Anno Santo

B190-A3

" Una rigenerazione del pensiero dell'uomo contemporaneo "

La grande notte della negazione deve cessare, e il raggio pasquale del Signore risorto, il « lumen Christi » all'alba del Sabato santo deve ridare senso al quadro oscuro della vita umana [ Paolo VI ].

Da quando ha proclamato l'Anno Santo, il Papa è tornato più volte, in circostanze diverse, sul problema dell'incredulità moderna e sulla necessità di una preghiera intensa, affinché Dio intervenga per una rinascita della fede nel cuore degli uomini.

Sarà allora come quando in una stanza buia vi accendiamo una luce.

Nulla è cambiato, ma tutto è illuminato.

Ogni cosa mostra la sua forma, la sua posizione, i suoi colori, il suo scopo, il suo ordine; e chi dimora nella stanza rischiarata, guarda, distingue, ammira …

Così noi pensiamo possa avvenire nello spirito dell'uomo moderno, se la luce della fede riappare dentro di lui [ Paolo VI ].

Ormai tutti lo sanno viviamo un periodo di decomposizione formidabile in cui la fede - scoppiata - non sembra dover mai più cicatrizzare le sue ferite. [ Quéré ].

L'idea di Dio tale quale è stata vissuta pocanzi da una massa di cristiani tradizionali, crolla.

Grande parte della gioventù s'interessa sempre meno alle questioni specificamente religiose.

Il solo, vocabolo di teologia - a fortiori di soprannaturale - lo fa sorridere.

Non crede più nell'intelligenza della fede.

Solo l'azione l'affascina.più ai preti, ma ai sociologi, agli psicologi, agli economisti e ai politici, ch'essa va a chiedere il suo cibo.

Perché? Se non perché sente una soluzione di continuità tra le sue aspirazioni e la brodaglia che le propone una religione impastoiata nei suoi riti, i suoi dogmi e la sua dottrina [ Fesquet ].

L'uomo non ha compito più urgente della ricerca di un terreno fermo per assicurare il suo passo.

Altrimenti la sua rivolta contro le leggi morali che s'impongono a lui come dei tabù, lo porterà all'abbandono di ogni regola [ Légaut ].

Sembra che siamo già parecchio progrediti su questa strada pericolosa.

Già nel lontano 1800, Lichtenberg annunciava: Il mondo diventerà così raffinato che credere in Dio sarà altrettanto ridicolo come credere adesso nei fantasmi.

Tutto sembra, oggigiorno, militare contro la fede, a cominciare dall'allergia religiosa viscerale di numerosi dei nostri contemporanei.

Gli uomini di fede che credono in Dio come respirano, devono prendere coscienza che esistono degli uomini intelligenti e diritti, che hanno eliminato l'ipotesi di Dio, una volta per tutte.

Alcuni l'hanno sostituito con l'umanità, la razza ( hitlerismo ), il proletariato ( marxismo ), il profitto ( capitalismo ), la storia, l'arte, ecc.

Alcuni uomini di scienza hanno rinunciato a trovarsi un assoluto; ma accade loro di essere nostalgici, come Jean Rostand, biologo eminente, che diceva recentemente ad un giornalista:

Voi dite che l'uomo è il capolavoro di Dio.

Io dico il capolavoro della natura.

Passo delle notti a pensare a queste cose, all'origine dell'universo, dell'uomo, della coscienza.

Non posso ammettere che un essere abbia creato tutto ciò.

E d'altra parte, ho pena ad ammettere che questo si sia fatto da sé, per caso. Allora sono dilaniato.

Altri sapienti si mostrano più categorici.

L'ultimo arrivato è il biochimico francese Jacques Monod - premio Nobel per la fisiologia e medicina - per cui l'uomo non è che il frutto del caso e della necessità.

Scrive ( 1971 ): L'uomo sa finalmente ch'egli è solo nella immensa indifferenza dell'universo, da dove è emerso a caso.

Il suo destino come il suo dovere non sono scritti da nessuna parte.

Tocca a lui scegliere tra il Regno e le tenebre …

Ma sono i filosofi che spingono le loro investigazioni più lontano.

Per sfuggire alle conclusioni normali, razionali, ineluttabili a cui giunge un'analisi positiva del reale, tale quale ci viene data, le filosofie hanno fatto, fanno o faranno ancora tutto ciò che è loro possibile fare; hanno tentato e tenteranno perfino l'impossibile [ Claude Tresmontant ].

Tenteranno l'impossibile pur di non accettare semplicemente l'esistenza di Dio, che spiegherebbe tutto.

E così si va lentamente alla negazione dell'uomo stesso.

Come scrive Gabriel Marcel: Dopo l'affermazione « Dio è morto », dopo quasi tre quarti di secolo, un'altra affermazione - più mormorata nell'angoscia che distintamente pronunciata - è andata a farle eco: « L'uomo è in agonia ».

E difatti, Levi-Strauss gli dà il colpo di grazia: È la comunicazione - scrive - che crea l'uomo.

Si giunge così al tetro pessimismo delle filosofie esistenziali per cui l'uomo non ha più nessun senso, in un universo privato di significato.

Sul piano politico, la nostra epoca ha visto nascere l'ateismo militante nei paesi socialisti.

Questa lotta ha conosciuto tutti gli stadi, dalla persecuzione brutale ( esilio, prigione, lavori forzati, tortura ), fino ai metodi di propaganda più sottili, per sradicare le credenze religiose nel popolo.

Mao Tse Tung scriveva nel 1927: Sono i contadini stessi che hanno eretto le statue degli dèi.

Il tempo verrà in cui saranno pure loro stessi ad abbatterli …

Farlo al posto loro, sarebbe un errore.

Tutte queste idee sono nell'aria: che tutti noi respiriamo.

Altre, attinenti al cosidetto « futuribile » - di cui non si parlerà qui - non tarderanno a scendere dai cervelli degli intellettuali, nei cervelli indifesi della massa.

Con la forza di un maremoto questa nuova mentalità, frantuma tutto, distrugge tutto e tocca l'essenza delle cose e degli esseri.

Gli adulti, quelli che hanno vissuto e continuano a vivere la loro fede, possono resistere in mezzo alla tempesta, sostenere lo shock di questa ondata mondiale.

Ma i giovani, in particolare gli adolescenti, che non sono ancora protetti da argini psicologici sufficientemente solidi, ne sono le prime innocenti vittime.

Stanno per entrare nella vita, per sbocciare, con un cuore ricolmo di attesa, e d'un colpo vengono ghermiti e inghiottiti da un'onda gelida di dubbio, di angoscia, di assurdo.

Quando un giovane vede il suo passato crollare e sfociare nel vuoto dell'assurdo, che gli viene presentato da tante false sirene, cosa gli rimane per impedirgli di odiare la vita?

Talvolta viene sfiorato dal pensiero del suicidio o perlomeno dal desiderio di finirla il più presto possibile.

Questo per i più lucidi e i più sensibili.

Per gli altri - e questo è meno esigente ma più insidioso - essi vengono spinti a rifugiarsi o piuttosto a « sfuggire se stessi » in qualsiasi stordimento, qualsiasi godimento, dalla moto alla droga via il sesso.

Quando i vecchi non sanno più dove vanno, i giovani si sentono smarriti. [ Bettelheim ]

E se la vita non ha più nessun significato, non vale più la pena di prenderla sul serio.

È il momento di ricordarsi del pensiero di Teilhard de Chardin: Il giorno è vicino in cui l'umanità si accorgerà ch'essa si trova biologicamente situata tra il suicidio e l'adorazione.

In fondo al gigantesco scombussolamento che travaglia la nostra epoca, vi è una parola magica: la scienza, e, per precisare meglio, « il metodo scientifico moderno ».

Il fisico Claude Bernard lo spiega così: I fatti suggeriscono l'idea, l'idea dirige l'esperienza, l'esperienza giudica l'idea.

Questo metodo, straordinariamente fecondo nel mondo materiale propriamente detto, ha dato all'uomo moderno una schiacciante superiorità, in confronto a tutti i suoi predecessori.

Perché allora la scienza che rende tutto possibile non ci è di nessun aiuto per aiutarci a vivere una vera vita?

Allorché da una parte, l'umanità non sembra più in grado di controllare le sue conquiste, dall'altra non arriva a debellare la fame, l'analfabetismo, le discriminazioni razziali, la guerra, il genocidio.

Lo squilibrio tra la potenza dell'uomo e le sue forze morali costituisce un dato di fatto.

Come dice il filosofo Garaudy: siamo già in pieno caos e camminiamo verso la disintegrazione.

Perché questa impotenza della scienza?

Per il motivo semplice che il metodo scientifico sperimentale non si applica né al pensiero umano, né alla vita in sé, né all'amore, né ai valori dello spirito.

Queste realtà non sono sperimentabili.

È impossibile rinchiuderle in una provetta, o farle entrare in una equazione.

Che cosa si è fatto allora? Più di cento anni fa lo spirito è stato dichiarato « inesistente ».

È già lontano difatti, il tempo in cui due grandi chirurgi Le Dantec e Wirschow dichiaravano di non aver mai incontrato un'anima all'estremità del loro bisturi - e in cui Cabanis affermava che il cervello digeriva in qualche modo le impressioni e produceva organicamente la secrezione del pensiero [ Boinet ].

Lo spirito, negato, annullato, rimosso dalla scienza materialista, sta per « risorgere ».

La contestazione dei giovani sembra esserne un sintomo.

Uno dei più famosi pionieri dello spirito, attualmente vivente, è lo psicologo viennese Victor Frankl, considerato l'emulo di Freud per la « psicologia dell'altezza », ex-deportato di Auschwitz, che, attraverso tutta l'opera della sua vita, è giunto a provare l'esistenza della spiritualità umana.

Lo spirito umano possiede parecchie vie per giungere alla realtà.

Quella preferita - e di molto - dai nostri contemporanei è l'intelligenza.

Ma l'intuizione, il sentimento, la poesia, l'amore, la religione, ciò che con una parola sola si chiama oggi l'« emozionale », è una via diversa, non meno sicura, per giungere al reale.

Come dice A. Carrel: Lo spirito e nello stesso tempo ragione e sentimento.

Si può dunque amare la bellezza della scienza, ma ugualmente la bellezza di Dio.

Dobbiamo ascoltare Pascal con lo stesso fervore col quale ascoltiamo Cortesia.

Nel suo stato attuale, la scienza sperimentale ci fornisce molti, « come », ma nessun « perché ».

Non c'insegna né perché siamo, né dove andiamo, e meno ancora dove dobbiamo andare, quali scopi dobbiamo prefiggere alle nostre vite e alle nostre società.

Dell'universo, essa ci da un'immagine sconvolgente mistero tremendo e affascinante per riprendere l'espressione di Huxiey, in cui l'uomo sembra non aver più nessun senso …

La scienza non sa se il suo prossimo passo le consentirà di scoprire l'Elisir di lunga vita o un batterio che distruggerà la vita prima che qualsiasi scienziato al mondo sia capace di realizzare la sostanza adatta a difenderla e a immunizzarla.

La scienza dunque va avanti, e va avanti alla cieca.

Acquista così suono di profezia la quartina di Ornar Kahyam che parve blasfema: Allora, al cielo stesso che si volge ho gridato e domandato: che lucerna offre il Destino per guidare i passi di questi fanciulli che inciampano al buio?

E il cielo ha risposto: Un'intelligenza cieca.

Non siamo effettivamente che « bacilli » o poco più, sotto un cielo vuoto?

L'universo è veramente assurdo o non è piuttosto la rappresentazione che ce ne danno a nome della scienza ( spesso abusivamente ) che è assurda?

Non è possibile usufruire del benessere creato dalla tecnica e contemporaneamente conservare un senso alla vita?

La scienza che ha distrutto tutti gli dèi « magici » non ci aiuterà a scoprire il Dio « cosmico », quello che Gesù Cristo è venuto a farci conoscere?

Siamo nella notte, e l'uomo ubriaco di potenza crede di far alzare il sole.

La sua volontà di dominazione lo lancia alla conquista dello spazio, nel momento in cui milioni di esseri muoiono di fame, sono piegati sotto l'ingiustizia e la violenza.

Non ha mai tanto addomesticato la materia, ma mai quest'ultima lo ha tanto asservito.

L'uomo si distrugge, e distrugge.

Vuole tutto conoscere, persuaso che la scienza e le sue applicazioni tecniche gli apriranno un portale reale.

Crede di cercare la felicità, allorché non cerca che un ordine.

I continenti sono ad un paio d'ore gli uni dagli altri, ma tra due uomini che si fiancheggiano ogni giorno, lavorano nella stessa fabbrica, nello stesso ufficio, abitano lo stesso fabbricato, vi è un abisso di ore [ Boutefeu ].

Solo una rivoluzione spirituale può salvarci.

Tornare allo spirito, al rispetto della vita, al rispetto della persona, alla fede, a Dio.

E così ritrovare se stessi.

Perché rimanere straniero a Dio e sempre rimanere straniero a stesso.

Trovare Dio, è trovarsi [ Pezeril ].

In una poverissima baita di montagna vivacchiavano un robusto giovanotto e la sua vecchia madre vedova.

Malgrado un lavoro accanito, non riuscivano più a tirare avanti.

Con il consenso della madre, il giovane si decise a partire per l'estero.

Arrivò il giorno della partenza.

Era ancora buio.

Sull'uscio di casa, la vecchia madre, dopo aver baciato in lagrime il suo figlio, prese una lampada accesa, la mise nella mano del viandante con queste parole: Figlio mio, non so se ti rivedrò quaggiù.

Promettimi, qualunque cosa accada, di conservare con te questa lampada, a ricordo di tua madre.

Lo promise e se ne andò.

Era notte buia e la lampada rischiarava allegramente la strada.

Ma quando il sole si fu alzato, la lampada non serviva più a nulla: non se ne vedeva neanche la fiamma.

Col passare delle ore, la lampada sembrava pesante e ingombrante: il figlio voleva buttarla via.

Resistette alla tentazione, al pensiero della madre.

Ma tutto passa quaggiù. Anche le giornate più lunghe.

Lentamente il sole cominciò a tramontare e lentamente anche la lampada ridiventava preziosa.

E quando fu notte piena, il figlio fu addirittura felice di non averla buttata via.

E nel cuore suo, benediceva la madre previdente.

Questa lampada è la fede.

La madre previdente è la Chiesa.

La Chiesa è lì, solo per questo: trasmetterci la fede in Gesù Cristo.

Per avanzare nella vita, abbiamo bisogno di una certezza assoluta.

Dio stesso si è fatto « certezza » con la sua parola, la Bibbia, specialmente il Vangelo.

Le sue promesse si adempiranno: a chi sarà fedele, sarà data la vita che non tramonta.

All'alba del giorno della nostra esistenza terrestre - cioè al tempo della nostra infanzia, eravamo felici e ci rallegravamo alla fiamma della nostra lampada.

Senza difficoltà pensavamo a Dio.

Volentieri pregavamo.

Ci sentivamo in armonia con il mondo e gli uomini.

Siamo cresciuti.

Abbiamo frequentato le scuole degli uomini; abbiamo avvicinato, e sentito parlare ( TV ), tanti professori, dottori, sapienti, politici, uomini importanti, o che si davano dell'importanza.

Siamo entrati nella loro società.

Abbiamo fatto la scoperta del meraviglioso mondo della natura, dei fiori, dei monti, del mare, ma anche del mondo creato dall'uomo: mondo del cemento e della plastica, mondo della musica, del cinema, dello sport, del motore, della tecnica, della scienza …

Soprattutto abbiamo scoperto il mondo « umano » dell'amicizia, dell'amore, della convivenza umana - ma anche, disgraziatamente, il mondo dell'ingiustizia, della violenza, dell'odio, della fame, della sofferenza, della guerra …

Ed ecco che la luce della nostra lampada si fa pallidissima, in confronto degli abbagli che ci vengono da ogni parte.

Difatti, la fede non ha più nessun posto in molti settori della vita moderna.

Ci viene la voglia di buttarla via, la nostra lampada.

Ci sembra un bagaglio realmente troppo anacronistico per la nostra era atomica.

Cosa farne di questa fede nel mondo del denaro, degli affari, dei piaceri, del sesso, del consumo?

Troneggia giustamente la scienza, madre della tecnica e del benessere.

Ma la fede, cosa farne? A cosa serve?

Quaggiù, però, tutto passa.

Non si può fermare il tempo.

Passa la giovinezza e passa l'età adulta.

Lentamente tramonta anche il « giorno » della scienza.

La malattia e la sofferenza battono alla nostra porta.

La vecchiaia si avvicina alla chetichella.

E la morte si affaccia.

Una volta, faceva parte della compagnia; adesso è seduta alla stessa tavola.

E non sappiamo nulla del nostro destino.

Dottore! dove si va dopo la morte? chiedeva, al pronto soccorso, un giovane motociclista, vittima di un grave incidente stradale.

Abbiamo lavorato, ci siamo affaticati, a che prò? Siamo in piena notte.

Ed ecco che di nuovo, lentamente, la piccola fiamma ridiventa luminosa.

Lentamente la strada si rischiara.

L'unica strada che rimane: Gesù di Nazareth e la sua promessa di vita eterna.

Colui che mi segue non cammina nelle, tenebre, perché possiede la luce della vita.

Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se morto, vìvrà; e chi vive e crede in me, non morrà in eterno [ Gv 11,25-27 ].

La fede è grazia, dono di Dio.

La fede è Gesù Cristo riscoperto ogni giorno, amato ogni giorno, pregato ogni giorno, ascoltato ogni giorno.

La fede è umile, difficile, tremante come una fiamma nella notte.

Non è una risposta agli interrogativi dell'uomo.

È una certa maniera di porre le domande e un'arte di aspettare.

La fede non è una bacchetta magica che subito rende la vita facile.

Non si utilizza la fede come un rimedio per addormentare il male.

Si ha la fede perché essa colpisce come il fulmine o perché la si è colta come un frutto maturo a lungo desiderato.

Il cristiano non è un essere straordinario la cui regola è più piena, la testa fatta meglio o il cuore più ardente.

Non è un superuomo.

Non è necessariamente migliore di un altro.

Ma la sua stella brilla di uno splendore unico.

Questa stella non è a sua disposizione, né a portata della sua mano, ma è lì, preziosa e fragile.

Talvolta sparisce dietro le nubi.

Si attende allora il suo ritorno col batticuore.

Il segreto della fede è il segreto dell'amore.

Ecco perché non è trasmissibile.

Ecco perché è così difficile renderne conto.

Così difficile ugualmente viverne.

Chi è all'altezza del proprio amore, della propria fede?

Sentimentale la fede?

Non ha niente di romantico.

Può essere brutale come una mannaia, selvaggia come una belva che demolisce la sua gabbia.

Essa è la leva che solleva il mondo.

Fa indietreggiare le frontiere del possibile.

La fede è ad immagine di colui che la vive.

L'essenziale è che la corrente passi, che il calore si trasmetta, che la luce si diffonda, che le mani si tendano verso altre mani.

Perché la fede distrugge ogni solitudine.

La fede è una incertezza superata.

Di poco, talvolta, ma basta un milligrammo per far inclinare la bilancia.

Una fede che non dubita è una fede morta [ Unamuno ].

L'incertezza è consostanziale alla fede [ F. Quéré ].

Come spiegarlo a chi ti guarda con ironia?

La fede è non soltanto inutile - come un'opera d'arte gratuita -; abitualmente essa non cambia l'intimo dell'anima.

Ma là dove faceva freddo e buio, una tenue luce e un calore strano penetrano ogni angolo.

Avere la fede, non è conoscere, ma « ri-conoscere ».

È - d'un colpo o progressivamente - diventare più chiaroveggente, capire meglio, vedere più lontano, sentirsi più « intelligente », cioè aver l'occhio più acuto, scoprire una profondità ignorata, una coerenza mai vista, un rilievo insospettato.

La fede è chiamata apertura, movimento.

È una screpolatura, una fessura nel muro della nostra prigione, delle nostre meschine sicurezze.

La fede è il contrario del « sapere ».

Non si prova. Là dove c'è prova, non c'è fede.

Chi non si è mai urtato con l'assurdo?

La fede è il senso, la direzione.

Essa non spiega nulla, ma indica la via, la stretta che bisogna varcare per giungere alla terra promessa.

L'essenziale non è ancora detto.

È compendiato in due parole: nel cristianesimo, la fede non è qualcosa ma Qualcuno.

Io sono la porta, dice Gesù.

Chi entra attraverso me, troverà dei pascoli [ Gv 10,9 ].

Ecco perché è impossibile esprimere correttamente la propria fede: è un mistero, il mistero di una persona, mistero del Figlio di Dio, del Verbo incarnato.

Gesù ha parlato quasi sempre in parabole, ha agito, è passato.

Ha raggiunto l'altra sponda.

Veniva da altrove e andava altrove, ma su questa terra riempiva tutto della sua presenza.

La breccia è sempre aperta sulla sua scia.

Non rotolare la pietra del sepolcro su di esso: aver la fede, è credere in Gesù morto è risuscitato. [ H. Fesquet: La foi toute nue ].

La fede, dunque è la presenza di Qualcuno.

Una presenza fatta per invadere tutto, oltrepassare tutto.

« Occorre che Egli cresca e ch'io diminuisca » diceva il Battista.

« Vivere, per me, è Cristo » scriveva Paolo con quella audacia di linguaggio che avremmo veramente bisogno di ritrovare.

E raccomandava di vivere Cristo interamente, giacché, « il tempo si fa breve ».

Anche noi proviamo questo sentimento, quando ci sembra che tutto se ne vada e che risuoni la tremenda parola di Cristo: Quando il Figlio dell'uomo tornerà sulla terra, troverà ancora della fede?

La risposta dipende da noi che ci diciamo discepoli di Lui.

Abbiamo forse dimenticato una essenziale evidenza: i cristiani sono sempre dei primi cristiani.

La fede muore con ciascuno di noi.

Essa rinasce in altri, talvolta nella disperazione, come all'alba della prima domenica, quando Maddalena chiedeva a colui che scambiava per l'ortolano: Se sei tu ad averlo preso, dimmi dove l'hai messo.

Molti educatori oggi si chiedono se è ancora possibile « trasmettere la fede ».

Difatti, ciò che si ha di più caro, si ama condividerlo, ma questo sembra diventato molto difficile.

Eccoci con una spada nel cuore, scrivevano dei genitori cui uno dei figli confidava la sua impossibilità di credere.

Ma questa spada ha trafitto un altro cuore prima del nostro.

Ed è attraverso questa ferita che la vita è entrata nel mondo.

Non è Dio ad essere in difficoltà.

Siamo noi, con le strane idee che talvolta ci siamo fatti su di lui, e che i giovani non accettano più.

Un uomo diviene ateo quando si sente migliore del dio che gli si propone, scriveva Proudhon nell'ultimo secolo.

L'incredulità ci fa tornare a noi stessi e spesso alle nostre infedeltà.

Ma ci fa tornare ugualmente a Colui che è più grande del nostro cuore.

Colui che era, che è, e che viene.

Colui che ieri fu, oggi è, come domani sarà. [ R. Masson ]

Nel corso di questo Anno Santo, ripetiamo spesso la preghiera del Vangelo: Signore, accresci la mia fede! e in unione con il Santo Padre, chiediamo a Maria, Madre di Gesù e della Chiesa, di « conservare in noi la fede ».

Fr. Ioseph