10 Novembre 2004
1. Sono ora risuonate le dolci parole del Salmo 62, un canto di fiducia, aperto da una sorta di antifona, ripetuta a metà del testo.
È come una serena e forte giaculatoria, un’invocazione che è anche un programma di vita: « Solo in Dio riposa l’anima mia; da lui la mia salvezza.
Lui solo è mia rupe e mia salvezza, mia roccia di difesa: non potrò vacillare » ( Sal 62,2-3.6-7 ).
2. Il Salmo, però, nel suo svolgimento contrappone due specie di fiducia.
Sono due scelte fondamentali, una buona e una perversa, che comportano due differenti condotte morali.
C’è innanzitutto la fiducia in Dio, esaltata nell’invocazione iniziale ove entra in scena un simbolo di stabilità e di sicurezza, come la rupe, « la roccia di difesa », ossia una fortezza e un baluardo di protezione.
Il Salmista ribadisce: « In Dio è la mia salvezza e la mia gloria; il mio saldo rifugio, la mia difesa è in Dio » ( Sal 2,8 ).
Questo egli afferma dopo aver evocato le trame ostili dei suoi nemici che tentano di « precipitarlo dall’alto » ( Sal 62,4-5 ).
3. C’è poi un’altra fiducia di stampo idolatrico, sulla quale l’orante fissa con insistenza la sua attenzione critica.
È una fiducia che fa cercare la sicurezza e la stabilità nella violenza, nella rapina e nella ricchezza.
L’appello diviene, allora, chiaro e netto: « Non confidate nella violenza, non illudetevi della rapina; alla ricchezza, anche se abbonda, non attaccate il cuore! » ( Sal 62,11 ).
Tre sono gli idoli qui evocati e proscritti come contrari alla dignità dell’uomo e alla convivenza sociale.
4. Il primo falso dio è la violenza cui l’umanità continua purtroppo a ricorrere anche nei nostri giorni insanguinati.
A questo idolo si accompagna l’immenso corteo di guerre, oppressioni, prevaricazioni, torture e uccisioni esecrande, inflitte senza sussulto di rimorso.
Il secondo falso dio è la rapina, che s’esprime nell’estorsione, nell’ingiustizia sociale, nell’usura, nella corruzione politica ed economica.
Troppa gente coltiva l’«illusione» di soddisfare in questo modo la propria ingordigia.
Infine, la ricchezza è il terzo idolo a cui « si attacca il cuore » dell’uomo nella speranza ingannevole di potersi salvare dalla morte ( Sal 49 ) e assicurarsi un primato di prestigio e di potere.
5. Servendo questa triade diabolica, l’uomo dimentica che gli idoli sono ritrovati inconsistenti, anzi dannosi.
Fidandosi delle cose e di se stesso, egli si scorda così di essere « un soffio… una menzogna », anzi, se pesato su una bilancia, « meno di un soffio » ( Sal 62,10; Sal 39,6-7 ).
Se noi fossimo più consapevoli della nostra caducità e del limite proprio delle creature, non sceglieremmo la via della fiducia negli idoli, né organizzeremmo la nostra vita su una scala di pseudo-valori fragili e inconsistenti.
Ci orienteremmo piuttosto verso l’altra fiducia, quella che ha il suo centro nel Signore, sorgente di eternità e di pace.
A lui solo, infatti, «appartiene il potere»; lui solo è sorgente di grazia; lui solo è artefice di giustizia, «ripagando ogni uomo secondo le sue opere» ( Sal 62,12-13 ).
6. Il Concilio Vaticano II ha applicato ai sacerdoti, l’invito del Salmo 61 a « non attaccare il cuore alla ricchezza » ( Sal 62,11b ).
Il Decreto sul ministero e la vita sacerdotale esorta: « Non si affezionino in alcun modo alle ricchezze, evitino ogni bramosia e si estraneino da qualsiasi tipo di commercio » ( Presbyterorum ordinis, n. 17 ).
Tuttavia questo appello a rigettare la fiducia perversa e a scegliere quella che ci porta a Dio vale per tutti e deve diventare la nostra stella polare nel comportamento quotidiano, nelle decisioni morali, nello stile di vita.
7. Certo, questa è una via ardua che comporta anche prove per il giusto e scelte coraggiose, sempre però segnate dalla fiducia in Dio ( Sal 62,2 ).
In questa luce i Padri della Chiesa hanno visto nell’orante del Salmo 62 la prefigurazione di Cristo, ed hanno posto l’invocazione iniziale di totale fiducia e adesione a Dio sulle labbra di Lui.
A questo proposito nel Commento al Salmo 62 sant’Ambrogio così argomenta: « Il Signore nostro Gesù, nel prendere su di sé la carne dell’uomo per purificarla nella sua persona, che cosa avrebbe dovuto fare subito, se non cancellare l’influsso malefico dell’antico peccato?
Per mezzo della disobbedienza, cioè violando le prescrizioni divine, si era insinuata strisciando la colpa.
Prima di tutto allora ha dovuto ripristinare l’obbedienza, per bloccare il focolaio del peccato…
Di persona ha preso su di sé l’obbedienza, per travasarla in noi » ( Commento a dodici Salmi 61,4: SAEMO, VIII, Milano-Roma 1980, p. 283 ).