negazione, di ateismo, di anticlericalismo, o, come oggi si dice, di secolarismo.
Non certo l'amore, ma l'antipatia, l'odio perfino, come se la Chiesa fosse un morbo, un pericolo per l'umanità.
E la patologia di questo atteggiamento va dal tipico volterriano Signor Homais ( del Flaubert ) all'anonimo fanatico, di cui ci parla Gesù stesso, e a cui è attribuita la convinzione di rendere omaggio a Dio mandando a morte i seguaci di Cristo ( Gv 16,2 ).
Questa inimicizia verso i seguaci di Cristo, cioè verso la Chiesa ha una storia perenne, parallela alla storia profana: è la storia delle persecuzioni; è il destino riservato al Figlio di Dio fattosi concittadino dell'umanità, e da questa, rivoltatasi contro di Lui, reso bersaglio di contraddizione: signum cui contradicetur ( Lc 2,34 ); destino che si estende dal Capo alle membra, ai fedeli cioè che compongono il Corpo mistico di Cristo ( Cfr. Col 1,24 ).
Dobbiamo perciò disperare che da questa falange di nemici della Chiesa venga mai a lei un segno di resipiscenza, di giustizia e di amore?
Il bisogno, staremmo per dire il diritto, ad essere riconosciuta per quello che è e per quello che fa, in ordine alla gloria di Dio e al bene dell'umanità, non sarà mai soddisfatto?
No, non dobbiamo disperare, pensando al caso, modello primo fra tanti altri, di San Paolo, la cui conversione c'insegna quanto può essere potente e felice l'azione della grazia, così da indurre lui a scrivere di sé: « Io sono il minimo degli apostoli, che non sono degno d'essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio » ( 1 Cor 15,9; 1 Tm 1,15; Gal 1,13; At 26,9-20 ).
E sarà poi lui stesso a dare altra testimonianza di sé: « Sono stato crocifisso con Cristo; e vivo non più io, ma vive in me Cristo » ( Gal 2,19-20 ); e sarà lui ancora a fare di sé un'apologia autobiografica, quale altra non conosciamo ( Cfr. 2 Cor 11,22-12,10 ).
Ma ora il discorso vorrebbe giungere a ben altra schiera di interlocutori, a quei cristiani, a quei cattolici anzi, e a quei fratelli, che sembrano dimentichi del bisogno che la Chiesa ha, oggi specialmente, pellegrina e paziente, d'essere amata con filiale fedeltà e così diventano incuranti del privilegiato dovere loro proprio, per educazione, per amicizia, per vocazione, di dimostrare alla Chiesa medesima in ben altra maniera che essi ora non facciano, il loro amore, un loro prepotente amore a cui pur sarebbero candidati.
Sono quei fratelli che hanno lasciato vuoto il posto loro assegnato nella casa del Signore;
fratelli e figli che hanno trasformato la positiva testimonianza, che il Popolo di Dio si attendeva da loro, in arrogante funzione di giudici e di critici della pur sempre santa Chiesa di Dio,
e talora, usurpando per sé una facoltà di libero esame della sua dottrina e della sua vita,
si sono allineati tranquillamente nelle file avversarie a quelle loro proprie, donde, con l'amarezza non più con l'amore, si sono silenziosamente allontanati,
protestando forse di voler restare nella comunione ecclesiale, ma non più per condividerne le gioie e le pene, sì bene per riformarne, o piuttosto per disintegrarne a loro modo la compagine.
Oh! noi vorremmo riaverli e risentirli ancora vicini questi Fratelli e Figli per amare insieme quella Chiesa, quella nostra Chiesa, che sola ci introduce nella pienezza di Cristo.
Attenuata, o infranta l'unità cattolica nella Chiesa, come potremo ricomporre l'unità ecumenica della Chiesa?
Privati della solidarietà e della collaborazione di codesti Fratelli e Figli, allenati alla cultura e alla discussione del mondo contemporaneo, come potremo agevolmente comunicare agli uomini del nostro tempo un convincente messaggio di pace e di salvezza?
Bisogna che noi tutti accresciamo il nostro amore alla Chiesa, affinché essa sia degna d'essere amata da chi non la conosce, o ne conosce i difetti umani, e ne ignora lo sforzo di fedeltà al Vangelo, le sofferenze, le necessità, e soprattutto non sa intravedere nel suo volto terreno il mistero divino, ch'esso contiene, e che, rispecchiando la bellezza di Cristo, di Cristo stesso si attrae l'amore …
« Egli amò la Chiesa e sacrificò la sua vita per lei » ( Ef 5,25-26 ).
E così amata, un titolo essa si merita ed è un titolo d'amore, il titolo di Sposa di Cristo ( Cfr. 2 Cor 11,1-3; Ef 5,21-22; Ap 19; Ap 21 ).
Sì, la Chiesa, amata da Cristo, dev'essere amata da noi.
E lo sia con la nostra Benedizione Apostolica