Nelle varie sezioni dell'Unione |
B25-A3
Quest'anno i Soci dell'Unione del SS. Crocifisso di Torino hanno santificato il Carnevale in modo singolare.
Mentre nelle vie della popolosa città imperversava il Carnevale, i buoni nostri giovani, con parecchi antichi allievi, decisero di fare una visita ai poveri ricoverati nella Piccola Casa della divina Provvidenza.
* * *
La Piccola Casa della divina Provvidenza fondata in Torino nel 1828 dal Beato Giuseppe B. Cottolengo è la casa del dolore e della carità.
L'umiltà del Fondatore ha voluto che si chiamasse « La Piccola Casa », ma è in realtà un grande paese con le sue strade e le sue piazze, con la sua Chiesa immensa e bellissima; paese sorto, isolato e quasi sconosciuto, nella parte più industriosa della città e che ospita ben nove mila persone governate da una sola legge: la carità; mantenute da un solo cespite d'entrate: la Provvidenza.
Quivi sono riunite tutte le miserie che affliggono la dolorante umanità.
Nelle lunghe corsie degli ospedali soffrono centinaia di vecchi invalidi e cronici, che solo dalla morte attendono la liberazione dei loro mali; appartati in apposite sale si allineano i letti dei poveri tisici, tremanti di febbre e quasi consunti e giacciono i malati di malattie infettive che non vedono mai altri volti che quelli delle buone Suore e le facce sparute dei loro compagni di sventura.
In appositi fabbricati vi è l'ospedale dei bambini con circa 500 innocenti allineati nelle loro bianche culle o nei candidi lettini; vi è il ricovero dei sordo-muti, dei ciechi, degli invalidi d'ogni maniera, privi di braccia o di gambe; dei poveri esseri sformati - più mostri che uomini - ed infine il reparto dei pazzi, degli ebeti, degli scemi, degli epilettici.
Fra tutte queste sventure - tanto varie e tanto uguali - si aggirano instancabili a sorridenti le Suore.
Ben dodici famiglie di suore attendono al servizio delle migliaia di infelici là ricoverati.
Dovunque sono Suore: se ne vedono che attraversano frettolosamente i cortili, portando pesi che paiono superiori alle loro forze; se ne vedono altre che sorreggono i poveri ciechi invalidi, e li accompagnano alla passeggiata vespertina a godersi il tepore del sole; altre escono dall'infermeria dei bambini portandosi in braccio - mamme pietose - due poveri innocenti a respirare un poco d'aria migliore nei cortili della casa; altre sono affaccendate ad imboccare con pazienza sublime i poveri scemi o a ripulirli continuamente; dovunque vi sono Suore: al capezzale dei malati, nella grande lavanderia, accanto alle gigantesche marmitte della immensa cucina, nelle scuole, nelle sale della biancheria e fin nella farmacia, nel forno, al mulino.
Ai poveri infelici del Cottolengo pensarono dunque i giovani dell'Unione del SS Crocifisso nel tempo del Carnevale.
Alcuni di loro costituitisi in apposito Comitato cominciarono tra amici e conoscenti una gentile ma insistente propaganda che finiva sempre con l'invito formale a versare una generosa offerta in favore dei poveri sofferenti del Cottolengo.
Alla sede dell'Unione incominciarono intanto a giungere dolci, caramelle, confetti, paste, gallette, aranci e cioccolatini.
Un ottimo e generoso ex alunno che volle unirsi ai Soci dell'Unione nell'opera pietosa, pensò che ai poveri bambini rachitici e invalidi ricoverati nella casa del dolore, sarebbero tornati tanto graditi anche i giocattoli, merce forse sconosciuta alla loro vita infelice e provvide di sua iniziativa i balocchi: palline, cavallucci, giochi vari, carrozzelle, pecorine, trottole ecc.; un piccolo alunno della Scuola Professionale portò anche i suoi soldatini di piombo; e altri radunarono libri, opuscoli, e riviste.
La propaganda e la carità dei buoni giovani ebbe un successo insperato, tanto che quando si trattò di portare a destinazione tutta quella roba si capì tosto che, se i giovani fossero sfilati, al martedì di carnevale per le vie di Torino, carichi di quel po' di ben di Dio, qualcuno avrebbe potuto sospettare che si fosse organizzata una carnevalata originale.
- Ci vuole un carretto - osservò un socio.
- Un carretto, un carretto.
Ed ecco due giovani allievi correre alla rimessa e condurre trionfanti il carrettino.
In breve il carro è pronto: un solo fastidio: la scelta degli improvvisati facchini che lo conducano per Torino.
La preferenza viene data ai più piccoli, guidati e vigilati da un socio anziano.
Alle quattro pomeridiane, la comitiva, dopo un'ora di adorazione passata nella Chiesa dei Ss. Martiri, coi soci della Gioventù Cattolica, è tutta riunita dinanzi alla porticina della Piccola Casa.
Siamo una quarantina.
La suora portinaia, già informata della nostra missione, ci accoglie con un cordiale « Deo gratias »
Giunti in mezzo al cortile di ingresso, ognuno prende dal carretto la sua parte di carico.
Tutti hanno qualche cosa da portare: pacchi, pacchetti, giuochi, giornali: spiccano tra tutti l'antico allievo che porta il sacco coi suoi giocattoli, ed un socio effettivo carico di una grossa cesta di aranci.
La Suora che ci guida, ci conduce dapprima nella famiglia dei Luigini.
Sono poveri fanciulli orfani la maggior parte.
I poveri bambini stanno a scuola; al comparire della numerosa comitiva, fanno capolino dalle finestre le loro teste rasate: occhi sfavillanti, mani che si agitano, labbra sorridenti.
Escono allineati, e incomincia la distribuzione: dolci e palline.
La gioia e la contentezza, dapprima trattenute … in modeste proporzioni, dagli occhi vigili della Suora maestra, aumentano a poco a poco di intensità, fino a raggiungere un tono inusitato in quell'ambiente.
Un momento dopo le file erano rotte, e i fanciulli erano per il cortile a succhiare le caramelle e a provare i giocattoli ricevuti.
Noi intanto, seguendo la buona guida, passiamo via via dalla famiglia dei Fratini a quella dei Tomasini e giungiamo nel cortile degli Invalidi.
Sono ciechi, sciancati, zoppi, storpi, mutilati di ogni maniera che si trascinano allo scarso sole, appoggiati alle stampelle o guidati a mano da qualche compagno di sventura.
A questi poveri infelici, i nostri giovani - che nel frattempo si erano fatti seri e pensierosi, - diedero in maggior copia i loro doni.
Passammo quindi al Reparto dei Sordo-Muti.
Un povero mutolino, dagli occhietti intelligenti, ricevuti i pochi dolci offertigli, dalla mano amica di un nostro ragazzo, seguiva con avido occhio il distributore dei giocattoli, che regalava palline e trottole.
Finalmente arriva il suo turno e riceve un piccolo cavalluccio di latta.
Stupefatto per il regalo inatteso, guarda negli occhi il donatore, come se volesse accertarsi che non ha sbagliato; che quel magnifico cavallo su quattro ruote e con la cavezza lucente, è proprio per lui.
Avutone un cenno di assicurazione, non riesce più a possedersi: salta, grida, si china a terra per far camminare il suo bucefalo: è un bambino felice.
Ma ecco che, mentre ci mettiamo in moto per portare i nostri doni ad altri disgraziati, riceviamo una gentile e cortese ambasciata.
Una Suora si è avvicinata al nostro gruppo e rivoltasi al Fratello Direttore, gli dice con tutta umiltà: Fratello, i bambini dell'infermeria pregano il Signore che avanzi qualche cosa anche per loro.
Dalle finestre della infermeria, infatti, qualche bambino aveva notato la generosità con cui i nostri giovani, giù nel cortile, avevano rallegrato gli invalidi e i Sordo-Muti, e nel timore che le provviste nostre si esaurissero prima di giungere fino a lui aveva invitato i suoi compagni a pregare il Signore di … ispirarci un poco di moderazione, e aveva inviato la Suora a portarci l'umile ambasciata …
Eccoci giunti alla Famiglia dei « Buoni figli ».
Con questo eufemismo si chiamano al Cottolengo i poveri scemi ricoverati.
Un'afa, nauseabonda esala da quegli esseri che non hanno più sembianza umana: si vedono rachitici dal collo esile come uno stelo: epilettici scossi da un tremito continuo; paralitici immobilizzati in pose tragiche e senza vita.
Alcuni di questi infelici lanciano urla continue e disperate che nulla hanno di umano; altri non parlano mai, chiusi in un silenzio di statua; altri balbettano una frase senza senso e la ripetono per ore e ore …
I « buoni figli » stavano mangiando.
È indescrivibile la scena che si presentò ai nostri occhi …
Una buona Suora scodellava la fumante minestra; un'altra portava ad ognuno la sua ciotola: ed ecco alcuni che vi ficcano le mani dentro e portano con le dita il cibo alla bocca; altri che si imbrodolano e spargono la fumante minestra giù per i camicioni di cui sono vestiti; in un angolo della triste sala un uomo di età matura con i segni dell'idiozia sul volto rugoso ed ilare, sta imboccando col cucchiaio un suo compagno che tiene le mani legate dalla camicia di forza.
Non osiamo rimanere a lungo nella triste corsia: lasciamo alla buona e santa Suora alcuni pacchi di dolci e saliamo alle infermerie.
Dai letti bianchi e allineati, i poveri malati guardano con occhio languido e stupito la numerosa schiera di giovani, e ognuno riceve un'arancia, qualche biscottino o qualche libretto di pietà.
Un mormorio di ringraziamento e di preghiera ci accompagna e ci segue.
Giungiamo finalmente dai bambini; un clamoroso « Deo gratias » gridato a coro dai poveri piccini, ci saluta al nostro entrare nel vasto camerone.
Sono circa un centinaio di fanciulli, dai quattro ai dieci anni.
Alcuni sono seduti a una lunga e bassa tavola, che si distende fra le due lunghe file di letti della corsia sono i convalescenti; si capisce che questo è anche il loro refettorio.
Altri sono adagiati nei loro candidi lettini, pallidi, sparuti, ed allungano sulle coltri le bianche manine su cui scorrono le vene azzurregnole.
Qui le nostre provvigioni subiscono una forte diminuzione.
La Suora ci indica un poverino cieco, sordo e muto, che viene regalato più generosamente degli altri.
Un piccino seduto alla lunga tavola, - forse il più piccolo di tutti - ricevuta la sua porzione di dolci, adocchia uno dei nostri giovani che porta ancora un discreto pacco di caramelle, e alzandosi di botto, corre a lui, gli si avvinghia alle gambe e gli grida: « Papa, papa, ancora uno, ancora un dolce, papa! ».
Così, forse, ancora poco prima faceva in famiglia col babbo suo, portato troppo presto al Camposanto.
Usciamo commossi dalla corsia, e siamo introdotti in un altro camerone dove vi sono le culle.
Un altro centinaio di innocenti di pochi mesi, rimasti orfani di padre e di madre, vi sono raccolti dalla carità di Gesù Cristo.
I nostri giovani si spargono fra le culle e mettono in bocca ad ognuno un dolce o una caramella.
È uno spettacolo commovente: una Suora tiene in braccio il più piccolo dei bambini portatele il giorno innanzi dall'infermeria delle donne ove la mamma sua era morta di consunzione; poco lontano una bimbetta strilla, e lì accanto, un altro innocente dorme placido e sorridente un sonno tranquillo, che il rumore dei nostri passi non riesce a destare: il sonno dell'innocenza.
Uno dei nostri soci gli posa pian piano sul lenzuolo un pasticcino, a due dita dalla bocca, affinché quando si sveglierà possa lui pure godere qualche cosa della nostra visita.
E la visita continua fra nuove miserie, fra sempre nuovi dolori.
Siamo ora nell'ospedale dell'Addolorata ove sono ricoverati oltre 500 ammalati.
Le provviste, per quanto abbondanti, sono ormai quasi esaurite, e i buoni giovani non possono dare agli ammalati che care parole di conforto, accolte esse pure con gratitudine e soddisfazione.
Con il cuore commosso e gli occhi umidi discendiamo dalle infermerie e attraverso le vie e i sottopassaggi di quell'immenso paese della carità, siamo condotti alle sordomute e alle cieche.
Qui una bimba cieca ci canta con una voce soave una sua gentile canzone, mesta come il suo volto dalle pupille spente e due sordomute ci rivolgono con la mimica un grazioso saluto che la suora maestra ci traduce a voce alta.
Le provvigioni erano finite e dovemmo promettere alle poverette che in una prossima visita avremmo cominciato da esse il nostro giro, e avremmo portato anche a loro dolci e balocchi.
La nostra visita finì ai piedi del SS. Sacramento nella magnifica chiesa della Casa, dove i nostri cuori rivolsero al Signore una di quelle preghiere che solo Iddio sa intendere perché Lui solo sa leggere nel cuore umano, quando è agitato da tanti e sì vari sentimenti.
Alla buona Suora che ci aveva accompagnati nel triste pellegrinaggio, consegnammo ancora un'abbondante offerta, frutto delle oblazioni dei Soci, per la Casa della Provvidenza, offerta accolta col solito dolcissimo « Deo gratias! ».
E noi uscimmo tutti più umili, più buoni, più riconoscenti al Signore e meglio disposti alla lotta per la virtù e per il bene.
Fuori, per le vie folleggiava il Carnevale …