Dio è nostro Padre |
B176-A2
I rapporti dell'uomo con Dio sono ineffabili, essendo Dio infinito, e si possono esprimere solo con immagini e paragoni tolti dalla vita umana: è quello che fa la S. Scrittura, che ci parla talvolta di Dio con un linguaggio antropomorfico.
Dio è l'oceano infinito dell'essere, principio e fine di ogni cosa.
Creatore e Signore di tutto, giudice e rimuneratore che « renderà a ciascuno secondo il suo operato » ( Mt 16,27 ).
Ma Egli è soprattutto l'Amore e tutto ciò che Egli fa procede dall'amore, è informato dall'amore, vuole suscitare l'amore.
Le relazioni d'amore che intercorrono fra gli uomini sono un riflesso delle relazioni che Dio stabilisce con ciascun uomo.
La paternità, la fratellanza, l'amicizia, le relazioni sponsali, ecc. si realizzano perfettamente solo in rapporto a Dio e hanno in Dio il vero e più sublime modello.
Infatti che cos'è la paternità?
L'albero che produce il seme non si chiama padre di quello che nasce dallo stesso seme.
L'atto generativo della vita umana, quantunque indispensabile, non è l'essenziale della paternità.
Anzitutto nella generazione della vita umana interviene sempre l'atto creativo di Dio, e poi anche dopo la nascita del bambino quanto resta ancora da fare prima che ci sia l'uomo completo: nutrirlo, difenderlo, istruirlo, educarlo ecc.
La parternità più vera è questa lunga, amorosa e paziente cura per trasmettere al neonato tutto ciò che farà di lui un uomo perfetto, che rifletterà i tratti non soltanto fisici, ma anche spirituali di chi l'ha formato.
Questo capolavoro che è la costruzione di un altro uomo, il massimo compito che ci possa essere affidato e a cui tutto in questo mondo è subordinato, non è che una collaborazione all'opera di Dio, perché è Lui che fa tutto in tutti.
"È Lui che stabilisce le leggi, all'infuori delle quali non c'è più l'ordine e la vita, ma il caos e la morte.
E queste leggi non sono che un riflesso della sua natura.
È Lui che da l'efficienza e il senso a tutte le cose create, riflettendo in esse la sua potenza e sapienza infinita.
La paternità umana non è dunque altro che un riflesso e una partecipazione di quella divina, e il nostro più vero padre è Dio.
Agli albori della rivelazione quando Dio parlava per mezzo dei profeti facendo trasparire qualche raggio di sé.
Egli era soltanto il Signore: « Adonai »; benché sia assai significativo il fatto che proprio all'Antico Testamento appartenga quel delizioso poema dell'amore umano che è il Cantico dei Cantici, così discusso dagli Ebrei che non l'avevano capito, fino a metterne in dubbio l'autenticità della rivelazione e la sua appartenenza alla S. Scrittura, ma che ha fatto la delizia dei mistici cristiani, i quali, più illuminati, ci hanno visto la descrizione dello sposalizio dell'anima con Dio.
Il Vecchio Testamento conteneva già in germe tutta la tematica del Nuovo.
Ma venuta la pienezza dei tempi Dio inviò nel mondo il Suo Figlio unigenito, il quale volle essere nostro fratello e ci insegnò a chiamare Dio nostro padre: « quando pregherete direte così: Padre nostro … ».
La frase di Gesù non è un'espressione puramente poetica, ma indica una realtà, quella misteriosa realtà che è la grazia santificante, che elevando l'uomo allo stato soprannaturale, lo rende partecipe della natura di Dio e per così dire, imparentato con Dio.
L'espressione « figlio adottivo » che viene usata per indicare lo stato di grazia, suggerisce facilmente un equivoco, perché richiama l'istituto umano dell'adozione, che è una pura convenzione giuridica, mentre l'adozione divina per mezzo della grazia è una reale elevazione della natura ad uno stato di partecipazione, cui non ha alcun diritto, anzi neanche l'anelito, tanto esso la supera.
Senza dubbio solo Gesù è il Figlio per natura, l'Unigenito in cui il Padre ha posto tutte le sue compiacenze, ma il Padre ha voluto unire a Gesù tutti gli uomini, affinché Egli fosse « il primogenito fra molti fratelli » e questi potessero unirsi a Lui nel Suo Spirito per chiamare Dio « Abba, padre ».
Noi dunque chiamiamo Dio col nome di Padre non nel senso lato, equivalente a quello di autore, per cui Dio può dirsi padre di tutto l'universo creato e per cui diciamo ad esempio che Dante è il padre della lingua italiana, ma nel senso proprio secondo cui un vivente comunica la vita ad un altro vivente, partecipandogli la propria natura.
I vincoli dello spirito sono assai più veri e più forti di quelli della carne.
« Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? …
Chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, quegli è mio fratello e sorella e madre » ( Mt 12,48-50 ).
Sono parole di Colui che è chiamato la Sapienza Eterna e che disse: « Io sono la verità ».
Se dunque Dio è nostro padre dobbiamo sentire anzitutto la nobiltà e la gloria della nostra origine.
E il nostro atteggiamento verso di Lui deve essere quello filiale, che consiste in quei sentimenti di venerazione e di gratitudine che sorgono spontanei in chi pensa alla maestà di un tanto padre e a tutti i suoi benefici; nell'affetto sincero, che ispira una delicata attenzione non solo a non recargli alcun dispiacere, ma a cogliere ogni occasione per fargli piacere; soprattutto nella confidenza assoluta e nella fiducia sicura che merita Colui che tutto può; che « ha cura e provvidenza delle cose create, e le conserva e le dirige al proprio fine con potenza, sapienza e bontà infinita » ( come ci insegnava il catechismo di Pio X ) e che non ha esitato a darci addirittura il Suo Figlio diletto, il quale « nascendo si diede a noi quale compagno di questo terrestre pellegrinaggio, commensale della nostra tavola si diede a noi in cibo, morendo si diede in prezzo della nostra salvezza, regnando in cielo si da a noi in premio ».
Se la coscienza ci rimprovera ricordiamo la parabola del figlio prodigo e non aggiungiamo alle nostre mancanze quella che più ferisce il cuore del padre: la diffidenza.
Se abbiamo bisogno di qualche cosa ricordiamo le sue promesse di esaudimento.
È ben strano che dopo tante e sì formali assicurazioni si sia così esitanti.
E se ci sentiamo mancare anche la buona volontà, ebbene chiediamo anche quella, perché anche quella è un dono: « Senza di me non potete far niente ».
In un convento di clausura nei dintorni di Torino è morta qualche anno fa una suora molto anziana, che da oltre 60 anni viveva sotto il vincolo del voto eroico di fare sempre ciò che è più perfetto.
Essa pregava normalmente con questa formula che le era stata ispirata: « Gesù fai tutto tu per me ».
In questo abbandono totale la sua vita trascorse in una grande serenità, e, pensiamo, con grande frutto.
Ecco un'anima che aveva compreso la paternità di Dio.