In occasione dell'Anno Internazionale delle persone handicappate, proclamato per il 1981 dall'Organizzazione delle Nazioni Unite, la Santa Sede ha diffuso il seguente documento.
A quanti si dedicano al servizio delle persone handicappate
Fin dal primo momento, la Santa Sede ha accolto con favore l'iniziativa delle Nazioni Unite di proclamare il 1981 "Anno Internazionale delle persone handicappate".
Se, infatti, per il loro numero - si calcola che superino i 400 milioni ma soprattutto per la loro particolare condizione umana e sociale, tali soggetti meritano il fattivo interessamento della comunità mondiale, non può mancare, in questa nobile impresa, la sollecitudine solerte e vigile della Chiesa, che, per sua natura, vocazione e missione, ha particolarmente a cuore le sorti dei fratelli più deboli e provati.
Per questo, essa ha seguito con grande attenzione quanto si è venuto finora attuando a favore degli handicappati sul piano legislativo, sia nazionale che internazionale:
degne di rilievo, a questo riguardo sono la Dichiarazione dei diritti degli handicappati da parte dell'ONU
e la dichiarazione concernente i diritti che le persone mentalmente ritardate
come pure le acquisizioni e le prospettive della ricerca scientifica e sociale, le proposte innovatrici e le opere di vario genere che si stanno sviluppando nel settore.
Tali iniziative manifestano una rinnovata presa di coscienza del dovere di solidarietà in questo specifico campo dell'umana sofferenza, tenendo inoltre presente che nei Paesi del Terzo Mondo la sorte dei soggetti handicappati è ancor più grave, e richiede maggiore attenzione e più sollecita considerazione.
La Chiesa si associa pienamente alle iniziative e ai lodevoli sforzi posti in atto per migliorare la situazione delle persone handicappate e intende apportarvi il proprio specifico contributo.
Essa lo fa, anzitutto, per la fedeltà all'esempio e all'insegnamento del suo fondatore.
Gesù Cristo, infatti, ha riservato una cura particolare e prioritaria ai sofferenti, in tutta la vasta gamma dell'umano dolore, avvolgendoli del suo amore misericordioso durante il suo ministero, e manifestando in essi la potenza salvifica della redenzione che abbraccia l'uomo nella sua singolarità e totalità.
Gli emarginati, gli svantaggiati, i poveri, i sofferenti, i malati, sono stati destinatari privilegiati dell'annuncio, in parole ed opere, della Buona Novella del Regno di Dio che irrompe nella storia dell'umanità.
La comunità dei discepoli di Cristo, seguendo il suo esempio, ha fatto fiorire, lungo i secoli, opere di straordinaria generosità, che testimoniano non solo la fede e la speranza in Dio, ma anche una fede ed un amore incrollabili nella dignità dell'uomo, nel valore irrepetibile di ogni singola vita umana e nel destino trascendente di chi è chiamato all'esistenza.
Nella visione di fede e nella concezione dell'uomo che loro è propria, i cristiani sanno che anche nell'essere handicappato riluce, misteriosamente, l'immagine e la somiglianza che Dio stesso ha voluto imprimere nella vita dei suoi figli; e ricordando che lo stesso Cristo ha voluto misticamente identificarsi nel prossimo sofferente, ritenendo come fatto a se stesso tutto ciò che fosse compiuto a favore dei più piccoli tra i suoi fratelli ( cf. Mt 25,31-46 ), si sentono sollecitati a servire in Lui coloro che la prova fisica ha colpito e menomato, e non intendono ritirarsi di fronte a nulla di ciò che debba essere compiuto, sia pure con sacrificio personale, per alleviarne la condizione di inferiorità.
Come non pensare in questo momento, con viva riconoscenza, a tutte le comunità e associazioni, a tutti i Religiosi e le Religiose, a tutti i volontari del laicato che si prodigano nel servizio delle persone handicappate, attestando la perenne vitalità di quell'amore che non conosce barriere.
È in questo spirito che la Santa Sede, mentre esprime ai Responsabili del bene comune, alle Organizzazioni Internazionali e a tutti coloro che si dedicano al servizio degli handicappati il proprio compiacimento ed incoraggiamento per le iniziative intraprese, ritiene utile richiamare brevemente alcuni principi, che possano essere di guida nell'approccio di tali persone, e suggerire altresì qualche linea operativa.
Il primo principio, che dev'essere affermato con chiarezza e vigore, è che la persona handicappata ( sia essa tale per infermità congenita, a seguito di malattie croniche, ad infortuni, come anche per debilità mentale o infermità sensoriali, quale che sia l'entità di tali lesioni ) è un soggetto pienamente umano, con corrispondenti diritti innati, sacri e inviolabili
Tale affermazione poggia sul fermo riconoscimento che l'essere umano possiede una propria dignità unica ed un proprio autonomo valore fin dal suo concepimento ed in ogni stadio del suo sviluppo, qualunque siano le sue condizioni fisiche.
Questo principio che scaturisce dalla retta coscienza universale, dev'essere assunto come il fondamento incrollabile della legislazione e della vita sociale.
A ben riflettere, anzi, si potrebbe dire che la persona dell'handicappato, con le limitazioni e la sofferenza che porta iscritte nel suo corpo e nelle sue facoltà, pone in maggiore rilievo il mistero dell'essere umano, con tutta la sua dignità e grandezza.
Dinanzi alla persona handicappata, siamo introdotti alle frontiere segrete dell'umana esistenza e a questo mistero siamo chiamati ad accostarci con rispetto e con amore.
2 . Poiché la persona portatrice di "handicaps" è un soggetto con tutti i suoi diritti, essa deve essere facilitata a partecipare alla vita della società in tutte le dimensioni e a tutti i livelli, che siano accessibili alle sue possibilità.
Il riconoscimento di questi diritti ed il dovere della solidarietà umana costituiscono un impegno ed un compito da realizzare, creando condizioni e strutture psicologiche, sociali, familiari, educative e legislative idonee per l'accoglienza e lo sviluppo integrale della persona handicappata.
La Dichiarazione sui Diritti delle persone Handicappate proclama, infatti, al n. 3, che "l'handicappato ha un diritto connaturato al rispetto della sua dignità umana.
L'handicappato, quali che siano l'origine, la natura e la gravità delle sue difficoltà e deficienze, ha gli stessi diritti fondamentali dei suoi concittadini di pari età, il che comporta come primo e principale diritto quello di godere di una vita decente, normale e ricca quanto più è possibile".
3. La qualità di una società e di una civiltà si misura dal rispetto che essa manifesta verso i più deboli dei suoi membri.
Una società tecnocraticamente perfetta, dove siano ammessi solo membri pienamente funzionali e dove chi non rientri in questo modello o sia inabile a svolgere un suo ruolo, venga emarginato, recluso o anche peggio, eliminato, sarebbe da considerare come radicalmente indegna dell'uomo, anche se risultasse economicamente vantaggiosa.
Essa sarebbe infatti pervertita da una specie di discriminazione non meno condannabile di quella razziale, la discriminazione dei forti e dei "sani" contro i deboli ed i malati.
Bisogna affermare con ogni chiarezza che la persona handicappata è uno di noi, partecipe della nostra stessa umanità.
Riconoscendo e promovendo la sua dignità ed i suoi diritti, noi riconosciamo e promuoviamo la nostra stessa dignità ed i nostri stessi diritti.
4. L'orientamento fondamentale nell'approccio ai problemi concernenti la partecipazione delle persone handicappate alla vita sociale, dev'essere ispirato dai principi di integrazione, normalizzazione e personalizzazione.
Il principio dell'integrazione si oppone alla tendenza all'isolamento, alla segregazione e alla marginalizzazione della persona handicappata, ma va anche al di là di un atteggiamento di mera tolleranza nei suoi riguardi.
Esso comporta l'impegno di rendere la persona handicappata un soggetto a pieno titolo, secondo le sue possibilità, sia nell'ambito della vita familiare, che in quello della scuola, del lavoro e, più in generale, nella comunità sociale, politica, religiosa.
Da questo principio deriva poi come naturale conseguenza quello della normalizzazione, che significa e implica lo sforzo teso alla riabilitazione completa delle persone handicappate con tutti i mezzi e le tecniche oggi a disposizione e, ove ciò non risulti possibile, alla realizzazione di un quadro di vita e di attività che si avvicini, il più possibile, a quello normale.
Il principio della personalizzazione, infine, mette in luce che nelle cure di vario genere, come pure nei diversi rapporti educativi e sociali intesi ad eliminare gli handicaps, si deve sempre considerare, proteggere e promuovere anzitutto la dignità, il benessere e lo sviluppo integrale della persona handicappata, in tutte le sue dimensioni e facoltà fisiche, morali.
Tale principio significa ed implica, inoltre, il superamento di certi ambienti caratterizzati dal collettivismo e dall'anonimato, nei quali la persona handicappata è talvolta relegata a vivere.
1. Non si può non auspicare che a tali enunciati - come a quelli della citata Dichiarazione - sia dato pieno riconoscimento nella comunità internazionale e nazionale, evitando interpretazioni riduttive, eccezioni arbitrarie, se non addirittura applicazioni contrarie all'etica, che finiscano per vanificare il senso e la portata.
Gli sviluppi della scienza e della medicina hanno permesso ai nostri giorni, di scoprire nel feto alcuni difetti che possono dare origine a future malformazioni e deficienze.
L'impossibilità in cui si trova per il momento la medicina a porvi rimedio, ha condotto alcuni a proporre ed anche a praticare la soppressione del feto.
Questo comportamento nasce da un atteggiamento di pseudoumanesimo, che compromette l'ordine etico dei valori oggettivi e non può essere rigettato dalle coscienze rette.
Esso manifesta un modo di agire che ove fosse applicato in un età diversa, sarebbe considerato gravemente anti-umano.
Inoltre, la negligenza deliberata di assistenza o qualsiasi atto che porti alla soppressione del neonato handicappato rappresentano attentati non solo all'etica medica, ma anche al diritto fondamentale e inalienabile alla vita.
E non si può disporre a piacimento della vita umana, arrogandosi sopra di essa un potere arbitrario.
La medicina perde il suo titolo di nobiltà quando, invece di attaccare la malattia, attacca la vita; infatti la prevenzione dev'essere contro la malattia, non contro la vita.
E non si potrà mai affermare che si vuol recare sollievo ad una famiglia, sopprimendo uno dei suoi membri.
Il rispetto, la dedizione, il tempo e i mezzi richiesti dalla cura delle persone handicappate, anche di quelle gravemente affette nelle facoltà mentali, è il prezzo che una società deve generosamente versare per rimanere realmente umana.
2. Dalla chiara affermazione di questo punto deriva come conseguenza il dovere di intraprendere più estese e approfondite ricerche per debellare le cause degli "handicaps".
Molto, certamente, è stato fatto negli ultimi anni in questo campo, ma resta da fare ancora di più.
Agli uomini di scienza spetta il nobilissimo compito di porre la loro competenza e i loro studi al servizio del miglioramento della qualità e della difesa della vita umana.
Le tendenze attuali nel campo della genetica, della fetologia, perinatologia, della biochimica e della neurologia, per menzionare solo alcune discipline, permettono di nutrire la speranza di sensibili progressi.
Uno sforzo unificante delle ricerche non mancherà, come è auspicabile, di approdare a risultati incoraggianti in un futuro non lontano.
Queste iniziative di ricerca fondamentale e di applicazione delle conoscenze acquisite meritano pertanto un più deciso impulso ed un più concreto sostegno.
La Santa Sede auspica che le Istituzioni Internazionali, i Pubblici Poteri delle singole nazioni, gli Organismi di ricerca, le Organizzazioni non governative e Fondazioni private vogliono sempre più stimolare la ricerca e destinarvi i fondi necessari.
3. L'azione prioritaria di prevenzione degli "handicaps" dovrebbe far riflettere anche sul preoccupante fenomeno di persone che, in numero elevato subiscono "stress" e "chochs" che turbano la loro vita psichica e interiore.
Prevenire questi handicaps e promuovere la salute dello spirito, significa e implica uno sforzo concorde e creativo per favorire un'educazione integrale, un ambiente, rapporti umani e strumenti di comunicazione in cui la persona non sia mutilata nelle sue più profonde esigenze ed aspirazioni - in primo luogo quelle morali e spirituali - e non subisca violenze che possano finire per compromettere il suo equilibrio ed il suo dinamismo interiore.
Un'ecologia spirituale s'impone al pari di un'ecologia naturale.
4. Quando l' "handicap", nonostante l'applicazione responsabile e rigorosa di tutte le tecniche e le cure oggi disponibili, si rileva irrimediabile e irreversibile, si dovranno ricercare e attuare tutte le altre possibilità di crescita umana e di integrazione sociale che restano aperte per chi ne sia affetto.
Oltre al diritto alle cure mediche appropriate, la Dichiarazione delle Nazioni Unite enumera altri diritti che hanno come obiettivo l'integrazione o la reintegrazione più completa possibile nella società.
Tali diritti hanno una ripercussione molto ampia su un insieme di servizi esistenti o da organizzare, tra i quali possono essere menzionati l'organizzazione di un adeguato sistema educativo, la formazione professionale responsabile, i servizi di "counseling", un appropriato posto di lavoro.
5. Vi è un punto che pare meritevole di particolare attenzione.
La dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone handicappate, afferma che "l'handicappato ha il diritto di vivere in seno alla propria famiglia o ad un focolare alternativo" ( n. 9 ).
L'effettiva realizzazione di questo diritto risulta estremamente importante.
In effetti, è nel focolare domestico, circondata dagli affetti familiari, che la persona handicappata trova l'ambiente più naturale e confacente al suo sviluppo.
Tenendo conto di questa configurazione primordiale della famiglia per lo sviluppo e l'integrazione della persona handicappata nella società, i responsabili delle strutture medico-sociali e ortopedagogiche dovrebbero progettare la propria strategia a partire dalla famiglia e facendo di questa la principale forza dinamica nel processo di cura e di integrazione sociale.
6. In tale ottica, occorrerà tener presente l'importanza decisiva che riveste l'aiuto da offrire nel momento in cui i genitori fanno la dolorosa scoperta che un loro figlio è handicappato.
Il trauma che ne deriva può essere di natura così profonda e determinare una crisi talmente forte che scuote tutto un sistema di valori.
La mancanza di una precoce assistenza e di un adeguato sostegno in questa fase può avere conseguenze nefaste tanto per i genitori che per la persona handicappata.
Non ci si dovrà pertanto accontentare del solo esame diagnostico, lasciando poi i genitori abbandonati a se stessi.
L'isolamento ed il rifiuto della società potrebbero condurli a non accettare o, Dio non voglia, a rifiutare la prole handicappata.
Occorre, dunque, che le famiglie siano circondate da profonda comprensione e simpatia da parte della comunità e ricevano dalle associazioni e dai pubblici poteri una assistenza adeguata fin dall'inizio della scoperta dell' "handicap" in un loro membro.
La Santa Sede consapevole dell'eroica forza d'animo da essa richiesta non può non dare un contributo di apprezzamento ed esprimere profonda riconoscenza a quelle famiglie che, generosamente e coraggiosamente, hanno accettato di prendersi cura e persino di adottare bambini handicappati.
La testimonianza che esse rendono alla dignità, al valore e alla sacralità della persona umana merita d'essere apertamente riconosciuta e sostenuta da tutta la comunità umana.
7. Quando circostanze particolari o esigenze speciali, che hanno per fine la riabilitazione della persona handicappata, esigono il soggiorno temporaneo anche permanente di questa al di fuori del focolare domestico, le case di accoglienza e le istituzioni che si sostituiscono alla famiglia dovrebbero, nella loro concezione e nel loro funzionamento, avvicinarsi per quanto possibile al modello familiare, evitando la segregazione e l'anonimato.
Occorrerà, dunque, fare in modo che durante il soggiorno in questi centri i legami delle persone handicappate con la famiglia e con gli amici siano coltivati con frequenza e spontaneità.
La cura amorosa, la dedizione, oltre che la competenza professionale, di genitori, familiari ed educatori, hanno ottenuto, secondo molteplici testimonianze, risultati di insospettata efficacia per lo sviluppo umano e professionale delle persone handicappate.
L'esperienza ha dimostrato - e questo sembra un punto importante di riflessione - che in un ambiente umano e familiare favorevole, pieno di rispetto profondo e di sincero affetto, le persone handicappate possono sviluppare in modo sorprendente le loro qualità umane, morali e spirituali fino a divenire, a loro volta, donatrici di pace e persino di gioia.
8. La vita affettiva delle persone handicappate dovrà ricevere particolare attenzione.
Quando, soprattutto, per causa del loro "handicap" fossero impossibilitate a contrarre matrimonio, è importante che non solo siano convenientemente protette dalla promiscuità e dallo sfruttamento, ma possano anche trovare una comunità piena di calore umano, in cui il loro bisogno di amicizia e di amore sia rispettato e soddisfatto in conformità alla loro inalienabile dignità morale.
9. Il bambino ed il giovane handicappato hanno evidentemente diritto all'istruzione.
Questa sarà loro assicurata, per quanto possibile, per mezzo di una scolarità normale, oppure tramite scuole specializzate secondo la natura degli "handicaps".
Laddove si richieda una scolarizzazione a domicilio, è auspicabile che le competenti autorità forniscano i mezzi necessari alle famiglie.
Dovrà ugualmente essere reso possibile e facilitato l'accesso all'insegnamento superiore ed una opportuna assistenza post-scolastica.
10. Un momento particolarmente delicato nella vita della persona handicappata è il passaggio dalla scuola all'inserimento nella società o nella vita professionale.
In questa fase essa ha bisogno della particolare comprensione e incoraggiamento delle diverse istanze della comunità.
Spetta ai pubblici poteri garantire e promuovere con efficaci misure il diritto delle persone handicappate alla preparazione professionale e al lavoro, in modo che possano essere inserite in un'attività professionale per la quale sono idonee.
Una grande attenzione dovrà essere rivolta alle condizioni di lavoro, come l'assegnazione di posti in funzione degli "handicaps", giusti salari e possibilità di promozione.
È assai raccomandabile una previa informazione ai datori di lavoro circa l'impiego, le condizioni e la psicologia delle persone handicappate.
Queste, in effetti, incontrano svariati ostacoli nel settore professionale, quali, ad esempio il senso di inferiorità riguardo al proprio aspetto o all'eventuale rendimento, la preoccupazione di incorrere in incidenti di lavoro , ecc.
11. Evidentemente la persona handicappata possiede tutti i diritti, civili e politici, che competono agli altri cittadini e dev'essere, in linea di massima, abilitata al loro esercizio.
Certe forme di handicaps, tuttavia - si pensi alla categoria numericamente importante dei portatori di handicaps mentali - possono costituire un ostacolo all'esercizio responsabile di tali diritti.
Anche in questi casi si dovrà agire non in forma arbitraria o applicando misure repressive, ma in base a rigorosi e obiettivi criteri etico-giuridici.
12. L'handicappato, peraltro, dovrà essere sollecitato a non ridursi ad essere soltanto un soggetto di diritti, abituato a fruire delle cure e della solidarietà altrui, in atteggiamento di mera passività.
Egli non è solamente colui al quale si dà; deve essere aiutato a divenire anche colui che dà, e nella misura di tutte le possibilità proprie.
Un momento importante e decisivo nella formazione sarà raggiunto quando egli avrà preso consapevolezza della sua dignità e dei suoi valori e si sarà reso conto che ci si attende qualcosa da lui e che anch'egli può e deve contribuire al progresso e al bene della sua famiglia e della comunità.
Deve avere di se stesso una idea realista, questo è certo, ma anche positiva; facendosi riconoscere come persona in grado di avere delle responsabilità, capace di volere e di collaborare.
13. Numerose persone, associazioni ed istituzioni si dedicano oggi per professione, spesso per autentica vocazione umanitaria e religiosa all'assistenza degli handicappati.
In non pochi casi questi ultimi hanno mostrato di preferire un personale ed educatori "volontari", perché avvertono in essi un senso particolare di gratuità e di solidarietà.
Questa osservazione mette in luce come la competenza tecnico-professionale, se è senz'altro necessaria e se deve anzi essere in tutti i modi coltivata ed arricchita, da sola tuttavia non sia sufficiente.
Occorre unire all'alta competenza una ricca sensibilità umana.
Coloro che lodevolmente si dedicano al servizio delle persone handicappate devono conoscere con intelligenza scientifica gli handicaps, ma devono, in pari tempo, comprendere col cuore la persona portatrice di handicaps.
Essi devono imparare a divenire sensibili ai segni propri di espressione e di comunicazione delle persone handicappate, devono conquistare l'arte di porre il gesto esatto e di dire la parola conveniente, devono saper vedere con serenità eventuali reazioni o forme emotive e imparare a dialogare con i genitori e i familiari delle persone handicappate.
Questa competenza non diverrà pienamente umana se non è interiormente sostenuta da disposizioni morali e spirituali appropriate, fatte di attenzione, sensibilità, rispetto particolare per tutto ciò che nell'essere umano è fonte di debolezza e di dipendenza.
La cura e l'assistenza delle persone handicappate diviene allora anche per i genitori, educatori e personale di servizio, una scuola: una scuola impegnativa, nobile ed elevante di autentica umanità.
14. È molto importante e persino necessario che i servizi professionali ricevano da parte dei pubblici poteri un appoggio morale e materiale in vista di un'organizzazione la più adeguata possibile e di un funzionamento efficace degli interventi specializzati.
Molte nazioni hanno già o stanno dandosi una legislazione esemplare che definisce e protegge lo statuto legale della persona handicappata.
Là dove essa ancora non esista, è compito dei governi provvedere alla effettiva garanzia e alla promozione dei diritti delle persone handicappate.
Sarebbe vantaggioso, a questo fine, se le famiglie e le organizzazioni volontarie fossero associate alla elaborazione delle norme giuridiche e sociali in materia.
15. Anche la migliore legislazione tuttavia rischia di non incidere sul contesto sociale o di non portare tutti i suoi frutti, se non è recepita dalla coscienza personale dei cittadini e dalla coscienza collettiva della comunità.
Le persone handicappate, le loro famiglie e i loro parenti costituiscono una parte della grande famiglia umana.
Per quanto grande, purtroppo, possa essere il loro numero, esse formano un gruppo minoritario all'interno della comunità.
Già per questo solo fatto esiste il pericolo che non godano sufficientemente dell'interesse generale.
Si aggiunge a ciò la reazione, spesso spontanea, di una comunità che rigetta e reprime psicologicamente ciò che non s'inquadra nelle consuetudini.
L'uomo non desidera essere confrontato con forme di esistenza che riflettono visibilmente gli aspetti negativi della vita.
È così che si origina il fenomeno della emarginazione e della discriminazione come una sorta di meccanismo di difesa e di rigetto.
Tuttavia l'uomo e la società sono veramente umani quando entrano in un processo cosciente e voluto di accettazione anche della debolezza, di solidarietà e di partecipazione anche alle sofferenze del prossimo, si deve reagire con l'educazione alla detta tendenza.
La celebrazione dell'anno internazionale delle persone handicappate offre pertanto opportunità propizia per un ripensamento più accurato e globale della situazione, dei problemi e delle esigenze di milioni di esseri che compongono la famiglia umana, particolarmente nel terzo mondo.
È importante che questa occasione non sia lasciata passare invano.
Con l'apporto delle scienze e col contributo di tutte le istanze della società, essa deve condurre ad una migliore comprensione della persona handicappata, della sua dignità e dei suoi diritti , e, soprattutto, essa deve favorire l'affermarsi di un amore sincero e fattivo per ogni uomo nella sua unicità e concretezza.
16. I cristiani hanno una missione insostituibile da svolgere su questo punto.
Ricordiamo le responsabilità che loro incombono come testimoni di Cristo, essi devono far propri i sentimenti del Salvatore verso i sofferenti, e stimolare nel mondo l'atteggiamento e l'esempio della carità, affinchè l'interesse per i fratelli meno dotati non venga mai meno.
Il Concilio Vaticano II ha individuato in tale presenza caritativa il nucleo essenziale dell'apostolato dei laici, ricordando che Cristo ha fatto proprio il precetto della carità verso il prossimo « e lo ha arricchito di un nuovo significato avendo voluto identificare se stesso con i fratelli come oggetto della carità ...
Egli infatti, assumendo la natura umana con una certa solidarietà soprannaturale ha legato a sè come sua famiglia tutto il genere umano, ed ha stabilito che la carità fosse il distintivo dei suoi discepoli con le parole: "Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni verso gli altri" ( Gv 13,35 ).
La santa Chiesa, come fin dalle sue prime origini, unendo insieme la "agape" con la Cena Eucaristica si manifestava tutta unita nel vincolo della carità attorno a Cristo, così in ogni tempo, si riconosce da questo contrassegno della carità, e, mentre gode delle iniziative altrui, rivendica le opere di carità come un suo dovere e diritto inalienabile.
Perciò la misericordia verso i poveri e gli infermi e le cosiddette opere caritative e di mutuo aiuto, destinate ad alleviare ogni bisogno, sono tenute dalla Chiesa in particolare onore". ( Apostolicam Actuositatem, 8 )