Il cardinal Mindszenty |
B196-A6
Il Cardinale Giuseppe Mindszenty, già primate d'Ungheria e morto il 5 Maggio 1975 è un fulgido eroe della Chiesa, un atleta di Cristo, un gigante della giustizia e della verità, di cui fu impavido testimone e difensore fra le più dure persecuzioni.
Egli fa parte di quel gruppo di prelati dell'Europa centrale, ai nostri giorni, vittime illustri di due grandi persecuzioni, opposte fra di loro, ma concordi nell'opprimere la Chiesa, cioè il razzismo e il comunismo: Beran, Trochta, Stepinac, Wyszinsky, Slypij, ecc.
Il Papa Paolo VI annunciò il decesso del card. Mindszenty nell'udienza generale del 7-5 u.s. con queste parole: « la morte è venuta a spegnere sulla terra una fiamma che ha illuminato della sua luce corrusca questi ultimi decenni della vita Chiesa.
Il caro e venerato Cardinale Giuseppe Mindszenty, già Arcivescovo di Esztergom, Primate di Ungheria, si è spento ieri a Vienna …
Singolare figura di sacerdote e di pastore, il Cardinale Mindszenty!
Ardente nella fede, fiero nei sentimenti, irremovibile in ciò che gli appariva dovere e diritto.
La Provvidenza lo pose a vivere, fra i protagonisti, uno dei periodi più difficili e più complessi della esistenza millenaria della Chiesa nel suo nobile Paese.
Fu e continuerà certamente ad essere, segno di contraddizione, come fu oggetto di venerazione e di attacchi violenti, di un trattamento che colpì di addolorato stupore la pubblica opinione e in particolare il mondo cattolico e che non risparmiò la sua sacra persona e la sua libertà.
La storia saprà dare … alla sua figura il posto che gli spetta.
A noi piace ricordare, nell'emozione dell'annuncio della sua scomparsa, quella che riempì il nostro animo nell'incontro che avemmo con lui, nel Settembre del 1971, quando egli raggiunse questa città eterna dopo 8 anni di carcere e 15 di non meno dura solitudine nella sede della rappresentanza diplomatica degli Stati Uniti a Budapest.
Il nostro abbraccio fu quello della Chiesa.
E la Chiesa prega ora con noi: per il riposo in Dio del suo spirito forte e tormentato; per l'Ungheria, a noi non meno che a lui diletta; per i benefici trionfi della fede e della giustizia, della pace nel mondo ».
La grande statura morale del Mindszenty si palesò fin dagli inizi del suo travagliatissimo ministero sacerdotale.
Egli si rese subito conto delle gravi necessità del suo paese, che risentiva ancora gli effetti dell'invasione turca di due secoli prima ed esplicò un'attività straordinaria, allargata continuamente, man mano che egli saliva di grado nella gerarchia ecclesiastica: vice parroco a Felsópaty, parroco a Zaiaegerszeg, vescovo di Veszprém, arcivescovo di Esztergom, primate d'Ungheria e Cardinale.
Riorganizzò la vita religiosa, creando 52 nuove parrocchie, intensificando la formazione del clero, promuovendo la stampa cattolica e fondando anche giornali nuovi ( Lalamegyei Uisag ).
Per combattere l'analfabetismo fondò 23 scuole.
Organizzò l'apostolato dei laici per mezzo dell'attività caritativa e dell'apostolato domestico, aprì ospizi, collaborò con l'autorità civile.
Si può dire che non vi fu un problema o un aspetto della vita religiosa e sociale del suo paese a cui non abbia posto mano, con vero spirito sacerdotale e grande amore alla sua nazione ungherese.
Soltanto della politica egli non volle mai occuparsi, benché nell'Austria-Ungheria di allora fossero molti i prelati che coprivano cariche politiche.
Una personalità così spiccata non poteva essere ignorata e non dar fastidio alle varie tirannie che afflissero il popolo ungherese in quel periodo, uno dei più tristi per la povera Ungheria: dapprima la così detta dittatura del proletariato sotto Bela Kun, poi il nazismo di Hitler e infine, peggiore di tutte, l'invasione sovietica di Stalin.
Difatti il Mindszenty fu imprigionato tre volte: la prima sotto Bela Kun, ma fu una cosa blanda e durò poco.
Alla caduta di Bela Kun poté riprendere l'esercizio del suo ministero, fino al 1944.
La seconda volta dai nazisti nel 1944 e la terza, la più terribile dai sovietici nel 1948.
Nel 1944 si delineava la disfatta dei tedeschi sul fronte russo e i vescovi ungheresi, dietro iniziativa di mons. Mindszenty, allora Vescovo di Veszprém, osarono chiedere al comando tedesco di ritirarsi dall'Ungheria senza far resistenza, per evitare all'Ungheria gli orrori di una inutile guerra.
Per tutta risposta il comando tedesco cacciò in prigione mons. Mindszenty, noto come il promotore della richiesta.
E questa fu la seconda prigionia, ma fu piuttosto un trionfo che una umiliazione.
Quando gli sgherri si presentarono in Vescovado tutti i chierici del seminario, che stavano all'erta con i loro professori, scesero nell'ingresso e presero il Vescovo in mezzo a loro, cosicché non fu possibile farlo salire in macchina e si dovette lasciare che procedesse a piedi fra il suo clero, solennemente paludato da Vescovo, fino alla centrale della polizia, lontana quasi due chilometri.
La gente accorreva esterefatta a vedere il corteo e invocava la benedizione del suo pastore, mentre il capo della polizia era estremamente imbarazzato.
Tutto il gruppo di sacerdoti entrò in prigione con il Vescovo e là, come nella oscurità delle catacombe, si pregò, si celebrarono le Messe e il Vescovo consacrò sacerdoti nove studenti di teologia.
Quale eroico sacerdozio affrontavano questi giovani!
I guardiani della prigione, con grande loro rischio, invece di semplici patate bollite, servirono ai carcerati dei buoni pranzi e fecero di tutto per aiutarli.
Erano in carcere parecchie personalità: il capo dello stato, ministri, giudici, ecc. i quali mandarono a dire al Vescovo di pregare per tutti gli ungheresi onesti.
Scrive il Mindszenty: « Nonostante la povertà e la miseria, il ricordo di quel Natale ( 1944 ) è uno dei più belli che conservo …
Sostammo inginocchiati e piangenti davanti all'altare, su cui erano presenti il corpo e il sangue di Cristo
Mai una messa di Natale mi aveva commosso tanto ».
Il ritiro dei tedeschi dall'Ungheria riportò alla libertà tutti i carcerati e anche l'Arcivescovo si ritrovò libero e poté riprendere la sua attività pastorale, in un paese pieno di rovine d'ogni genere.
In questo periodo egli fu promosso Arcivescovo di Esztergom, primate di Ungheria e poi Cardinale.
Durante il Concistoro del Febbraio 1946, Pio XII che molto lo amava, lo abbracciò esclamando in ungherese: "Viva l'Ungheria".
Poi nell'imporgli il berretto cardinalizio gli sussurrò con voce commossa: « Tu sarai il primo dei trentadue ( erano presenti 32 nuovi cardinali nominati nel Concistoro ) a sopportare il martirio simboleggiato da questo colore rosso ».
Nessuno si faceva illusioni: la persecuzione che aveva annientato tutto il clero della Russia stava per abbattersi sull'Europa centrale.
Il regime comunista ungherese guidato dai russi distruggeva ogni forma di libertà e conduceva una spietata lotta ideologica: scioglimento di tutti gli Ordini e Congregazioni religiose, epurazione e deportazione dei cittadini, abolizione di tutti i beni della Chiesa, abolizione della stampa cattolica, scardinamento delle famiglie, censura, abolizione della costituzione, ecc.
Alla mancanza di libertà si aggiunse fatalmente la carestia, i viveri furono razionati e si patì la fame.
Il 26 dicembre 1948 il card. Mindszenty venne arrestato sotto l'accusa di alto tradimento e tradotto nella peggiore delle carceri di Budapest, già famosa per le torture che ivi si praticavano.
Incominciava il più terribile calvario del cardinale, che doveva durare otto anni, fra torture indescrivibili.
Tutti i cristiani dovrebbero farsi un dovere di leggere le Memorie del card. Mindszenty perché non è ammissibile che ci si disinteressi dei fratelli perseguitati, tanto più quando si tratta di Vescovi e Cardinali, che nemmeno l'alta loro dignità ha fatto rispettare.
E non è ammissibile che si faccia silenzio su di un fenomeno così enorme come la persecuzione religiosa attuata nei paesi comunisti.
I fatti politici succeduti in Ungheria nel 1956 procurarono alcuni giorni di libertà al card. Mindszenty, che ne approfittò per rifugiarsi presso l'ambasciata americana a Budapest.
Là egli rimase confinato per ben 15 anni e soffrì anche di gravi malattie, dovute evidentemente alle torture patite, che lo misero in serio imbarazzo.
Intanto la diplomazia era in moto, il disagio causato dall'opinione pubblica aumentava e finalmente il 28 Settembre 1971 il card. Mindszenty poté lasciare l'ambasciata americana e partire per Roma.
Là egli ricevette le accoglienze più affettuose e più onorifiche da parte del Papa e di tutta la Chiesa, con mille dimostrazioni di stima e di ossequio.
Ma queste consolazioni durarono poco.
Il bene della Chiesa ungherese pareva esigere l'ultimo sacrificio del suo primate e il card. Mindszenty venne destituito dalla sua carica: questo fu il boccone più amaro per il Cardinale, che, tra l'altro, era convinto che un tale provvedimento, unico nella storia della Chiesa, non solo fosse un sacrificio inutile, ma dannoso per la Chiesa ungherese.
Egli non cedette alla tentazione di giustificarsi pubblicamente, accettò in spirito di fede questa nuova croce giuntagli da dove meno se lo sarebbe aspettato e si dedicò all'assistenza spirituale degli ungheresi dispersi per il mondo.
Il libro delle sue Memorie termina con queste elevatissime parole: « Nonostante tutte queste vicende non mi sento amareggiato, cerco anzi di continuare, sostenuto dalla benedizione di Nostro Signore, la missione di salvezza a favore delle anime degli ungheresi dispersi in tutto il mondo, con quello stesso spirito che mi aveva mosso a lavorare a Zaiaegerszeg, Veszprém, Esztergom e in tutto il territorio ungherese.
Come allora, cercare le anime, consolarle e aiutarle costituisce la mia occupazione quotidiana … ».
Ma la sua vita volgeva ormai al tramonto.
Le indicibili sofferenze glie l'avevano affrettato.
Egli si spense il 5 maggio 1975 a Mariazell, in Austria, alle porte della sua Ungheria, dove si era rifugiato e dove volle essere sepolto, quasi sentinella a guardia di quel suo popolo, che aveva tanto amato.
Egli riposa sotto lo sguardo della Madonna! perché a Mariazell c'è il famoso santuario mariano, in attesa dell'ultimo giorno quando « Iddio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e morte non ci sarà più, né lutto, né grida, né travaglio non ci sarà più: perché le cose di prima se ne Sono andate ( Ap 21,5 ).