12 Marzo 1975
La Quaresima, che stiamo celebrando in preparazione alla Pasqua, e l'imminenza ormai di questa santa e drammatica festività, ci obbligano a integrare la nostra sommaria catechesi col richiamo allo spirito di penitenza, che non può mancare in chiunque consideri la Pasqua come un avvenimento centrale della nostra osservanza religiosa, e come un impegno ad entrare nel mistero della salvezza con personale e intensa partecipazione ( Cfr. Paenitemini, IX, 2, 27-2-1966 ).
Lo spirito di penitenza reclama per una sua logica intrinseca una qualche pratica di penitenza, anticamente molto impegnativa per tutto il popolo fedele; oggi invece resa molto più elastica e più ridotta nei suoi atti obbligatori ( il digiuno, ad esempio, è obbligatorio per soli due giorni, il mercoledì delle Ceneri, e il Venerdì Santo, per chi è prescritto ); ma ciò non toglie che altre tre pratiche penitenziali siano tanto di più raccomandate alla spontanea volontà d'ogni fedele: la preghiera, la mortificazione e l'esercizio di opere di carità.
Ma un atto sacramentale, classico e obbligatorio, rimane a qualificare e a impreziosire questo periodo di conversione e di espiazione; ed è, come tutti sanno, quello della confessione, o penitenza, per antonomasia, circa la quale la recente riforma liturgica ha emanato eccellenti norme ed istruzioni.
Anche queste noi le supponiamo conosciute; anzi le raccomandiamo sia alla divulgazione dei Pastori e dei Maestri nella Chiesa di Dio, sia allo studio e alla riflessione delle comunità ecclesiali, e non meno dei singoli fedeli.
In questo nostro colloquio, questa volta, noi richiamiamo l'attenzione sull'aspetto ministeriale di questo sacramento della Penitenza.
Oggi una tendenza aberrante vorrebbe prescindere dalla disciplina rituale ed ecclesiale, che questo sacramento necessariamente comporta, con la consueta, ottima, ma incompleta apologia del carattere interiore e personalissimo, che la penitenza, quand'è autentica, esige e produce nell'animo di chi ha compreso la necessità e la natura della penitenza, come conversione del cuore a Dio e come nuovo collegamento della vita umana, franata nel peccato e perciò nella morte, con la Vita divina.
È da notare che questo aspetto interiore, intimo, profondo, segreto, intenso della riconciliazione di un'anima peccatrice con Dio è non solo conservato, ma reclamato ancor oggi, anzi oggi più che mai ( data la maturazione della coscienza dell'uomo moderno, e data la semplificazione dell'ascesi pubblica e privata richiesta dalle norme ecclesiali vigenti ); ma se questa riconciliazione personale del peccatore con Dio è possibile sempre e, in casi di necessità, sufficiente ad ottenere il perdono risuscitante della grazia, mediante un atto di contrizione perfetta, come insegna il catechismo, dobbiamo ancora ricordare che tale atto deve includere, almeno implicitamente, il proposito di ricorrere, appena possibile, al ministero qualificato del Sacerdote, rivestito della prodigiosa potestà di rimettere i peccati e di riconciliare il fratello infedele con Dio e con la comunità vivente della Chiesa.
Qui viene opportuno notare che il peccato, il quale, se grave, spezza il vincolo vitale del peccatore con Dio, produce un altro effetto negativo, a cui la Chiesa ha sempre dato, specialmente e pubblicamente nei primi secoli grande importanza, la rottura del vincolo sociale e spirituale con la comunità della Chiesa.
Il peccato non è solo offesa di Dio e rovina per chi lo commette; il peccato ferisce altresì la comunione ecclesiale ( Cfr. Ordo Paenitentiae, 5 ), tanto che a certi gravi peccati determinati è inflitta dal Codice di Diritto Canonico la scomunica, cioè l'esclusione, ipso facto ( « Latae sententiae » dicono i canonisti ) del figlio infedele dalla partecipazione ai benefici della carità ecclesiale.
Il peccato nuoce anche alla Chiesa; e questo danno alla comunità ecclesiale si ritorce sul reo di questa offesa: succede, si potrebbe dire, che il peccatore interrompe da sé il flusso vitale che lo teneva unito alla pianta vitale della Chiesa, anche se questa non interviene con un atto esplicito di rigetto, di scomunica canonicamente pronunciata.
Ricordiamo questa triste possibilità per confermare la necessità del ministero sacerdotale, umano sì, nelle sue forme e nei suoi limiti, ma sovrumano nella sua potestà di realizzare la parola divina, di cui il Sacerdote autorizzato è ministro: « A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, ed a chi li riterrete, saranno ritenuti » ( Gv 20,23 ).
Vangelo sublime!
Vangelo chiarissimo, consolantissimo.
Vangelo obbligante.
Vangelo trasfuso e operante nella disciplina della santa Chiesa di Dio.
Vangelo, che ci suggerisce una duplice raccomandazione.
Ai Sacerdoti la prima ( che meriterebbe assai lungo e assai interessante discorso ): Fratelli Sacerdoti, abituatevi seriamente, specializzatevi severamente in questo ministero di salvezza; delicatissimo e oneroso, ma superlativo, veicolo immediato di grazia, vera terapia delle anime, fonte di luce e di sapienza, esercizio inesauribile di bontà, scuola per il ministro stesso di esperienza e di umiltà.
Non lo trascurate, non lo abbracciate; e non mai, non mai lo profanate!
Fatene l'esercizio paziente e sapiente della vostra carità sacerdotale!
Ai fedeli tutti la seconda raccomandazione: abbiate fiducia nella Confessione sacramentale, momento tipico, difficile dapprima, consolantissimo poi, dell'esperienza della misericordia divina.
Come scegliete cautamente un bravo medico per la salute fisica, o studiosamente lo psicanalista saggio per le cure della mente, sappiate scegliere, se potete, il medico dell'anima, discreto, ma saggio, buono, vero dispensatore di conforto, di consiglio, di ammonimento, di grazia; la grazia della risurrezione, la grazia pasquale!
Con la nostra Apostolica Benedizione.