2 Luglio 1975
Voi avete ascoltato la voce della Chiesa, la quale vi ha invitato a celebrare l'Anno Santo, come un avvenimento rinnovatore, dapprima nelle vostre Chiese locali, nelle vostre rispettive comunità; e poi l'invito si è determinato: venite a Roma, dove le memorie apostoliche e la sede del successore di Pietro segnano non soltanto un centro topografico, geografico, storico della Chiesa cattolica, ma un mistero di unità e di universalità, di coerenza storica ( l'apostolicità ) e di vitalità religiosa autentica ( la santità ), mistero che racchiude e al tempo stesso manifesta una permanente ed operante presenza di Cristo nella storia, nella Chiesa stessa cioè, e nel mondo.
Voi avete ascoltato questa voce invitante, e siete venuti.
Noi vogliamo supporre, e voi stessi con la vostra religiosità ce ne date la prova, che la vostra venuta a questa Città ( nonostante la fatica del viaggio e fors'anche qualche deludente esperienza profana ) ha suscitato nei vostri animi il richiamo, l'impulso, e, vogliamo sperare, il gaudio della nuova, della vera vita cristiana.
Ciascuno di noi, sotto lo stimolo del Giubileo, deve aver detto a se stesso: sì, la mia adesione a Cristo e alla sua Chiesa, a malgrado della impressione profana, areligiosa, moderna, che sembra spesso soverchiare come una prepotente inondazione la vita comune, deve sopravvivere, deve riaffermarsi, deve ricominciare forte e schietta, come un fatto appunto di rinnovamento, di nuova scoperta, di speranza e di gioia ricuperate.
Ora, Figli e Fratelli carissimi, fate attenzione.
Un tale rinnovamento di coscienza religiosa e cristiana, comporta una conseguenza logica e naturale, che non aggrava il peso della vita cristiana, ma lo rende, come Gesù ebbe a dire del suo « giogo », « soave », come il peso da lui imposto sulle nostre spalle è « leggero » ( Cfr. Mt 11,30 ).
Abbiamo parlato di fedeltà; di quel comportamento generale e connaturale che la fede infonde ed esige nello stile della vita cristiana.
Fedeltà: il discorso non è finito, anzi continua, e formula una nuova esigenza, una nuova espressione, che possiamo definire: attività.
Può essere inerte un cristiano autentico e rinnovato?
Può essere Indifferente, abulico ed apatico?
Può forse separare il campo della sua fede da quello della sua attività?
In pratica molti, che si dicono cristiani, lo credono, pensando che l'adesione alla religione non comporti altri doveri oltre quelli di alcune specifiche osservanze, come l'assistenza alla Messa festiva e l'adempimento del precetto pasquale.
Anzi dovremo notare una certa allergia dei cristiani moderni all'azione qualificata dai propri sentimenti religiosi, per un'interpretazione inesatta del cosiddetto pluralismo, quasi che ogni opinione dottrinale fosse ammissibile, e quindi non valesse la pena di proporre ad altri la propria fede, come necessaria; o per un'esclusiva autorità attribuita alla coscienza soggettiva, a scapito del criterio oggettivo che deve informare la coscienza stessa ( Cfr. S. Augustini Serm. 47, c. IX ).
L'attività, così detta confessionale, cioè derivata da premesse religiose e rivolta a fini religiosi e morali, l'apostolato, comunque si manifesti, è oggi contestata in radice; non ha cittadinanza in una società laica; ogni forma di proselitismo, anche quello derivante dall'esempio, o dalla discussione apologetica, non è più da molti, anche credenti, oggi ammissibile; si finisce così per subire quello imposto da opportunismo sociale, o da prepotenza politica.
L'azione libera e religiosamente ispirata trova oggi ostacolo, anche nel campo ecclesiale, sia per la crisi diffusa dello spirito d'associazione, sia dall'abitudine invalsa in molti ambienti della critica interna, antidogmatica e antistituzionale.
Non così il Vangelo, Fratelli e Figli carissimi, che ci fa obbligo di amare il nostro prossimo nella stessa misura, tendenziale almeno, con cui ognuno ama se stesso ( Mc 12,31; cfr. Rm 15, etc.; 1-2 ); non così il recente Concilio, che fa carico ad ogni discepolo di Cristo d'essere difensore della fede ( Cfr. Lumen Gentium, 17 ), e che si caratterizza per l'istanza apostolica attribuita alla responsabilità personale d'ogni credente ( Cfr. Apostolicam Actuositatem, 1 et ss ), affermando che « la vocazione cristiana è per natura sua anche vocazione dall'apostolato » ( Ibid. 2 ), e che la famiglia specialmente ( Ibid. 11 ), i giovani ( Ibid. 12 ), i laici ( Ibid. 13 ) devono impegnarsi nell'attività apostolica.
Così che è da sperare che il rinnovamento giubilare metta nel cuore di quanti, come voi, cari Pellegrini, vi hanno aderito, la convinzione ed il coraggio della necessità di diffondere il messaggio evangelico e di costruire così la Chiesa di Dio ( Cfr. Ad Gentes, 1 et ss).
Il Vangelo è seme ( Lc 3,5 ); il Vangelo è fermento ( Mt 13,33 ).
Il Vangelo è fuoco ( Lc 12,49 ).
Potrà soffrire la compressione di molti ed enormi ostacoli alla sua libera e felice espansione; non potrà perdere nel cuore dei suoi discepoli l'energia nativa della sua universale diffusione.
Ciascuno ne faccia in se stesso la generosa esperienza.
Con la nostra apostolica benedizione.