8 Marzo 1978
La spiritualità della quaresima, del periodo che la nostra religione antepone alla Pasqua, alla celebrazione del grande mistero della nostra salvezza, suppone, anzi esige la coscienza d'una nostra personale necessità di penitenza.
A mano a mano che l'uomo conosce se stesso, e si accorge che la sua esistenza ha in se stessa qualche cosa di irregolare, di incompiuto, di infelice, di cattivo, avverte il bisogno insoddisfatto di accusare la propria imperfezione; un bisogno che documenta una grandezza mancata, un dovere tradito, un rimorso inevitabile, e perciò una miseria patologica; ciò che esalta ed insieme umilia il concetto che l'uomo ha di se stesso.
Noi tutti conosciamo la sapienza d'una parola ch'è alla base della psicologia umana: « la grandezza dell'uomo è grande in ciò ch'egli si riconosce miserabile » ( Pascal, Pensées, 397 ).
Queste considerazioni, che denunciano una condizione penosa, drammatica e tragica perfino dell'esistenza umana, hanno nel Vangelo un'eco precisa, come una voce, che non solo risveglia la triste consapevolezza della nostra congenita infermità, ma che annuncia subito un rimedio: « il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo » ( Mc 1,15 ); « fate penitenza; il regno dei cieli è vicino » ( Mt 3,2; Mt 4,17 ).
Noi tutti conosciamo come queste divine parole sono passate nel costume della Chiesa, nella sua pedagogia, non solo per la formazione esigente dei monaci e dei seguaci fedeli del cristianesimo, ma altresì nel costume del popolo, allorquando il popolo è stato alunno abituale della Chiesa, e quando il modo di vivere della società ha consentito che una disciplina penitenziale, anche prolungata com'è quella della quaresima, avesse comune applicazione ( Cfr. Duchesne, Origines du culte chrétien, p. 254, etc. ).
I tempi sono cambiati, e non solo per l'inadempienza della gente alla prassi ecclesiastica, ma per una diversa organizzazione dell'attività umana, del lavoro specialmente; tanto che l'osservanza regolare, metodica, austera della quaresima, nel digiuno ch'essa impone, è diventata praticamente impossibile; tanto che, dopo il recente Concilio, nuove disposizioni sono state emanate, con una nostra Costituzione Apostolica, dal titolo « Paenitemini », del 17 febbraio 1966, con la quale l'obbligo tradizionale del digiuno è praticamente abolito.
Rimane l'obbligo dell'astinenza per tutti i Venerdì non festivi ( salva la facoltà concessa alle Conferenze Episcopali di commutare tale obbligo in un'altra opera di carattere penitenziale o caritativo o di pietà; e rimane l'obbligo del digiuno e dell'astinenza per il giorno delle Ceneri ( o il primo giorno della Quaresima ) e per il Venerdì Santo.
Questi due giorni restano vincolanti, quanto all'astinenza, dai 14 anni e, dopo compiuto il ventunesimo anno di età, anche quanto al digiuno; gli anziani, però, sono dispensati dall'obbligo del digiuno, all'inizio del sessantesimo anno di età.
Norme molto semplici oramai e conosciute, e tanto più da ricordare se il filo della fedeltà alla legge ecclesiastica ci trova fedeli e puntuali.
Ma oltre queste precisazioni tanto ridotte ( e altre che i Vescovi locali intendessero di aggiungere ) rimane, e più che mai, la legge per tutti della penitenza, la quale vincola sempre ogni buon cristiano, giovane o vecchio, e si fa più urgente quanto più difficili sono i tempi e i costumi del mondo moderno.
La pratica esteriore della mortificazione corporale è oggi molto attenuata; ma il bisogno e il dovere della penitenza, specialmente nello spirito, nel divertimento, nella dissipazione, nei pensieri perversi, reclamano un'osservanza tanto più vigilante ed interiore.
Qui noi dovremmo ricordare lo stile ascetico d'ogni buon cristiano.
Ci limitiamo ad accennare ad un richiamo speciale, alla raccomandazione del perdono fraterno per offese che ci hanno interiormente feriti; è una raccomandazione a cui il Signore ci ha vincolati con la recita della preghiera fondamentale, il « Padre nostro »; se ne dovrà riparlare.
E poi dobbiamo ancora ricordare ( per tacere ora del sacramento della Penitenza ), le tre opere penitenziali che la Chiesa stessa suggerisce in supplenza degli esercizi penitenziali, che oggi non sono praticamente osservabili da tutti; e queste opere sono: la preghiera, la mortificazione dei sensi e dell'orgoglio, e finalmente la carità nelle sue molteplici e a tutti accessibili manifestazioni, tra cui l'elemosina per i fratelli bisognosi occupa ancora un posto preminente.
« La carità - scrive S. Pietro - copre la moltitudine dei peccati » ( 1 Pt 4,8 ).
Fratelli e Figli!
Ricordate, e come ancor oggi vi è insegnato, operate!
Con la nostra Benedizione Apostolica.