18 Marzo 1981
Alcune migliaia di giovani provenienti da diverse diocesi italiane accolgono il Papa nella Basilica di S. Pietro per la prima parte dell'udienza generale: Carissimi giovani,
1. Sono molto lieto di incontrarvi stamane nella Basilica Vaticana, in questa udienza riservata solo per voi, che con la vostra vivacità e la vostra gioia portate il dono della speranza e della fiducia.
Perciò con grande affetto tutti vi saluto: i ragazzi e le fanciulle delle scuole elementari e delle medie, i giovani e le giovani dei corsi superiori; rivolgo poi il mio saluto ai presidi e ai direttori, agli insegnanti, ai professori, ai genitori, agli accompagnatori.
Vi esprimo il mio cordiale ringraziamento per questa vostra visita, ispirata da sentimenti di fede, e desidero assicurarvi del mio affetto e del mio ricordo nella preghiera.
Siete venuti a Roma da tante parti d'Italia, e vorrei che questo pellegrinaggio si imprimesse nella vostra memoria, in modo da esservi di aiuto e di ispirazione per tutta la vostra vita specialmente nei momenti di difficoltà.
2. Il periodo della Quaresima, che stiamo trascorrendo per prepararci degnamente alla commemorazione della Pasqua, mi suggerisce due pensieri che vi lascio come ricordo e come programma.
Voi sapete che Gesù, prima di iniziare la vita pubblica, si ritiro in preghiera per quaranta giorni nel deserto.
Ebbene, carissimi giovani, cercate di fare anche voi un po' di silenzio nella vostra vita, per poter pensare, riflettere, pregare con maggior fervore e fare propositi con maggior decisione.
È difficile oggi creare delle "zone di deserto e di silenzio", perché si è continuamente travolti dall'ingranaggio delle occupazioni, dal frastuono degli avvenimenti, dell'attrattiva dei mezzi di comunicazione, in modo che viene compromessa la pace interiore e vengono ostacolati i pensieri supremi che devono qualificare l'esistenza dell'uomo.
È difficile, ma è possibile ed importante saperlo fare.
Santa Teresa di Gesù Bambino racconta nella sua autobiografia che da bambina ogni tanto si rendeva irreperibile, nascondendosi per pregare.
"Che cosa pensi?" le chiedevano i familiari; ed essa, con innocente semplicità rispondeva: "Penso al buon Dio, alla vita, all'Eternità" ( cf. cap. IV ).
Riservate anche voi un po' di tempo, specialmente alla sera, per pregare, per meditare, per leggere una pagina del Vangelo o un episodio della biografia di qualche santo; createvi una zona di deserto e di silenzio, così necessario per la vita spirituale.
E se vi e possibile, partecipate anche ai ritiri e ai corsi di esercizi spirituali, organizzati nelle vostre diocesi e parrocchie.
3. Insieme con la validità del raccoglimento, Gesù inculca anche la necessità dell'impegno per vincere il male.
Dal racconto degli Evangelisti sappiamo che Gesù stesso volle sottostare alla tentazione.
Egli lo fece per sottolinearne la realtà e per insegnare la strategia del combattimento e della vittoria.
Anche voi, nella vostra fanciullezza e nella vostra giovinezza, avete le vostre tentazioni: essere cristiani significa accettare la realtà della vita ed ingaggiare la lotta necessaria contro il male, secondo il metodo insegnato dal Divin Maestro.
Vi esorto ad essere ora e sempre coraggiosi, senza stupirvi delle difficoltà, confidando sempre in Colui che è vostro Amico e vostro Redentore, e vegliando e pregando, per mantenere salda la vostra fede, viva la vostra "grazia".
Vi protegga la Vergine Maria e vi accompagni la mia benedizione.
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1. Nel nostro incontro di alcune settimane fa, abbiamo concentrato l'attenzione sul passo della prima Lettera ai Corinzi, in cui san Paolo chiama il corpo umano "tempio dello Spirito Santo".
Egli scrive: "O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi?
Infatti siete stati comprati a caro prezzo" ( 1 Cor 6,19-20 ).
"Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?" ( 1 Cor 6,15 ).
L'Apostolo indica il mistero della "redenzione del corpo", compiuta da Cristo, come una sorgente di un particolare dovere morale, che impegna i cristiani alla purezza, a quella che lo stesso Paolo definisce altrove l'esigenza di "mantenere il proprio corpo con santità e rispetto" ( 1 Ts 4,4 ).
2. Tuttavia, non scopriremmo sino in fondo la ricchezza del pensiero contenuto nei testi paolini, se non notassimo che il mistero della redenzione fruttifica nell'uomo anche in modo carismatico.
Lo Spirito Santo che, secondo le parole dell'Apostolo, entra nel corpo umano come nel proprio "tempio", vi abita ed opera insieme ai suoi doni spirituali.
Fra questi doni, noti alla storia della spiritualità come i sette doni dello Spirito Santo ( cf. Is 11,2 ), il più congeniale alla virtù della purezza sembra essere il dono della "pietà" ( eusébeia; donum pietatis )1.
Se la purezza dispone l'uomo a "mantenere il proprio corpo con santità e rispetto", come leggiamo nella prima Lettera ai Tessalonicesi ( 1 Ts 4,3-5 ), la pietà, che è dono dello Spirito Santo, sembra servire in modo particolare la purezza, sensibilizzando il soggetto umano a quella dignità, che è propria del corpo umano in virtù del mistero della creazione e della redenzione.
Grazie al dono della pietà, le parole di Paolo: "Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi … e che non appartenete a voi stessi" ( 1 Cor 6,19 ), acquistano l'eloquenza di un'esperienza e divengono viva e vissuta verità nelle azioni.
Esse aprono pure l'accesso più pieno all'esperienza del significato sponsale del corpo e della libertà del dono collegata con esso, nella quale si svela il volto profondo della purezza e il suo organico legame con l'amore.
3. Sebbene il mantenimento del proprio corpo "con santità e rispetto" si formi mediante l'astensione dalla "impudicizia" – e tale via è indispensabile – tuttavia fruttifica sempre nell'esperienza più profonda di quell'amore, che è stato iscritto dal "principio", secondo l'immagine e somiglianza di Dio stesso, in tutto l'essere umano e quindi anche nel suo corpo.
Perciò san Paolo termina la sua argomentazione della prima Lettera ai Corinzi nel capitolo 6 con una significativa esortazione: "Glorificate dunque Dio nel vostro corpo" ( 1 Cor 6,20 ).
La purezza, quale virtù ossia capacità di "mantenere il proprio corpo con santità e rispetto", alleata con il dono della pietà, quale frutto della dimora dello Spirito Santo nel "tempio" del corpo, attua in esso una tale pienezza di dignità nei rapporti interpersonali, che Dio stesso vi è glorificato.
La purezza è gloria del corpo umano davanti a Dio.
È la gloria di Dio nel corpo umano attraverso il quale si manifestano la mascolinità e la femminilità.
Dalla purezza scaturisce quella singolare bellezza, che permea ogni sfera della reciproca convivenza degli uomini e consente di esprimervi la semplicità e la profondità, la cordialità e l'autenticità irripetibile dell'affidamento personale ( forse si darà più tardi un'altra occasione per trattare più ampiamente questo tema.
Il legame della purezza con l'amore e anche il legame della stessa purezza nell'amore con quel dono dello Spirito Santo che è la pietà, costituisce una trama poco conosciuta della teologia del corpo, che tuttavia merita un approfondimento particolare.
Ciò potrà essere realizzato nel corso delle analisi riguardanti la sacramentalità del matrimonio ).
4. Ed ora un breve riferimento all'Antico Testamento.
La dottrina paolina circa la purezza, intesa come "vita secondo lo Spirito", sembra indicare una certa continuità nei confronti dei Libri "sapienziali" dell'Antico Testamento.
Vi riscontriamo, ad esempio, la seguente preghiera per ottenere la purezza nei pensieri, parole ed opere: "Signore, padre e Dio della mia vita …
Sensualità e libidine non s'impadroniscano di me, a desideri vergognosi non mi abbandonare" ( Sir 23,4-6 ).
La purezza è infatti condizione per trovare la sapienza e per seguirla, come leggiamo nello stesso Libro: "A lei ( cioè alla sapienza ) rivolsi il mio desiderio, e la trovai nella purezza" ( Sir 51,20 ).
Inoltre, si potrebbe anche in qualche modo prendere in considerazione il testo del Libro della Sapienza ( Sap 8,21 ) conosciuto dalla liturgia nella versione della volgata: "Scrivi quoniam aliter non possum esse continens, nisi Deus det; et hoc ipsum erat sapientiae, scire, cuius esset hoc donum" ( Questa versione della volgata, conservata dalla Neo-Volgata e dalla liturgia, citata parecchie volte da Agostino [ De sacra virginitate, par. 43; Confessiones, VI, 11; X, 29; Sermo CLX, 7 ], cambia tuttavia il senso dell'originale greco, che si traduce così: "Sapendo che non l'avrei altrimenti ottenuta [ = la Sapienza ], se Dio non me l'avesse concessa …".
Secondo un tale concetto, non tanto la purezza è condizione della sapienza quanto la sapienza sarebbe condizione della purezza, come di un dono particolare di Dio.
Sembra che già nei sopracitati testi sapienziali si delinei il duplice significato della purezza: come virtù e come dono.
La virtù è a servizio della sapienza, e la sapienza predispone ad accogliere il dono che proviene da Dio.
Questo dono fortifica la virtù e consente di godere, nella sapienza, i frutti di una condotta e di una vita che siano pure.
5. Come Cristo nella sua beatitudine del Discorso della montagna, la quale si riferisce ai "puri di cuore", pone in risalto la "visione di Dio", frutto della purezza e in prospettiva escatologica, così Paolo a sua volta mette in luce la sua irradiazione nelle dimensioni della temporalità, quando scrive: "Tutto è puro per i puri; ma per i contaminati e gli infedeli nulla è puro; sono contaminate la loro mente e la loro coscienza.
Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti …" ( Tt 1,15ss ).
Queste parole possono riferirsi anche alla purezza in senso tanto generale quanto specifico, come alla nota caratteristica di ogni bene morale.
Per la concezione paolina della purezza, nel senso di cui parlano la prima Lettera ai Tessalonicesi ( 1 Ts 4,3-5 ) e la prima Lettera ai Corinzi ( 1 Cor 6,13-20 ), cioè nel senso della "vita secondo lo Spirito", sembra essere fondamentale – come risulta dall'insieme di queste nostre considerazioni – l'antropologia della rinascita nello Spirito Santo ( cf. Gv 3,5ss ).
Essa cresce dalle radici messe nella realtà della redenzione del corpo, operata da Cristo: redenzione, la cui espressione ultima è la risurrezione.
Vi sono profonde ragioni per collegare l'intera tematica della purezza alle parole del Vangelo nelle quali Cristo si richiama alla risurrezione ( e ciò costituirà il tema della ulteriore tappa delle nostre considerazioni ).
Qui l'abbiamo soprattutto posta in rapporto con l'ethos della redenzione del corpo.
6. Il modo di intendere e di presentare la purezza – ereditata dalla tradizione dell'Antico Testamento e caratteristico dei Libri "sapienziali" – era certamente una indiretta, ma nondimeno reale preparazione alla dottrina paolina circa la purezza intesa come "vita secondo lo Spirito".
Senza dubbio quel modo facilitava pure a molti ascoltatori del Discorso della montagna la comprensione delle parole di Cristo, quando egli, spiegando il comandamento "Non commettere adulterio", si richiamava al "cuore" umano.
L'insieme delle nostre riflessioni ha potuto in questo modo dimostrare, almeno in una certa misura, con quale ricchezza e con quale profondità si distingue la dottrina sulla purezza nelle sue stesse fonti bibliche ed evangeliche.
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L'eusébeia o pietas nel periodo ellenistico-romano si riferiva generalmente alla venerazione degli Dei (come "devozione"), ma conserva ancora il senso primitivo più largo del rispetto verso le strutture vitali. L'eusébeia definiva il comportamento reciproco dei consanguinei, i rapporti tra i coniugi, e anche l'atteggiamento dovuto dalle legioni verso Cesare o degli schiavi verso i padroni. Nel Nuovo Testamento, soltanto gli scritti più tardivi applicano l'eusébeia ai cristiani; negli scritti più antichi tale termine caratterizza i "buoni pagani" (
At 10,2.7;
At 17,23 ). E così l'eusébeia ellenica, come pure il "donum pietatis", pur riferendosi indubbiamente alla venerazione divina, hanno una larga base nella connotazione dei rapporti interumani ( cf. W. Forester, art Eusébeia, in Theological Dichionary of the New Testament, ed. G. Kittel-G. Bromiley, vol. VII, Grand Rapids 1971, Eedermans, pp. 177-182 ). |