13 Luglio 1977
Quello che stiamo per dirvi, per dare anche a questo momentaneo incontro spirituale, ch'è la nostra udienza, un nucleo di buoni pensieri, esortatori, rigeneratori, meritevoli d'essere ricordati e personalmente rielaborati, è estremamente semplice, e già altre volte da noi richiamato all'attenzione dei nostri ascoltatori, riguarda il tema, il vecchio, ma sempre nuovo tema della coscienza, e precisiamo subito, della coscienza morale.
Il motivo di questa scelta può essere cercato alla sommità del nostro ministero pastorale: non è forse ufficio nostro quello di parlare della scienza della vita, che consiste nel vivere bene?
e che cosa desideriamo noi, pastori di anime, se non che i nostri fedeli ci ascoltino e ci seguano sui sentieri delle cristiane virtù? ( Cfr. Gv 10,14 )
E il motivo stesso può essere ravvisato anche in più modesta e immediata intenzione, quella di richiamare la vostra attenzione e la vostra fedeltà a quella comune, ma tanto preziosa e oggi tanto spesso contraddetta norma di vita, che si chiama l'onestà, la buona condotta, la dignità del proprio comportamento.
Che oggi le cronache della nostra vita pubblica siano piene di fatti criminali,
che la delinquenza sia largamente diffusa,
che la vita scorretta sia una via aperta a tanta gente,
che chiamiamo per bene e
che la falsità dei costumi civili sia ammessa come un'arte di curare i propri interessi, o di mascherare azioni viziose, e
che pur troppo tanta gioventù si lasci trascinare a forme deplorevoli e degradanti di insensata condotta,
nessuno può negare, documentata com'è questa decadenza della pubblica moralità da tutti i mezzi moderni di comunicazione sociale.
Si direbbe che le norme del costume sono indebolite,
che l'educazione civile ammette ormai un abbassamento volgare di convivenza, e
che le antiche leggi della civiltà e dell'onestà sono ormai formalismi pedanti e antiquati.
Che cosa è successo?
È difficile dirlo con adeguata precisione di termini, ma è facile a tutti osservare che le forme non solo esteriori, ma anche interiori, personali, della vita moderna sono generalmente discreditate, in omaggio a quelle loro contrarie della cosiddetta permissività, la quale - ahimé! - non intacca soltanto la vernice apparente del costume civile, ma si gloria, come può, di demolire l'armatura etica e pubblica dell'odierna convivenza perfino nei suoi principii superiori dell'umana civiltà.
Non giudichiamo ora il nostro mondo; ma accontentiamoci di conservare un'esigenza di dignità personale, veritiera, e tale da confortare la nostra coscienza circa il proprio dovere d'essere e umana e cristiana.
Non è inutile ricordare la duplice espressione della coscienza, la quale può essere, come insegnano i maestri, psicologica, ovvero morale.
È una distinzione importante.
La coscienza psicologica è una conoscenza riflessa su di sé, che può essere oggi progredita, e tenuta in esercizio dalla cultura, dalla scena comunitaria circostante, la quale stimola questa riflessione psicologica, della quale ora noi non parliamo.
La coscienza morale è oggetto di questo nostro colloquio, ed è, per la concezione della vita, che a noi preme servire e educare, importantissima.
Il « conosci te stesso » dell'antica filosofia ha nella coscienza morale la sua più completa e più alta espressione, per un aspetto essenziale e decisivo dello sviluppo della personalità umana.
E perché? perché in questa forma di coscienza lo spirito è guidato da una naturale tendenza, che i filosofi classici chiamavano « sinderesi », al ricorso interiore a innati principii relativi all'agire umano, i quali oltrepassano i confini della sfera soggettiva, e si rivolgono all'origine dell'attività cosciente:
tendono al rapporto proprio dell'essere umano, con l'Assoluto, al rapporto con Dio.
Cioè la coscienza morale si misura con la relazione del Bene e del Male; guida l'uomo alla sua fonte e al suo termine, e dà allo spirito il senso, che sarà poi giudizio, della sua trascendente responsabilità ( Cfr. S. Thomae Summa Theologiae, I, 79 et 12; 5-55, 31, 1 ad 3 ).
Importantissima percezione, dicevamo, sulla quale si fonda l'evoluzione morale del nostro spirito, e cioè della nostra coscienza morale.
La quale, Figli dilettissimi, non è sorgente di problemi vani e fastidiosi, come gli scrupoli, l'incertezza all'azione, l'involuzione psico-etica dell'animo; ma è semplicemente la coscienza dell'uomo come uomo, e per noi cristiani, come cristiani.
Chi è abituato a inserire nella sua preghiera, cioè nel suo colloquio con Dio, l'esame di coscienza, sa quale conforto, quale luce, quale sorgente di autonomia personale, può venire da tale esame, che abbia per specchio l'occhio di Dio.
Provate.
Con la nostra Benedizione Apostolica.