10 Settembre 1975
L'Anno Santo ci obbliga non solo ad una revisione soggettiva, morale e psicologica circa lo stato delle nostre relazioni con Dio e con il piano di salvezza da Lui stabilito per dare senso, sicurezza, felicità alla nostra vita, ma ci obbliga altresì ad una conferma oggettiva, teologica e pratica insieme, della nostra fede circa il modo, mediante il quale si è realizzato e si realizza tale piano della nostra salvezza ( Cfr. S. Thomae Summa Theologiae, III, 46, 3 et 4 ); e questo modo è la Croce; la passione cioè crudele, ignominiosa e cruenta, sofferta da Cristo « fino alla morte, alla morte di croce », come dice S. Paolo » ( Fil 2,8 ).
Che la Croce abbia un posto centrale nella religione cattolica pensiamo che sia chiaro per tutti; essa ne è il simbolo più caratteristico, più comune, più espressivo, più venerato.
La Croce è il segno più usato nel culto, più frequente nella preghiera, più sacro nella vita; essa appare ancora, a nostro onore e a nostra fortuna, per significare ciò che vi ha di sommo, di confortante e d'intangibile anche nelle espressioni esteriori della società civile: nelle Famiglie, nei Tribunali, nelle scuole, negli ospedali, nei cimiteri …
Noi pensiamo che Dio misericordioso non lascerà mancare l'influsso benefico della sua grazia vivificante alle persone, alle istituzioni, ai luoghi, dove questo segno di dolore e di morte, diventato segno vittorioso di speranza e di vita, è presente, perché è segno sempre cristiano di redenzione e d'amore.
Sarà dovere e gloria di noi credenti onorare, conservare e difendere la presenza del Crocifisso nella scena della nostra vita moderna, sia religiosa, che civile: essa, la Croce, è lo stemma della nostra storia, della nostra civiltà, del nostro progresso; la Croce, strumento di pena efferata per una inumana giustizia, è ora trasfigurante simbolo del dolore, che espia, e dell'amore, che redime.
Amiamo la Croce di Cristo, Fratelli; essa esprime in sintesi il dramma della nostra salvezza.
Essa è sorretta da un cumulo di dottrine, che formano il castello della fede e della vita, che da Gesù Cristo prende il suo nome, la sua verità, la sua virtù.
Ricordiamo in fretta la dottrina del peccato originale, e con essa l'affermazione dell'unità del genere umano:
la dottrina circa la necessità d'una redenzione, che avesse efficacia di espiare il peccato e di vincere la morte, ristabilendo così i rapporti soprannaturali fra il Dio vivente e l'uomo sollevato dalla sua degradazione allo stato e al livello di figlio adottivo, partecipe della divina natura ( Cfr. 2 Pt 1,4 );
la dottrina dell'inefficacia d'ogni altro sistema morale e religioso ad attuare la nostra autentica e piena riconciliazione con Dio ( Cfr. Gal 5,6; Col 3,11; etc. ),
donde la morale necessità del sacrificio personale e totale di Cristo ( Cfr. Gv 3,14; Lc 24,26; etc. ), misterioso vincolo, in nostro favore, della giustizia e della misericordia, e suprema rivelazione dell'amore di Dio e di Cristo per noi, per ciascuno di noi ( Gv 3,16; Gv 13,1; Gal 2,20; Ef 2,4ss; etc. );
così che Cristo, come riassume S. Paolo, « è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione » ( 1 Cor 1,30 ).
Cardine di tutto questo immenso, universale anzi ed unico valido sistema religioso, morale e vitale, è la Croce.
Oh! noi tutti Cristiani dobbiamo attestare con la nostra fede e con la nostra condotta il nostro impegno di « non lasciare svotare la Croce di Cristo » ( 1 Cor 1,17 ).
Perché, fra i cataclismi ideologici del nostro tempo, questo è stato affermato e tuttora si afferma: l'inutilità d'una Redenzione.
Secondo questa concezione, indebitamente detta umanistica, l'uomo è buono di natura sua; liberato da una falsa pedagogia sociale, e lasciato libero l'uomo di crescere e di evolversi secondo i propri istinti naturali, egli trova da sé il proprio equilibrio e la propria perfezione.
L'esperienza più generale ci dice il contrario: l'uomo, per quanto originariamente possegga e in parte tuttora conservi una natura buona e razionalmente orientata verso la virtù, verso una sua bellezza e una sua bontà veramente umana, non riesce da sé a realizzare la propria figura ideale; e basterebbe a provare questa nativa insufficienza dell'uomo l'applicazione personale o collettiva di codesta teoria umanistica; la sua stessa concezione dimostra quanto l'uomo sia fallibile nel giudizio sopra se stesso, e quindi, anche prescindendo dalla religione, quanto tristi siano le conseguenze della vita umana fondata su le sole sue forze.
Due conseguenze macroscopiche sono oggi sotto i nostri occhi: la repressione scientifica e sistematica delle più elementari e legittime libertà, sia della persona umana, sia delle sue connaturate comunità sociali, nei regimi totalitari, pur fondati su agnostici principii d'umanesimo ottimistico; e, in secondo luogo, la decadenza precipitosa dei costumi, dove la legge, priva di trascendente ispirazione, invece di contenerne le istintive e degradanti debolezze, le codifica e le coonesta.
Procuriamo noi credenti, noi cristiani di rimanere fedeli alla Croce di Cristo, alla sua dottrina e alla sua virtù: non verrà mai meno così né alle nostre singole anime, né alla nostra Chiesa, l'energia della bontà autentica, risultante dall'educazione e dalla osservanza della legge naturale, scritta nella profondità del nostro essere, resa possibile questa osservanza dalla Parola di Cristo e dall'infusione animatrice del suo Spirito.
Fedeli alla Croce ci saranno svelate le segrete ragioni del sacrificio, che vuol dire: l'eroismo del bene, l'amore che serve beato di prodigarsi: il valore della sofferenza nostra ed altrui, non più priva di senso e di conforto, ma messa in comunione con la Croce di Cristo, fonte oggi della nostra salvezza; della nostra eterna felicità, domani, oltre la morte.
Con la nostra Benedizione Apostolica.