Il dovere dell'apostolato |
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Gesù nella sua infinita bontà ci ha voluto associare a Lui per darci l'onore, la gioia, il merito di essere suoi collaboratori nell'opera più grande che si compie nel mondo: la salvezza delle anime.
E poiché ha voluto associarci alla sua opera redentrice, riservando in essa un posto alla nostra attività, bisogna dire che ora, nell'economia attuale della Redenzione, la nostra collaborazione è necessaria.
Ormai, per condurre a termine l'opera sua, Gesù ha bisogno di noi.
Da ciò deriva una tremenda responsabilità: la salvezza dei nostri fratelli dipende anche dalla generosità con cui noi collaboreremo all'opera di Cristo.
Quando si parla di apostolato si pensa quasi esclusivamente all'attività esterna.
Certamente questa è necessaria, però non è runica forma di apostolato.
Bisogna aver sempre presente che Gesù ci ha salvato non solo con cattività svolta negli ultimi tre anni della sua vita, dedicata all'evangelizzazione delle folle e alla formazione degli Apostoli, ma anche con tutta la sua vita Gesù fu sempre apostolo, fu sempre il « mandato » del Padre per la nostra salvezza.
Il suo apostolato comincia a Betlem, continua nei trent'anni di vita trascorsi a Nazareth nel nascondimento, prende una forma esterna a contatto diretto con le anime durante la breve vita pubblica, culmina nell'agonia del Getsemani e nella morte di croce.
Il desiderio veemente del Signore è di conquistare tutte le anime.
È il lavoro essenziale della sua Chiesa quello di portare a tutti gli uomini la conoscenza di Dio, ma per questo lavoro essa attende la collaborazione di tutti i cristiani.
Un errore della maggior parte dei cristiani è dimenticare, o ignorare, che è loro dovere collaborare alla redenzione e adoperarsi per riscattare i loro fratelli.
Dio vuoi salvare tutti gli uomini, ma questa volontà non è assoluta.
Dio non dice: « Fisso il loro destino senza di loro e senza gli altri, ma piuttosto: Fisso il loro destino con essi, per mezzo di essi, per mezzo dei loro fratelli ».
Bisogna ricordare che insieme con la libertà di Dio due altre libertà cooperano al riscatto del mondo: prima di tutto ciascuna delle nostre libertà individuali, poi tutte le altre libertà riunite.
Volere o no, ciascuno di noi influisce sugli altri con quello che è, con quello che fa, o meglio con quello che gli altri ci vedono fare.
Se la nostra vita nascosta ha già una forza immensa nell'organismo del Corpo Mistico, quale meraviglia che quanto apparisce all'esterno possa aiutare o ferire gli altri?
Dovunque siamo, anche soli, vincoli invisibili ci uniscono a tutti i nostri fratelli in Cristo.
Ma che cosa sarà dunque dei nostri atti compiuti alla luce del sole e dinanzi a testimoni?
A più forte ragione dobbiamo pensare che influiranno sugli altri.
Le nostre azioni generano conseguenze sociali, ma le genera anche il non fare nulla quando dovremmo fare qualche cosa, e ciò allarga in modo singolare la zona delle nostre responsabilità.
Responsabilità positiva nel primo caso, negativa nel secondo.
È bene chiedersi: abbiamo una cognizione sufficientemente esatta della realtà e degli effetti delle nostre omissioni?
Si può peccare facendo opere proibite, si può peccare non facendo opere comandate.
Il peggior male dell'omissione è di passare spesso inosservata.
Per la Chiesa la sua consegna è: « Va, insegna a tutte le nazioni ».
Essa non ha altra missione, ma questa missione ce l'ha e nessuno, di diritto sfugge alle sue sollecitazioni.
Ma di fatto ! Praticamente e in concreto, quante, quante anime, in questo istante si trovano fuori della via della salvezza, anche fuori della possibilità di incontrare la Chiesa.
Perciò non appare forse come smisuratamente ironica quella supposta volontà di salvarci tutti?
La risposta è semplice. Dio vuole salvarci tutti ma non vuole salvarci senza di noi.
L'affare della salvezza è una immensa e generale cooperazione, una cospirazione globale di tutti gli interessati ad un'opera, la quale è, al tempo stesso, di interesse personale e di interesse comune.
Risposta di teologo, si dirà, senza utile ne efficace ripercussione in una vita ordinaria di cristiano.
No, risposta invece che si spinge profondamente nell'intimo della vita di ciascuno.
Spieghiamoci.
Creati senza il nostro concorso, dobbiamo recare il nostro concorso alla opera della nostra salvezza.
Dio non ci salverà senza di noi, senza il nostro concorso individuale, senza il consenso della nostra volontà libera.
Una conseguenza che non dobbiamo dimenticare: noi potremo influire sulla volontà altrui per piegarla, ma rimarrà sempre vero che se questa vuoi persistere nel suo rifiuto, nulla prevarrà su di essa.
Infallibile per colui che prega, la preghiera non lo è necessariamente per colui per il quale si prega.
La ragione è chiara.
Ma vi è un secondo senso dell''espressione « Dio non ci salverà senza di noi » ed è questo: Dio salva ogni uomo in virtù della collaborazione di altri uomini.
La collettività ha la sua parte nella santificazione di ciascuno.
Sembra impossibile! Dio farebbe dipendere la salvezza e la santificazione delle anime dal concorso recato, o no, dalla massa, o da uno qualsiasi della massa?
Si, certamente, in una porzione misteriosa e impossibile a determinare, ma chiaramente indispensabile.
S. Paolo ci aiuta a penetrare un poco questo segreto del governo divino.
« Prima di tutto ( egli scrive a Timoteo ) raccomando che si facciano suppliche, orazioni … per tutti gli uomini, ciò è ben fatto, e grato nel cospetto del Salvatore Dio nostro, il quale vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino al conoscimento della Verità ».
Ed ecco così collegati due avvenimenti, preghiera e salvezza: preghiera per tutti e salvezza per tutti.
Ne risulta con evidenza che la volontà divina di salvare l'umanità non è indipendente dalla libera cooperazione di ciascuno, poiché a ciascuno è richiesto di partecipare alle disposizioni provvidenziali col contributo prezioso delle sue preghiere, dei suoi sacrifici.
Non vi è dubbio che la volontà divina sarebbe illusoria, se Egli non concedesse a ciascuno il soccorso sufficiente per la salvezza.
Dio non manca a questo suo impegno.
Infatti ogni ministero di parola per quanto largo e profondo si possa supporre, non può pretendere all''universalità.
Francesco Saverio evangelizzò popolazioni innumerevoli, ma che cosa sono sulla carta geografica la costa dei Paraveis, di Malabar, Singapore, una parte del Giappone … che cosa è tutto questo riportato su di un mappamondo?
Si calcola che S. Francesco Saverio abbia battezzato centomila infedeli, ma nel solo impero Cinese il numero degli abitanti supera questa cifra settemila volte!
Per quanto bello, l'apostolato dello zelo è forzatamente limitato.
Per fortuna possiamo aggiungervi un apostolato senza limiti: l'apostolato della preghiera.
Vi sono casi nei quali l'apostolato dello zelo esterno è impossibile, per imperiose ragioni di salute, di dovere di stato ecc.
Eppure sentiamo in noi un'anima ardente, abbiamo la percezione che la miseria soprannaturale della maggioranza degli uomini domanda una immensa pietà.
Ma come fare? Avete pensato alla preghiera? Con questo mezzo noi possiamo tutto.
Dovendo fare la prefazione ad un libro, il solo che per il diciannovesimo secolo sarebbe stato contento di avere scritto, e cioè « L'apostolato della preghiera », il famoso P. Gratry affermava: « Il mondo va male. Andrà bene quando vorremo. Ossia quando vorremo pregare ».
Parola esagerata? No, parola giustissima.
Tutti gli uomini hanno per fine la felicità eterna.
Il destino soprannaturale nei disegni divini non è, di diritto, riservato, ad alcuni privilegiati.
Bisogna lasciare a Calvino la sua odiosa teoria: il mondo è stato sempre diviso in due campi: quelli che Dio vuole salvare, e quelli che, con uguale volontà positiva, vuole dannare.
L'universalità dell'ammissione alle grazie della salvezza è indiscutibile.
Gesù è morto « prò totius mondi salute ».
È un dogma essenziale della fede cristiana.
Tradizione e Dottori sono unanimi su questo punto.
Nell'enciclica Mistici Corporis Christi leggiamo: « Mistero certamente tremendo, ne mai sufficientemente meditato, che cioè la salvezza di molti dipende dalle preghiere e dalle mortificazioni volontarie intraprese a questo scopo dalle membra del Corpo Mistico di Cristo e dalla collaborazione dei pastori e dei fedeli ».
Ecco un'altra forma di apostolato: l'abnegazione e il sacrificio.
Viviamo in un mondo in cui regna lo spirito di godimento, un'epoca afrodisiaca ( diceva Bergson ), e rischiarne di esserne più o meno intossicati anche noi che abbiamo ricevuto tante grazie di preservazione.
È stato così un po' in tutti i tempi, ma, ai nostri giorni la paura dello sforzo, la fuga di ogni mortificazione, in una parola il ripudio della Croce, si ammantano col bei pretesto di umanesimo, di vitalità, di sincerità; ecco perché è necessario rinsaldare le convinzioni sull'importanza dello spirito di sacrificio nelle nostre anime cristiane, specialmente noi che sentiamo il desiderio di aiutare le anime dei nostri fratelli, i poveri soprattutto, a trovare la via della salvezza, a trovare l'amore di Gesù.
« Si istruiscono le anime con la parola, soleva dire il P. Ghevrier, ma si salvano con la sofferenza ».
Infatti, ancor più apostolico della preghiera è il sacrificio.
L'apostolato limitato alle sole parole, raramente penetra in fondo ai cuori.
La libertà di un uomo, capace di resistere a Dio e agli inviti di Dio, può con più forte ragione opporsi alla parola di un altro uomo.
L'arma invincibilmente vittoriosa è il sacrificio, è la Croce.
Conosciamo tutti questo episodio della vita del curato d'Ars: A un sacerdote che si lamentava di aver tutto tentato per convertire la sua parrocchia, ma senz'alcun risultato disse: « Avete digiunato? Avete portato il cilicio? Vi siete dato la disciplina?
Finché non avrete sofferto volontariamente per le vostre pecorelle, non potete dire di aver tentato tutto per ricondurle a Dio ».
Parole da santo; se vogliamo effettivamente servire la Chiesa, darci la consolazione di rispondere agli inviti divini dobbiamo accettare questa dottrina.
Le sofferenze, il sacrificio, ecco la moneta con la quale si compra il potere di fare un po' di bene.
Devo ringraziare, felicitare l'Unione Catechisti di aver organizzato la crociata della sofferenza per le vocazioni.
Tutti coloro che soffrono sono invitati ad unire le loro sofferenze alle sofferenze redentrici di Gesù.
Idea al cento per cento cristiana.
Il Concilio ha parlato ancora di un apostolato speciale per i laici, l'apostolato d'ambiente.
Che non basti oggi l'azione del clero per condurre, o meglio ricondurre allo spirito cristiano « la mentalità e i costumi, la legge e le strutture della Comunità » in cui ci troviamo a vivere, il Concilio l'ha ribadito con affermazioni molteplici.
Si trovano diffuse nel vasto dettato pastorale, specie in quei documenti che maggiormente affrontano il problema urgente della fermentazione del mondo in questo momento.
I preti non sono tutta la chiesa, l'averlo pensato diversamente, forse, per qualche tempo, ha affievolito la capacità penetrativa del Vangelo.
Un messaggio affidato soltanto al clero si presentava già parzialmente pregiudicato.
Qualcuno poteva dire: « I preti dicono così perché sono preti. Che dovrebbero dire altrimenti? ».
Era ingenerato il pregiudizio del professionalismo.
I laici, anche cattolici praticanti, dovettero pensare che l'impresa di portare Cristo fosse monopolio della Gerarchia ecclesiastica.
Il Vaticano II ha parlato compiutamente di « un obbligo, di un compito proprio dei laici che dagli altri non può mai essere debitamente compiuto ».
Si tratta di ciò che con espressione propria viene definito: l'apostolato dell'ambiente sociale.
Essere Cristo, essere testimonianza viva del Vangelo là dove il clero non arriva o non potrà mai arrivare: esercitare l'apostolato del simile verso il simile.
Naturalmente si aprono prospettive immense.
Quanti e quali sono infatti gli ambienti che non sono normalmente a contatto col prete?
Immenso è il campo delI'apostolato laicale!
Un apostolato ( dice il Decreto ) che si attua nel campo del lavoro e della professione, dello studio, dell'abitazione, del tempo libero e delle associazioni.
« In tali settori, i laici sono più adatti ad aiutare i propri fratelli ». E come?
Nel Decreto sull'Apostolato dei laici si indicano almeno tre forme con le quali i laici adempiono nel mondo la loro missione.
Anzitutto la coerenza della vita con la fede, poi la carità fraterna, infine compiendo la propria parte nell'edificazione della società.
I veri apostoli non si accontentano di questa azione e cercano di annunciare Cristo al prossimo con la parola - quando è possibile - poiché molti uomini non possono udire il Vangelo e conoscere Cristo se non per mezzo dei laici che stanno loro vicini ».
La Chiesa ha espresso così al laicato una fiducia senza limiti.
Qui sta, il problema per ciascuno di noi, il dovere di ogni anima cristiana: accettare di lasciarsi penetrare dalla Vita di Gesù, dalla sua Parola.
Se accettiamo questa penetrazione il Verbo prolungherà in noi e per mezzo di noi la sua Incarnazione, la sua opera salvatrice.
Saremo per Lui umanità di soprappiù.
Domandiamo umilmente di essere coram populo i testimoni del Cristo: con le parole, le azioni specialmente la preghiera e il sacrificio, testimoni che irradiano la sua bontà, la sua dolcezza, il suo spirito di povertà, di giustizia …
Non resistiamo alle dolci insistenze del suo amore, diamoci a Lui ogni mattina affinché Egli regni in noi, nella nostra mente, nella nostra volontà, nei nostri cuori.
Qui il principio e la base dell'apostolato.
Fr. Nicet Joseph