7 Aprile 1976
Noi ci prepariamo a celebrare la Pasqua; la Pasqua di Cristo e la Pasqua nostra ( 1 Cor 5,7 ).
La Pasqua ha il suo grande simbolismo nella liberazione del Popolo eletto dalla schiavitù in cui era caduto abitando in Egitto.
E vuol dire passaggio, transito del Signore, che risparmia dalla rovina coloro che sono immunizzati dalla aspersione del sangue dell'agnello rituale.
Il simbolismo dell'antico testamento diventa realtà, se pure ancora espressa in segni sacramentali, nel nuovo testamento.
La Pasqua cristiana comporta due fondamentali elementi;
quello umano, il nostro; ed è lo stato di necessità, in cui noi ci troviamo, che reclama una salvezza;
quello divino, che se da noi accettato, ci è per somma grazia elargito, ed è la redenzione operata da Cristo mediante la sua morte e la sua risurrezione.
Fermiamo un istante la nostra attenzione sul primo elemento, la condizione umana, dicevamo, nella quale noi siamo, quella del bisogno radicale, universale, impossibile alle nostre sole forze, di essere strappati dalla sorte infelice e fatale, in cui si trova l'umana esistenza: « a nulla ci avrebbe giovato il nascere, - canta profeticamente il Diacono nella notte del Sabato Santo, prima dell'alba pasquale, - se non ci fosse stato concesso di rinascere nella redenzione ».
Ora davanti a questa esigenza di salvezza, di vita vera e alla fine, come quella di Cristo, vittoriosa della morte, come si trova la moderna mentalità?
La riconosce, o la impugna?
Qui si pone una delle riflessioni capitali della psicologia moderna: ha bisogno l'uomo d'essere salvato?
Se l'umanità riconosce questa esigenza, essa è alle porte della salute.
Potremmo dire, semplificando per ora ogni questione esistenziale, che altro non si richiede, oltre la fedeltà alla salute conseguita.
Nasce da questa coscienza la scoperta della nostra verità, della nostra drammatica situazione: noi siamo esseri condannati a fallire nel fatale esperimento della nostra vita nel tempo, se non ci è accordato quel supplemento di vita stessa, che chiamiamo salvezza, e che non ci può venire che da un intervento pianificato, da un'« economia » prodigiosa da parte divina.
Ora noi vediamo come tanta parte degli uomini di oggi non vogliono ammettere questa fondamentale realtà.
La grande sventura ereditaria, che ha colpito la nostra natura stessa, tutto il genere umano, il peccato originale, che ci ha posti in una posizione di sfavore rispetto al Dio della bontà, e ci ha meritato la qualifica di filii irae, meritevoli dell'ira divina ( Ef 2,3; S. Augustini Enarr. in Ps. 38, 5 ), non ha oggi facile accesso nella mentalità profana, quantunque ancora, con Pascal, dovremo dire, che tutta la condizione dell'uomo dipende da questo punto impercettibile ( B. Pascal, Pensées, 445 ).
Oggi il pensiero umano si alterna nella bilancia d'un pessimismo disperato e delinquente, o d'un ottimismo falso ed orgoglioso ( Cfr. Rousseau ), deciso in ogni modo a rifiutare il bisogno incolmabile e affliggente d'una trascendente salvezza.
Noi saremo invece umili e sinceri; noi riconosceremo il cumulo complesso e urgente delle nostre molte deficienze, delle nostre insoddisfatte necessità, delle nostre croniche infermità, prima fra tutte quella, personalmente involontaria, ma naturalmente a noi trasmessa dal disordine morale e funzionale proveniente dal peccato di Adamo; e troveremo soluzione e conforto e rimedio a questa digraziata situazione nella Redenzione di Cristo ( Cfr. C. Journet, L'Eglise, III, 293 ss. ).
Non si può celebrare altrimenti la Pasqua, che partendo da questa coscienza del bisogno che un Salvatore venga in nostro soccorso; e noi comprenderemo qualche cosa del suo tragico sacrificio, se lo confronteremo con la nostra altrimenti disperata condizione di vita.
Pregheremo così: de profundis clamavi ad Te, Domine ( Sal 130,1 ).
Con la nostra Apostolica Benedizione.