Crocevia |
Abbiamo davvero un infinito bisogno di vivere, e non di lasciarci morire credendo invece di vivere.
Ogni attimo che passa è nella logica temporale di quelli che credono di vivere ( il rolextime o il sectortime a secondo del portafoglio ); è un tempo che ci avvicina alla morte in modo irreversibile e inarrestabile.
Invece abbiamo bisogno di allontanarci dalla morte, di invertire il tempo, di vivere ogni attimo che passa per la nostra vita.
Sembra un po' retorico o scontato ma è invece una riflessione da fare con assoluta e approfondita serietà.
Vogliamo vivere o morire?
Sta a noi la scelta, possiamo decidere.
Se scegliamo di morire, allora dobbiamo tendere a una vita-illusione.
Se scegliamo di vivere, allora dobbiamo tendere a una vita-reale.
Nel primo caso cerchiamo di fuggire dalla realtà finché possiamo, e poi spegniamo il cervello nei modi che la tecnica esistenziale illusoria propone, in genere una qualche forma di droga ( abitudini potere, eroina, successo, graduale eutanasia da farmaci, etc ).
Nel secondo impariamo e ci prepariamo ad affrontare la realtà, soprattutto quando questa sembra anti-umana, dura e violentai.12
Ma il superamento della sofferenza dentro e attraverso la sofferenza,13 e non con la droga, ci apre ad una vita realmente diversa, per noi uomini e donne di questo tempo.
E questa scelta si fonda solo sulla nostra personale e distintiva volontà di attuare la naturale capacità di amare e di fare del bene.14
È vero che ne siamo potenzialmente capaci, ma è anche vero che non amiamo abbastanza e quasi nessuno ci aiuta a migliorare su questo piano che è essenziale, assolutamente essenziale, per vivere.
Dobbiamo scegliere di amare in ogni circostanza, quando siamo indifferenti e anche quando sentiamo di odiare.
Pensiamo alla "Y" pitagorica, il bivio simbolico che ogni persona incontra alcune volte nella sua vita e che la costringe, volente o nolente, a scegliere.
Il segno pitagorico è un trivio, una via principale a senso unico che rappresenta la nostra vita che incontra una scelta obbligata: proseguire per la via larga o scegliere il braccio stretto della Y.
Non si può non scegliere, si può tirare diritto per la nostra strada, o decidere per la via più stretta.
La saggezza del proverbio "chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quel che lascia ma non sa quel che trova" in questo caso è falsa ed interessata.
La mitica saggezza proverbiale è sorella dell'astrologia nel soddisfare soprattutto i "furbi" conoscitori di proverbi e astri.
Non si può non scegliere.
Questa è l'unica prevaricazione alla nostra libertà che Dio ci impone.
Ci ha dato la libertà di scegliere ma pretende che scegliamo.
Anche se non crediamo di essere creature di Dio, comunque dobbiamo ammettere che la nostra razionalità è conformata, è fatta per decidere.
Nessuno evita la decisione.
Sì e no sono interiori o esplicite risposte a cosa ci accade.
Accettiamo o rifiutiamo anche quando crediamo di essere indifferenti.
Blaise Pascal ha aiutato molti a scegliere, a giustificare una scelta, proponendo un ragionamento logico che lascia pochi dubbi: la scommessa.
Scommettiamo sull'esistenza di Dio: nel caso Dio non esista, non perderemo nulla di più di quanto abbiamo da perdere comunque.
Ma se vinciamo allora vinciamo tutto.
Perché si ha paura anche di questa scommessa?15
Anche il più classico indifferentismo è una scelta e l'omissione ci rende sempre colpevoli.
Non sono gli errori, come in genere si crede, che ci fanno o faranno morire, ma l'indifferenza, l'omissione e l'avarizia paurosa sono i principali comportamenti mortiferi.
Il marcire inizia nell'assenza di movimento, è metaforicamente ben espresso dall'immagine della palude, dall'acquitrino.
Tutto immobile, spesso, opaco.
L'umanità evaporando si chiude nella paura di compromettersi.
La dimensione profetica è soffocata.
Muovere le acque paludose vuol dire diffonderne i miasmi.
È meglio l'assenza di profumi, una vita senza senso ... dell'olfatto.16
Ecco perché si ripete il rifiuto di scegliere, il rifiuto di farci valere proprio come persone umane che, a differenza degli animali, possono scegliere e godere della scelta di vivere.
Noi possiamo amare, abbiamo memoria dell'amore, e anche uno scienziato non credente può amare; e questo amore non può non rompere la logica scientifica che lo guida, e quindi ridurlo al giusto balbettio.
Ma la possibilità di amare non è amare: bisogna fare l'amore.17
Voler bene alle persone che abbiamo vicino e che incontriamo.
Il fare è frutto di scelta.
È la risposta alla propria dignità umana.
È il dovere della creatura in risposta al creatore che l'ha creata per vederla fare la sua volontà.
Amarlo.
Indice |
12 | Dietrich Bonhoeffer, Il sacro è solo nel profano. "Il concetto autentico di secolarità richiede di essere visto sempre nella prospettiva dell'essere accolto e del divenire accetto a Dio in Cristo. Come la realtà di Dio, in Cristo, è entrata nella realtà del mondo, così ciò che è cristiano esiste soltanto nelle cose mondane, ciò che è "soprannaturale" nelle cose naturali, le cose sante in quelle profane, quelle rivelate in quelle razionali. Un mondo autonomo, sottratto alla legge di Cristo, precipita nella licenza e nell'arbitrio. Un cristianesimo che si ritira dal mondo cade nell'innaturalità, nell'irrazionalità, nella presunzione e nell'arbitrio. È impossibile essere veramente cristiani fuori dalla realtà del mondo e non si da nessuna autentica esistenza nel mondo fuori dalla realtà di Gesù Cristo. Per il cristiano non esiste nessun luogo di rifugio fuori dal mondo, né in concreto né nell'interiorità spirituale. Qualsiasi tentativo di ritrarsi dal mondo sarà, presto o tardi, pagato con qualche colpevole cedimento al mondo. Coltivare una vita interiore cristiana pura da contatti con il mondo è un impegno che, per l'osservatore profano, ha il più delle volte un carattere tragicomico; infatti il mondo, che non è stupido, si riconosce perfettamente appunto là dove la spiritualità cristiana, illudendo se stessa, credeva che fosse lontanissimo. Chi confessa la propria fede nella realtà di Gesù Cristo come rivelazione di Dio, confessa di credere contemporaneamente nella realtà di Dio e in quella del mondo; infatti in Cristo egli trova Dio e il mondo riconciliati. Perciò il cristiano non è un uomo lacerato dall'eterno conflitto, bensì un uomo indiviso e integro perché appartiene alla realtà di Cristo, nel quale, appunto, la realtà è una. La sua appartenenza al mondo non lo separa da Cristo. In quanto appartiene interamente a Cristo e al tempo stesso interamente nel mondo" |
13 | Eugenio Costa SJ, Stile moderno di vita cristiana. "Il dolore si presenta anzitutto come un complemento necessario alla vita. Bisogna affrontarlo, è legato ad ogni iniziativa e tanto più quanto più l'impresa è importante. Pensiamo ai momenti di incertezza di grave responsabilità, di crisi. Questo può rendere più umana la vita sociale sia in famiglia che in tutta la società civile mediante il progresso del costume e delle istituzioni" |
14 | San Tommaso d'Aquino: "ma giacché il bene ha ragione di fine e il male ragione del contrario, ne segue che tutte le cose verso cui l'uomo è incline per sua natura, la ragione le percepirà naturalmente come buone, per effetto, come mete d'azione, e quelle che sono loro contrarie, come cattive e da evitare. E dunque è secondo la gerarchia delle inclinazioni naturali che si ordinerà la gerarchia dei precetti della legge naturale. Invero: 1. Vi è in primo luogo, inscritta nell'uomo, un'inclinazione al bene secondo ciò che ha in comune con tutte le altre sostanze, nel senso che ogni sostanza aspira alla conservazione del proprio essere seguendo la sua natura. In virtù di tale inclinazione ricaverà, dalla legge naturale, tutto ciò che interessa la conservazione della vita umana e impedisce ciò che le è contrario. 2. È inscritta nell'uomo un'inclinazione a taluni beni più specifici, secondo ciò che in comune ha con gli altri "animali" in virtù della quale diremo che ricava dalla legge naturale "ciò che la ragione ha insegnato a tutti gli animali" vale a dire l'unione dei sessi, educazione dei figli e altre cose similari. 3. In terzo luogo è inscritta nell'uomo un'inclinazione conforme alla natura della "ragione" la quale gli è propria: in tal modo l'uomo avrà un'inclinazione naturale a conoscere la verità su Dio e a vivere in società. E, in virtù di ciò, ricaverà dalla legge naturale quanto si riconduce a una inclinazione di tale ordine, per esempio: che l'uomo evita l'ignoranza, che non offende coloro nella società dei quali egli vive, e le altre prescrizioni che questo implica. In questi tre livelli l'uomo è pienamente umano, egli è "orizzonte fra due mondi", quello del mondo puramente corporale e quello dello spirito. Sue caratteristiche sono di essere composito: anima che vivifica una materia, spirito pensante con la mediazione dei sensi, agente libero che utilizza le cose, in particolare, quelle che derivano dalla economia, in quanto la sostanza deve conservarsi, deve nutrirsi, vestirsi, prendere dimora" |
15 | Blaise Pascal, Frammenti. "Esaminiamo dunque questo punto, e diciamo: Dio è o Dio non è? Ma da quale parte propenderemo? La ragione in ciò non può determinare nulla: un caos infinito ci separa. Si sta svolgendo un gioco all'estremità di questa distanza infinita in cui sortirà testa o croce. Che cosa scommetterete? Secondo ragione non potete puntare né sull'una né sull'altra ipotesi; secondo ragione, non potete escludere nessuna delle due. Non tacciate dunque di falsità coloro che hanno fatto una scelta, poiché voi non ne sapete niente". "Niente affatto, io li biasimerò invece per aver compiuto non questa scelta, ma una scelta; infatti, ancorché colui che sceglie croce e l'altro siano in un uguale errore, sono entrambi in errore: è giusto non scommettere affatto". "E sia; ma bisogna scommettere. Non è cosa volontaria, siete imbarcato. Che cosa sceglierete dunque? Vediamo. Poiché bisogna scegliere, vediamo quel che vi interessa meno. Avete due cose da perdere: il vero e il bene; e due cose da impegnare: la vostra ragione e la vostra volontà, la vostra conoscenza e la vostra beatitudine; e la vostra natura ha due cose da fuggire: l'errore e la miseria. La vostra ragione non risulta maggiormente offesa dal fatto che scegliete l'una piuttosto che l'altra, poiché bisogna necessariamente scegliere. Questo è un punto regolato. Ma la vostra beatitudine? Pensiamo la vincita e la perdita ove si scommetta croce che Dio esiste. Valutiamo questi due casi: se vincete, vincete tutto; se perdete, non perdete niente. Scommettete dunque che Egli esiste, senza esitare". "Questo è mirabile. Si, bisogna scommettere; ma scommetto forse troppo". "Vediamo. Poiché c'è un uguale rischio di vincita e di perdita, se aveste da guadagnare soltanto due vite contro una, potreste ancora scommettere; ma se ce ne fossero tre da guadagnare, bisognerebbe giocare (poiché voi siete nella necessità di giocare), e sareste imprudente, quando siete costretto a giocare, a non arrischiare la vostra vita per guadagnarne tre in un giuoco in cui c'è uguale rischio di perdita e vincita. Ma c'è un'eternità di vita e di felicità. E stando così le cose, quand'anche ci fosse un'infinità di casi di cui uno solo vantaggioso per voi, avreste ancora ragione a scommettere uno per avere due, e agireste senza buon senso se essendo obbligato a giocare rifiutaste di mettere come posta una vita contro tre in un giuoco in cui su un numero infinito di casi ce n'è uno a vostro favore, quando ci fosse da guadagnare un'infinità di vita infinitamente felice. Chi ha maggior motivo di temere l'inferno: colui che vive nell'ignoranza se vi è un inferno, e nella certezza della dannazione, se vi è, oppure colui che si trova nella persuasione certa che vi è un inferno e nella speranza d'essere salvato, se vi è? "Avrei già abbandonato i piaceri - dicono - se avessi la fede". Ed io vi dico: Avreste già la fede, se aveste abbandonato i piaceri. Ora sta a voi cominciare. Se potessi vi darei la fede; non posso farlo pertanto comprovare la verità di ciò che dite. Ma potete ben abbandonare i piaceri, e comprovare se ciò che dico è vero. Avrei ben più paura d'ingannarmi e di costatare che la religione cristiana sia vera, che non d'ingannarmi cre¬dendola vera" |
16 | Mons. Dario Berruto |
17 | Piene Fracastel, Critica della Comunicazione, Ed. Hope-fulmonster. "I principi astratti non fanno una lingua ed ogni possibilità aperta da un artista non serve da supporto ad uno stile. È l'uso a sanzionare il valore di un'invenzione, non le sue qualità intrinseche. Figurativo o altro un sistema non si descrive che in funzione delle opere che ispira at¬traverso le quali esiste. Una cultura non consiste nel dispiegarsi di una virtualità ma in un numero finito di realizzazioni" |