La commemorazione in San Filippo |
B150-A2
« Nos autem gloriari oportet in Cruce D.N.J.C. in quei est salus, vita et resurrectio nostra … » ( Introito « In Exaltatione Suae Crucis » ).
Quale altro esordio, quale grido d'armi potrei assumere nella funzione presente, che meglio si prestasse a compendiare la vita, la morte e l'eternità del caro Fratel Teodoreto, se non le parole di S. Paolo, come suonano nell'Introito della Messa dell'Esaltazione di S. Croce?: « Ma quanto a noi, dobbiamo gloriarci nella Croce di N. S. Gesù Cristo, nel Quale sta la nostra salute, la nostra vita e la nostra risurrezione ».
Onorare la memoria di Fratel Teodoreto, è onorare Gesù Cristo, di cui egli fu l'ambasciatore eletto, l'amico privilegiato, l'alunno fedelissimo.
Certamente io non posso recitare un panegirico, che sarebbe, non mendace, ma prematuro, non immeritato, ma intempestivo.
Io lo so che fin quando la Chiesa non avrà pronunciato il suo giudizio, le nostre preghiere s'innalzeranno nel tono del suffragio, né le gramaglie potranno scendere dalle lesene, se non quando saranno sostituite coi drappi di porpora e d'oro, per il giorno della beatificazione.
Io dunque mi propongo esclusivamente di meditare con voi, davanti a questo compagno misero, e valoroso scudiere di Fratel Teodoreto ( perché il corpo è il compagno dell'anima e lo strumento delle sue virtù ), di meditare, ho detto, le ricchezze della Croce, in cui risiede la salute di tutti i mali del mondo, la vita non solo delle anime, ma della Chiesa e delle sue illustri famiglie, gli Ordini religiosi, la risurrezione dalla morte e dai suoi umilianti strascichi, il dolore, il silenzio, l'oblìo, cancellati con l'eterna conquista della gioia e della gloria.
Questi tre sommi beni: salute - vita - risurrezione, sono infatti contenuti nelle piaghe di Gesù Crocifisso, onde sbocciarono non meno la santità, che l'apostolato di fra Leopoldo e di fratel Teodoreto.
I
Mi sia consentito, prima di addentrarmi nell'argomento indicato, di riferirmi a qualche episodio personale, per se stesso insignificante, ma che potrà assolvermi dell'audacia di aver accettato l'invito di tenere questa commemorazione, a cui erano assai più indicati altri, che ebbero parte viva e rapporti diretti e frequenti coi due araldi di Gesù Crocifisso.
Nel 1896, io, fanciullo di sette anni, abitavo accanto alla Parrocchia di San Tommaso, che allora, prima dello sventramento da cui uscì la nuova via Pietro Micca, conservava ancora i claustri dell'antico convento.
Mi avevano regalato un balocco vistoso, mi pare un cavalluccio bardato di rosso, che io portavo a vedere a tutti come un trofeo.
Lo mostrai anche a un ragazzo maggiore di me che avevo incontrato sotto quei claustri.
Egli mi disse: Oh com'è bello! ma io tè lo posso cambiare con un altro ancora più bello e divertente!
Dallo a me, aspettami qui, e torno subito col nuovo giocattolo.
La mia ingenuità fu punita, perché attesi invano il ritorno del bricconcello, che mi aveva frodato del mio balocco.
Non mi restò che portare le mie lacrime al babbo e alla mamma, dai quali ebbi solenni rampogne per la mia dabbenaggine.
Cercai invano compatimento tra parenti e coetanei: tutti si facevano beffe di me, e del mio cavalluccio, partito al galoppo e per sempre.
Uno solo mi compianse e mi consolò.
Lo riseppi più tardi, quando da S. Tommaso passai in via Andrea Doria, ove i Fratelli tenevano una scuola, ora scomparsa.
Ivi appresi a leggere e a scrivere, ivi feci, nella Cappella annessa, la Prima Comunione, ivi imparai il Catechismo, e per merito degli Insegnanti, i colleghi di Fratel Teodoreto, riuscii a essere uno dei tre principi nella gara catechistica, insieme coi miei piccoli amici di allora, il compianto P. Giuliani e Mons. Solerò, canonico teologo del Duomo.
Da via Andrea Doria passai al piccolo Clero di S. Filippo, e dopo qualche anno al Seminario di Giaveno, poi agli altri tre Seminar!, di Chieri, di San Gaetano al R. Parco e il Metropolitano di via XX Settembre, da cui uscii Sacerdote.
Compresi allora come il Signore mi avesse tolto di mano il cavalluccio; il giocattolo delle carriere mondane, delle vanità terrene, per darmi nientemeno che Se stesso, il Creatore del cielo e della terra, il Dio di Betlemme e del Calvario, per rendermi strumento delle sue benedizioni ineffabili, contenute nel Sacrificio dell'Altare.
Appena ordinato, fui nominato Assistente dei chierici nel Seminario Metropolitano.
Il nostro santo Direttore di quegli anni, il can. Eugenio Mascarelli, voleva che gli Assistenti celebrassero di buon mattino la Messa, per essere pronti ad assistere i chierici fin dallo studio delle ore 7.
Si andava quindi a celebrare nella Chiesa vicina di S. Tommaso, che si apriva molto presto.
In tal modo per tre anni, quanto durò il mio assistentato, dal 1912 al 1915, mi recai spesso a celebrare la Messa delle ore 6 in S. Tommaso.
I fratelli laici, o conversi ce la servivano, e io ebbi di sicuro l'insigne onore, senza accorgermene, di trovare genuflesso sotto la predella, una mano al campanello, l'altra al lembo della pianeta, fra Leopoldo.
Chissà con quale ardore serafico, con quale estasi mirava l'Ostia che io innalzavo! …
Nulla sapevo, nulla sospettavo dello straordinario inserviente, colmo di doni carismatici, che si trovava ai miei piedi.
Che tristezza, che rimpianto: passar vicino alla santità eccelsa, senza neppure avvedersene!
Ebbi qualche vaga intuizione più tardi, quando fra Leopoldo mandava al mio confessionale della Trinità qualche penitente, che egli aveva convertito o infervorato, ma che naturalmente non aveva potuto assolvere.
Eguale rammarico mi vela il cuore pensando a fratel Teodoreto, che troppo di rado avvicinai, di cui conoscevo i meriti, ma di cui ignoravo le straordinarie operazioni che la Grazia compiva in lui, e che ci ha fatto conoscere la magistrale biografia di fratel Leone, mentre lo stesso Fratel Teodoreto aveva narrato la vita del « Segretario di Gesù Crocifisso ».
II
Segretario, perché Gesù gli confidò i suoi segreti.
A lui, al cuoco del Convento! non a qualcuno dei Padri Lettori, non al Guardiano, non al Provinviale, non al Cardinale Arcivescovo di allora?
No, perché Dio ha scelto le cose deboli - infirma mundi - ha scelto le cose da nulla - ea quae non sunt - per fare meglio rifulgere la sua sapienza e la sua potenza, e affinché nessun uomo si glori al suo cospetto.
Gli presentò dunque le sue piaghe, come le pagine d'un Libro celeste, il Libro della vera sapienza e del vero amore, il rimedio alla ignoranza del mondo e alle sue morbose affezioni.
In Gesù è la Salute.
La prima malattia delle anime contemporanee è l'ignoranza.
Ed essa non si guarisce che con la sapienza.
Badate, ho detto la sapienza, non la scienza, perché la sola scienza che rivela all'uomo le curiosità del globo, lo arresta alle cose visibili, lo affonda nella materia, lo arena nelle secche dell'orgoglio o lo impaluda negli stagni del piacere.
Ma la sapienza ci eleva dalle cose che si vedono a quelle che non si vedono, dall'effimero all'eterno, dalla bellezza del creato alla magnificenza del creatore.
La Sapienza si è avvicinata a noi scendendo dalle altezze del cielo, si è resa visibile, ha conversato con gli uomini, tra i quali ha rivelato di trovare le sue delizie.
La Sapienza non è però stata accolta dai luminari del mondo, e la sua offerta d'amore è stata respinta dall'odio.
Come Platone aveva previsto, e i Profeti annunziato, il Giusto sarebbe finito sul patibolo.
Ma il Giusto, che era la stessa Sapienza, lo stesso Figlio di Dio, avrebbe fatto della sua croce una leva per innalzare l'umanità al cielo, e, delle sue piaghe, fari di luce, e sorgenti di grazia redentrice.
Tutto ciò è contenuto in un piccolo libro, il re dei libri, il catechismo.
L'ignoranza del catechismo è l'ignoranza di Cristo, è lo smarrimento e lo stordimento dell'uomo nelle nebbie assideranti dell'errore, del dubbio, della disperazione, dell'infelicità.
S. S. Pio XII, nell'udienza accordata a fratel Teodoreto l'8 ottobre 1942, lo confermò con grande solennità: « Dica ai Catechisti che non vi è apostolato migliore di quello del Catechismo, specie ai piccoli e ai poveri, in questo tempo d'ignoranza religiosa ». ( « Fratel Teodoreto » di Fr. Leone di Maria, pag. 326 ).
Fratel Teodoreto ne era persuaso, e fin dal 1906 vagheggiava unioni di ex allievi delle Scuole Cristiane, i migliori, per farne catechisti provveduti, idonei a istruire nella religione, massimamente i giovani operai.
Il disegno prendeva corpo nella mente del figlio di S. Giov. Batt. de La Salle, ma occorreva un alito celeste, una scintilla di fuoco per ispirargli la vita.
Ed ecco dall'Ordine serafico guizzare questa fiammella, ecco l'incontro che poté sembrare casuale, ed era provvidenziale, tra fra Leopoldo e fratel Teodoreto, quasi l'incrocio di due piante elette nel giardino della Chiesa, la carità del Serafico e la spiritualità lasalliana.
Il nuovo frutto spuntato dal mistico connubio dei due alberi, cioè la Pia Unione Catechisti del SS. Crocifisso, e di Maria SS. Immacolata, col suo felice sviluppo, è venuto a dimostrare che veramente fra Leopoldo era stato il suo profeta, e fratel Teodoreto il suo floricultore e il suo legislatore.
III
Entrambi erano stati alla scuola di Gesù Crocifisso; da Lui solo attendevano direzione, fecondità, incremento per l'opera.
Le Congregazioni religiose della Chiesa Cattolica, se nascono vitali, non possono aver vita che dalla morte di Gesù, dalla sua immolazione sul Calvario, per cui scende sulla terra ogni pienezza di grazia e di benedizione.
Sembrò sulle prime, ad alcuno dei dirigenti o dei congregati, che la P. U. per vivere, dovesse appoggiarsi, come le opere giovanili di azione cattolica, sui beni onesti e dilettevoli, che hanno tanto fascino sull'adolescenza: teatro, sport, cinema, viaggi …
Ma dall'oracolo di S. Tommaso, come dalle Scuole di Via delle Rosine, giunse un monito austero: Lasciate queste attrattive alle schiere che fanno evoluzioni in pianura: voi, o catechisti del Crocifisso, destinati a combattere sugli avamposti, voi non avrete altre delizie, altri richiami che gli esercizi di pietà: i ritiri mensili, le pie meditazioni, le visite di misericordia, anche le passeggiate, se volete, ma trasformate in processioni al canto di lodi sacre, sotto gli stendardi del S. Rosario.
Tale austerità di vita anziché scoraggiare, non fece che rendere più cara l'Unione, più sospirate le adunanze domenicali, più pura, più intensa, e quindi più gioiosa la vita cristiana.
Anche il divin Maestro, in un primo tempo, aveva concesso ai discepoli le buone merende dei pani e dei pesci moltiplicati, e il riposo su qualche inviolata prateria della Galilea, nascosta dietro un seno del lago di Genezaret; aveva concesso qualche attraente gita, come quella alla vetta del Tabor, ma avvicinandosi l'ora della sua Passione, agli Apostoli cui stava per affidare i più formidabili incarichi, e che aveva diritto di trovare non più fanciulli di mente, ma adulti e virili di spirito, offrirà solo la mensa sacrificale del Cenacolo, e la passeggiata all'Orto degli Ulivi, e alla Grotta dell'Agonia.
Il profeta Abacuc aveva misticamente chiamato le piaghe del Messia: roccheforti « cornila in manibus eius » e aveva aggiunto che la fortezza si nascondeva nel languore violaceo di quelle strazianti ferite: « fortitudo in manihus eius ». ( Ab 3,6-7 ).
Ciò ben si vide nella resistenza, nel progresso, nella perseveranza, nel trionfo dell'opera, nata dall'ispirazione della Croce.
La Pia Unione si è rassodata in un Istituto Secolare, riconosciuto e benedetto dalla S. Sede.
I Catechisti hanno svolto la loro missione presso molte parrocchie, hanno creato la « Messa del Povero », hanno fatto sorgere Oratori e Scuole, hanno germogliato gran numero di vocazioni sacerdotali e religiose, hanno dato esistenza alla « Casa di Carità Arti e Mestieri », che oltre alla sua mole imponente, è valida come formula giusta, per la rigenerazione, lenta ma sicura, della classe operaia, attraverso un insegnamento professionale, ravvivato dalla fede e dalla educazione cristiana.
I progressi della tecnica non saranno più chiamati spaventosi, quand'essa sarà permeata dallo spirito della giustizia e della fraternità evangelica.
L'esperimento ha confermato la bontà dell'idea.
Non resta che ad augurare una vasta imitazione, un molteplice, felice trapianto di cotesta Casa di Carità in tutte le città italiane, anzi in tutte le nazioni.
L'augurio sembrerebbe un'iperbole, anzi una smargiassata.
Ma la profezia di fra Leopoldo, che dimostrò in tanti modi la verità dei suoi carismi, risuona come promessa sicura: « L'Opera, che verrà, sarà mondiale; abbondantissimi frutti darà l'albero magistrale ».
È impegnata la parola della Madonna ( « II Segretario del Crocifisso », pag. 113 ).
IV
Ciò non esclude che la Pia Unione possa contare tempi di attesa e persino di apparente immobilità.
Lo stesso fratel Teodoreto si sentì qualche volta scoraggiato, dovendo constatare, sulla fine del 1948: « L'Unione dei Catechisti è ferma da parecchi anni su 17 membri e ha un solo postulante: la causa non sarà la mancanza in essa dello spirito di sacrificio? dell'umiltà? della penitenza? … » ( a Fratel Teodoreto », p. 310 ).
No, caro fratel Teodoreto, la causa non è quella.
Ora che tu non puoi accusarci di lanciare turibolate in pieno viso, ora che la S. Scrittura ce Io permette: « lauda post mortem »,1 ora che sono scaturite da unanimi attestazioni, come dai documenti più riservati, la tua purezza verginale, la tua fede invincibile, la tua orazione continua, la tua modestia radiosa, la tua carità infuocata, il tuo zelo indefesso, la tua pazienza eroica, la tua dolcezza evangelica, la tua umiltà abissale, in una parola la tua santità, noi cercheremo altrove le cause del mancato progresso e del letargo apparente.
Le cercheremo nelle stesse misteriose necessità della vegetazione, che fa succedere all'estate e all'autunno, esuberanti di messi e di frutti, la sterilità dell'inverno, in cui ogni fermento vitale sembra cessato per sempre.
Ma noi sappiamo che la vita continua a pulsare recondita, si raccoglie, si ritempra, si rinnova, e alla prima brezza di primavera eromperà.
Così le Opere di Dio. Hanno i loro tempi di stasi, e i loro tempi di risurrezione.
Il Cristo risorto, pur avendo glorificato tutte le sue membra, ha voluto conservare, anche negli splendori del trionfo, i segni dei chiodi e della lanciata, come argomenti irrefutabili della sua carità verso gli uomini, come perorazioni vittoriose per la causa della nostra salvezza al trono del Padre.
Confidando in queste sublimi sorgenti, a cui attinsero i fondatori dell'Unione dei Catechisti, noi pregheremo con la Liturgia: « Momento Congregationis luae, quam possedisti ab initio ».
« Ricordati, o Signore, della tua Congregazione che hai posseduto fin dal principio ».
Essa è tua, tu l'hai voluta, ispirata, sostenuta, difesa, conservata.
Essa è tua, perché vive solo per farti conoscere ed amare.
Tu le hai preparato la culla, e perciò non conoscerà mai la bara.
Ricordati! …
È bastato che un povero peccatore, dall'alto della croce, ti dicesse: Momento! … ricordati di me … e gli hai assicurato il Paradiso …
Ora si uniscono alle nostre preghiere coloro che dal principio tennero a battesimo la P. U. e che crediamo già associati alla gloria dei santi.
Esaudisci loro e noi. Momento Congregationis tuae!
Ci basterà il tuo ricordo e quello della tua Mamma celeste, per avere la grazia della concordia, della santificazione, e dell'espansione: lunghi rami, molti frutti.
L'ultimo fine non è che la tua gloria, perché fra Leopoldo e fratel Teodoreto nulla più bramarono che scomparire, essere ignorati, dimenticati, per lasciare Tè solo a regnare nei cuori dei loro alunni e figli spirituali.
Al loro orecchio non era dolce nessuna musica, fuori di quella modulata da S. Paolo, con cui ho iniziato, e finirò la commemorazione :
« Quanto a noi. Dio ci guardi dal gloriarci d'altro, se non nella Croce del Signor Nostro Gesù Cristo, nel Quale sta la nostra salute, la nostra vita, la nostra risurrezione … ».
Mons. Attilio Vaudagnotti
Prevosto del Capitolo Metropolitano
1 ) « Ante mortem ne laudes hominem quemquam quoniam in filiis suis agnoscitur vir ». ( Sir 11,30 ) Fratel Teodoreto è intatti riconoscibile ed encomiabile nei suoi figli spirituali, particolarmente i Catechisti del Crocifisso.