La scuola cristiana a servizio del mondo del lavoro |
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In una diffusa mentalità del passato e, fortunatamente in minor misura, anche del presente, cultura e lavoro hanno rappresentato due realtà contrapposte e inconciliabili, segni distintivi di classi sociali nettamente separate; anzi spesso purtroppo la cultura è stata usata come mezzo di dominio e di oppressione della massa indotta.
È una concezione che risale alle più antiche civiltà.
Scrive Erodoto ( II, § 166-167 ) che in Egitto non si permetteva ai membri delle caste superiori di apprendere un mestiere e prosegue: « Orbene non so esattamente se i greci appresero questo costume dagli egizi, poiché vedo che anche i traci, gli sciti, i persiani, i lidii e quasi tutti i barbari considerano coloro che esercitano un mestiere e i loro discendenti come inferiori agli altri cittadini, e considerano gente per bene quelli che si mantengono lontani dai lavori manuali e soprattutto quelli che si dedicano alla guerra ».
Concezione che si continua nella contrapposizione romana di « otium » e « negotium ».
Reazioni a questa mentalità si ebbero anche nel mondo classico, in singoli pensatori come Socrate e i cinici e in alcune democrazie greche, ma l'esplicita universale e costante riabilitazione del lavoro è stata compiuta solo dal cristianesimo.
E poiché la cultura proviene normalmente dalla scuola, diventa del tutto naturale l'armonia e la complementarietà tra scuola cristiana e lavoro.
È fondamentale ricercare anzitutto le basi teologiche di tale concezione cristiana.
La prima base è quella della fratellanza in Cristo che doveva inevitabilmente portare all'abolizione delle distinzioni di casta.
Nella concezione cristiana il valore dell'uomo non risiede più essenzialmente nel suo grado di cultura o in qualunque altro suo valore umano, ma nel suo battesimo che lo incorpora a Cristo: ora tale dignità può essere egualmente posseduta dal dotto e dall'indotto.
Analogamente un altro principio cristiano è che il valore di un'azione non dipende principalmente da una dignità che le sia attribuibile come intrinseca, ma dalla sua relazione a Dio e cioè dall'Amore che la vivifica, perciò il più umile mestiere manuale può valere tanto o anche più della più elevata professione liberale.
Il cristianesimo fin dalle origini propone esempi supremi e di una efficacia persuasiva incomparabile di tale realtà negli augusti membri della Sacra Famiglia che raggiungono i sommi vertici della santità attraverso le più ordinarie occupazioni quotidiane.
In particolare Gesù Cristo offre l'esempio di trent'anni di lavoro contro tre di predicazione e attende tanto all'occupazione manuale quanto allo studio della Scrittura come a due momenti complementari della « perfetta lode » al Padre.
Questi principi teologici permisero al cristianesimo di convertire e i dotti e i semplici, e i padroni e gli schiavi.
Frutto insigne di essi fu la concezione di San Benedetto che prescrisse ai suoi monaci l'alternanza dello studio e del lavoro, sintesi di cui la storia riconosce l'importanza nella costruzione della nuova Europa.
Esaminando obiettivamente i secoli recenti, non si può disconoscere la presenza nel mondo cristiano di qualche tendenza non dico a promuovere una cultura umanistica, che è anch'essa un'esigenza giustificata, ma ad allinearsi alla concezione classica delle arti liberali contrapposte alle occupazioni servili e a fare della cultura il monopolio di ristretti ceti: deviazioni spesso inconsapevoli dell'autentico spirito evangelico, dovute all'influenza che la mentalità generale di un'epoca esercita e alla quale solo pochi spiriti superiori sanno sottrarsi.
Ma fortunatamente si trova operante nella Chiesa anche l'altra corrente che reputa possibile e anzi utile la cultura anche per il mondo del lavoro e che perciò vuole porre la scuola a servizio del mondo del lavoro.
Riconosciamo in questa linea l'opera del Calasanzio e in particolare l'opera di San Giovanni Battista de La Salle.
Tutto in lui è rivolto a questa mira: anzitutto il fine stesso che egli assegna al suo Istituto che è di istruire ed educare principalmente i figli degli operai, i quali, essendo occupati tutto il giorno nel lavoro, sono obbligati a lasciare i figli abbandonati nella strada; poi, l'obbligo di insegnare la lingua materna prima del latino; l'istituzione di scuole domenicali per gli operai; la larga preminenza data alle materie tecnico-professionali: matematica, disegno, geografia, nozioni di agricoltura, di commercio, di nautica, pratica di tessitura e di arti diverse.
Sulla medesima linea si svolge, più vicino a noi l'opera di San Giovanni Bosco e del B. Leonardo Murialdo.
La Casa di Carità Arti e Mestieri realizzata in Torino dai Catechisti fondati da Fratel Teodoreto e le scuole serali gratuite sorte accanto alla scuola diurna in varie case dei Fratelli della Provincia di Torino sono una moderna e coraggiosa attuazione di questo medesimo ideale.
La rivoluzione francese e le legislazioni democratiche che ad essa si ispirarono, imponendo l'obbligo della scuola primaria gratuita, contribuirono molto dal canto loro a spezzare il monopolio della cultura detenuto da ristrette cerchie e a metterla a disposizione di tutti.
Sotto questo riguardo, a parte le discussioni a cui si possono prestare i modi di attuazione, rappresentano certo un progresso sociale in Italia il principio a cui si ispira la nuova scuola media, cioè quello dell'istruzione aperta indistintamente a tutti i cittadini e l'esplorazione che essa si propone delle tendenze dell'alunno sia verso attività culturali sia verso attività pratiche.
Si può dire in generale che la nostra epoca ha particolare bisogno della sintesi di scuola e lavoro, per diverse ragioni:
a ) la valorizzazione del lavoro e dei lavoratori compiuta dalle grandi ideologie, partiti e organizzazioni sociali;
b ) il miglioramento generale delle condizioni di vita che suscita il desiderio di una elevazione anche culturale;
c ) l'importanza che ha conseguito la tecnica e quindi la richiesta urgente di esperti e di lavoratori qualificati;
d ) le esigenze della moderna pedagogia che mira a formare tutto l'uomo e non soltanto il dotto.
Perciò la nostra epoca è forse la prima nella storia a prendere coscienza esplicita del problema dei rapporti tra scuola e lavoro e dell'importanza universale di questo problema.
Si pensi ad esempio all'urgenza di una scuola a servizio del lavoro nei grandi agglomerati operai, nei centri di rapida e intensa immigrazione, nei paesi sottosviluppati, nelle missioni.
Occorre perciò dire che oggi acquista un valore eccezionale di testimonianza cristiana l'impegno di concorrere con una visione religiosa a mettere la scuola a servizio del mondo del lavoro.
Il cristiano ha tutte le ragioni ideali e tutti i titoli validi per non essere secondo a nessuno in questa impresa.
Ne si tratta certo di dedicarvisi a scopo tattico - sarebbe un'ipocrisia e un inganno - e cioè perché essendo oramai così potente, e anche minaccioso, il mondo del lavoro, è conveniente ingraziarselo e accaparrarselo; ma di spendervisi per un profondo convincimento di coscienza, per un sentimento di dovere sociale congiunto al rimorso del molto che si doveva fare e non si è fatto nel passato, con la gioia di un umile servizio è la consapevolezza dell'arricchimento umano e spirituale che deriverà agli insegnanti stessi dal contatto col mondo del lavoro.
La scuola cristiana deve mettersi a servizio del mondo del lavoro per tutte le ragioni umane oneste per cui deve farlo la scuola in genere, e deve distinguersi per modernità di attrezzatura e per efficienza di servizi, di metodi e di personale, ma essa ha poi delle altre sue ragioni specifiche la cui enunciazione credo costituisca l'aspetto più importante e ideale del tema in esame.
Anzitutto la scuola cristiana deve annunziare la « buona novella », il messaggio della salvezza, e questa non è per una élite, ma per tutta l'umanità e anzi in particolare per i poveri.
In secondo luogo c'è un urgente bisogno di cristianizzare di nuovo le classi lavoratrici, che sono sfuggite in gran parte all'influsso della religione.
È urgente far rivivere loro alcuni valori essenziali del cristianesimo: l'amore e la comprensione fra le classi sociali, invece dell'odio, senza d'altra parte dare l'impressione che il cristianesimo esiga una rassegnazione inerte ma esortando a un tenace e ardito operare per l'attuazione della giustizia sociale per sé e per gli altri; il valore spirituale e religioso del lavoro; la gioia umana e cristiana del lavoro; il limite delle aspirazioni economiche nella concezione globale cristiana della vita e il significato essenziale della vita terrena che è quello, come diceva Rosmini, di essere solo l'esordio della vita immortale dell'uomo.
Inoltre la scuola cristiana deve insegnare a « consacrare il mondo » e quindi anche la tecnica, assumendola nel suo valore strumentale di glorificazione di Dio, correggendone gli abusi e insistendo sulla necessità dei valori di preghiera e di contemplazione.
La scuola cristiana deve esporre chiaramente la dottrina sociale della Chiesa, così spesso totalmente ignorata, e la cultura che il lavoratore acquista dovrà anche permettergli di assumere con maggiore competenza le corresponsabilità a cui può e deve essere chiamato a tutti i livelli di organizzazione, da quello aziendale a quello nazionale e internazionale come auspicano anche le encicliche pontificie.
L'esistenza stessa poi della scuola cristiana sarà una eloquente testimonianza evangelica.
Le classi popolari non sono contro il cristianesimo, ma contro un certo tipo di Chiesa e di suoi rappresentanti, accusati a ragione o a torto, di tenere dalla parte dei ricchi e di non dare l'esempio delle virtù che predicano.
Tali accuse non si smentiscono con le parole, ma solo con i fatti.
Quando il popolo vede che i rappresentanti della Chiesa si spendono con sacrificio e disinteresse per la sua elevazione umana, economica, sociale, culturale, si riconcilia presto con la Chiesa.
E anche le scuole destinate ai ceti abbienti debbono essere a servizio del mondo del lavoro, sia perché è lavoro in senso ampio pure quello dell'elemento dirigente o comunque del professionista e tali scuole devono preparare gli alunni ad assolvere cristianamente il loro futuro compito, sia perché incombe l'obbligo di presentare chiaramente anche a loro la dottrina sociale della Chiesa e particolarmente i doveri dei datori di lavoro.
Infine la scuola cristiana salvaguarderà la libertà e la personalità del mondo del lavoro, insidiate dalle organizzazioni e dalla civiltà di massa, e in un insegnamento tecnico necessariamente specializzato e utilitario, introdurrà la dimen-sione dell'Assoluto, il rapporto col Tutto, supplendo con questo alle altre forme mancanti di cultura.
Le classi lavoratrici hanno in genere doti naturali magnifiche di spontaneità, di lealtà, di solidarietà, di generosità, di sacrificio, di sensibilità all'ideale, di amore della giustizia.
Bisogna che il cristianesimo rivendichi a sé tutte queste energie che ora spesso sono a servizio di una idealogia atea, e non per un interessato proselitismo, ma per un disinteressato servizio d'amore.
Sarà anche questo un concreto ed essenziale contributo all'edificazione di quella Chiesa dei poveri che è stata appassionatamente auspicata nel Concilio.
Fr. Camillo di Maria