6 Aprile 1977
Una parola, che il divino Ufficio quaresimale ci ha fatto ripetere più volte, suona così: « Oggi se udrete la sua voce ( e vuol dire la voce del Signore ), non vogliate indurire i vostri cuori ».
È la Chiesa che parla, facendo propria l'esortazione del Salmista, David; un'esortazione che si ripete nella Sacra Scrittura, e per l'importanza di ciò che essa intende annunciare, e per l'indifferenza con cui tanta parte del Popolo eletto accoglie l'annuncio ( Cfr. Es 19,5; Pr 1,20-21; etc. ).
Si nota nella Bibbia una raccomandazione insistente per farsi ascoltare, per farsi capire ( Sal 34,12; Sal 50,7 ).
Si vede che dall'attenzione che gli uomini prestano alla voce divina dipende la loro fortuna; e si vede invece che gli uomini, anche quelli che vivono nell'economia della salvezza, sono restii ad accogliere l'invito religioso e quasi ne temono l'incanto e il comando.
Dio parla; chi lo ascolta?
E studiando questo fatto, dal quale dipende la scelta della nostra libera risposta e perciò la nostra salvezza, si nota spesso nell'arte misteriosa della divina rivelazione un modo particolare di linguaggio; un linguaggio formulato in termini piani e semplici ( pensate alle parabole del Vangelo - Cfr. Mt 13,14ss; Mt 13,35 ), ma che sotto il significato figurato nascondono, ed insieme svelano un pensiero più profondo che non tutti comprendono, perché non tutti si danno la premura di esplorarlo e di coglierne il vero ed intimo senso.
Questa ambiguità è ancora un metodo ordinato dell'Autore della divina Parola in coerenza con l'umana libertà: comprenderà chi vuole comprendere.
La rivelazione ci è, sì, consegnata nella sua esatta formulazione, ma chiusa in un involucro di termini ( p. es. la « parabola » ), i quali termini hanno senso per se stessi, ma ci sono affidati affinché la nostra mente, e specialmente la nostra buona volontà sappiano scoprirvi la voce intima, profonda, autentica del Signore.
Anche nel piano della divina rivelazione l'uomo resta libero; egli deve fare ciò che può per venire a contatto con il Pensiero divino.
La voce divina risuona; la comprende chi vuole comprenderla.
Un fenomeno naturale, oggi a tutti notissimo, quello della Radio, ci dà un'immagine di questa Legge del senso arcano della divina conversazione; pensate alla carica immensa di voci diversissime che riempiono l'atmosfera; nessuno le avverte salvo colui che munito d'un apposito apparecchio sa carpire quelle voci, che altrimenti resterebbero vane; le comprende soltanto chi sa mettere il proprio apparecchio in fase di ascoltazione.
L'analogia serve al caso nostro.
Il grande mistero della Redenzione ci è trasmesso, per via del rito liturgico, in modo impressionante:
chi lo accoglie?
e fra quanti ne accolgono la presentazione rituale e rievocativa della storia evangelica quali sono quelli che ne afferrano il senso teologico, reale, attuale?
ed anche fra questi intelligenti del mistero presente, che la liturgia attualizza, chi davvero lo applica a sé? ( Cfr. Eb 3,7ss; Eb 4,2ss )
Vuol essere questo breve sermone un cordiale invito, primo, a partecipare ai riti liturgici della Settimana Santa, la quale vuole essere come una voce del Signore, che ci ricorda, ci spiega, ci offre la partecipazione al mistero della Redenzione:
se oggi questa voce si fa sensibile ai nostri cuori, non siano questi chiusi e indifferenti alla voce divina;
secondo, facciamo un atto di premura per capire, almeno qualche cosa, di tali riti, che incastonati in cerimonie tradizionali ed in lingua latina possono rimanere impenetrabili, come codici antichi, alla nostra intelligenza;
ora vi sono sussidi abbastanza chiarificatori per chi davvero desidera comprenderne il senso e subirne la forza,
e terzo, ciascuno applichi a sé il divino dramma di Gesù, lo riviva nel proprio cuore, ne ascolti l'ineffabile accento, vi conceda un umile e generoso atto di buona volontà.
Chi sa che cosa vuole Gesù sacrificato e Gesù risorto da ciascuno di noi?
A questo individuale segreto il nostro voto benedicente, con l'augurio per tutti di « buona Pasqua ».