Quando i discepoli chiesero a Gesù perché parlasse in parabole, rispose che era affinché i discepoli capissero ma non gli altri ( Mt 13,11 ).
Infatti, Gesù spiegava le parabole ai discepoli ( per esempio Mt 13,18.36; e il brano parallelo Mc 4,34 ), ma non agli altri.
Questo potrebbe essere un comportamento diverso da quello che ci aspetteremmo di Gesù.
Ma la citazione di Is 6,9-10 in Mt 13,14-15 ne dà la spiegazione.
Come nei giorni di Isaia, quando i Giudei sentivano la Parola di Dio ma non ubbidivano ( vedi il commento su Isaia 6,9-10 ), ai giorni di Gesù i Giudei lo sentivano ma non credevano in lui.
In questo i Giudei al tempo di Gesù erano molto privilegiati in confronto addirittura ai profeti ( Mt 13,17 ).
Siccome il loro cuore era insensibile, come parte della loro punizione, Gesù non permise loro di capire il suo insegnamento, affinché non si convertissero ( Mt 13,15 ).
Questo è il principio di Mt 13,12: chi rifiuta Gesù perde altre possibilità di conoscerlo, mentre a chi lo cerca, anche senza capire bene chi è ( come i discepoli in quel momento ), è dato la possibilità di conoscerlo meglio.
Non è che Gesù decidesse di impedire loro di credere, ma confermò la loro decisione di respingerlo.
Non è un caso che questa spiegazione del motivo per cui Gesù parlava in parabole fu data fra il racconto della parabola del seminatore ( Mt 13,3-9 ) e la sua spiegazione ( Mt 13,18-23 ).
Quello che è importante non è sentire la Parola - tutti e quattro i terreni ricevono lo stesso seme - ma essere una "buona terra" per il seme, che sente e comprende la Parola, e porta del frutto.