Cataclismi

B290-A10

Riflessioni alla luce della fede - Vito Moccia -

I terremoti: castigo di Dio?

Il terrificante tsunami asiatico di alcuni mesi fa, cui peraltro sono seguiti altri terremoti, tra cui, di particolare violenza, quello in Iran, ci interpellano profondamente, per taluni versi angosciosamente, sul loro significato, sulla nostra debolezza, in definitiva sul senso della vita e sul nostro rapporto con Dio.

Alle riflessioni già riportate nelle nostre pubblicazioni, riteniamo opportuno farne seguire altre, tanto le tematiche sono gravi e impegnative, ma altresì liberanti alla luce della fede.

Valutazione sui cataclismi

Va subito osservato che i movimenti tellurici, atmosferici e planetari, in sé considerati, non sono un male, anzi sono la manifestazione della vitalità del nostro pianeta e degli altri corpi celesti.

La Terra, così come oggi ci appare, è la risultanza di millenari sommovimenti, dalle formidabili eruzioni vulcaniche alla pioggia dei meteoriti, dal sovvertimento delle acque e dei ghiacci alla deriva dei continenti.

Il mirabile è che in tutto ciò si articola e si sviluppa l'opera creatrice di Dio, che ha impresso un ordine, a chi lo sappia ben riguardare, in quelli che, isolatamente considerati, possono apparire come episodi frammentari, mentre in effetti sono i componenti di una immensa costruzione.

È l'impulso iniziale creativo di Dio che continua, secondo quelle finalità impresse nella materia, dal microcosmo al macrocosmo, ordine e finalità che costituiscono una delle prove dell'esistenza di Dio - la quinta via di S. Tommaso d'Aquino, tanto apprezzata da molti filosofi, tra cui Kant - dedotta dalla circostanza che le cose che non hanno cognizione, come i corpi naturali, operano verso un fine, che non può essere posto se non da un'intelligenza superiore.

Impatto sull'uomo

Il problema si pone, e in tutta la sua tragicità, considerando che tali eventi, quando hanno un impatto sull'uomo, possono comportare distruzione e morte.

Ma anche a questo riguardo non va sottaciuto che se tali fenomeni hanno concorso a realizzare quell'habitat ideale per la comparsa della vita e in definitiva dell'uomo - sempre secondo il piano e l'intendimento creativo divino - anche nei confronti della natura umana gli sconvolgimenti atmosferici e tellurici hanno pur sempre acquisito, per così dire, qualche merito.

L'inconveniente è che, continuando tali sconvolgimenti, l'uomo ne viene ad essere direttamente colpito, con la sua vita e le sue cose.

Conseguentemente, questa interferenza tra il decorso dei fenomeni naturali e il procedere della vita umana è una carenza intrinseca al creato, o è la conseguenza di qualche elemento inseritosi successivamente nel processo evolutivo, il che significa in definitiva nel piano di Dio?

Non può sfuggire la gravità di tale domanda, che è poi quella che in pratica si pone ogni uomo, in un modo o in un altro, quando non sappia cogliere come componente essenziale per ogni indagine e riflessione, nonché per ogni moto del cuore, il gioioso annuncio di Gesù che Dio è Padre.

Ma prima di tentare una risposta, occorre ancora considerare che la nostra umanità, in quanto ha di corporeo, è soggetta alle stesse leggi di trasformazione - inizio, crescita, perfezione, deterioramento e distruzione - proprie della natura materiale.

Quindi la circostanza di essere mutilato o di morire per un cataclisma, anziché per una malattia o per invecchiamento, non costituisce per l'uomo, sul piano strettamente naturale, una circostanza anomala.

Diverso è il discorso dal punto di vista psicologico, essendovi radicale differenza tra il morire nel proprio letto, carico d'anni e circondato dall'affetto dei parenti, che soccombere traumatizzato in un crollo tellurico, tra i gemiti di altre vittime.

La conclusione allora sarebbe che, sottostando l'uomo alle limitazioni e alla morte, rientrerebbe nella sua natura anche il sottostare alle vicissitudini naturali, per traumatiche che siano?

Se non ci fossero altre considerazioni da aggiungere, sarebbe difficile replicare alla gelida affermazione del Leopardi, contenuta in quel pur sublime canto, sotto l'aspetto poetico, che è "La ginestra":

Non ha natura al seme
Dell'uom più stima o cura
Che alla formica: e se più rara in quello
Che nell'altra è la strage,
Non avvien ciò d'altronde
Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde.

Iddio ha creato per la vita, non per la morte, che è conseguenza del peccato.

Questo è il consolante annuncio che ci viene dalla Rivelazione: "Dio ha creato l'uomo perché fosse immortale, e lo ha fatto a immagine del suo essere divino.

Solo per l'invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo, e quelli che stanno dalla sua parte ne fanno l'esperienza". ( Sap 2,23-24 ).

Nel piano originario di Dio l'uomo è stato costituito in una tale amicizia con il suo Creatore da implicare altresì, tra i vari doni conseguenti, una perfetta armonia con il creato, con salvaguardia pertanto da quei fenomeni che oggi - a ragione - chiamiamo calamità naturali.

Con il peccato tale armonia è stata spezzata: la creazione visibile è diventata aliena e ostile all'uomo ( Catech. Ch. Catt. n. 400 ), è stata "sottomessa alla caducità" ( Rm 8,20 ) e la morte è entrata nella storia dell'umanità ( Rm 5,12 ).

I desolanti effetti dello tsunami e degli altri cataclismi si innestano pertanto nei rapporti di interferenza e di assoggettamento dell'uomo agli effetti naturali, una volta venuta meno l'armonia originaria voluta dal Creatore.

Ma sappiamo che Dio, che è Padre, non ha abbandonato le sue creature: se il dissennato impiego del dono della libertà da parte dell'uomo ha introdotto il peccato, e con esso la morte, nella nostra storia, Iddio ha voluto condividere tale condizione inviandoci Gesù, il suo Figlio fatto uomo, che si è sottomesso alla caducità della natura ed alla stessa morte.

Ma per il piano redentivo, Gesù, sottostando alla morte, ha vinto la morte.

E il discepolo di Cristo, incorporandosi in Lui, oltre al pegno per la vita eterna al di là della morte, trova nel Salvatore il sostegno per superare ogni prova, poiché nell' "amore che Dio ci ha rivelato in Cristo Gesù" va posta ogni nostra aspirazione, amore che "né forze del cielo, né forze della terra ci potranno strappare". ( Rm 8,39 ).

Vittoria sulla morte e sui pericoli

Pertanto, pur vivendo in una "valle di lacrime", come siamo soliti ripetere quando recitiamo la Salve Regina ( quindi in una condizione che non ci preserva dalle calamità ), sappiamo che, se siamo uniti a Cristo, nulla può separarci dal suo amore, né conseguentemente dalla beatitudine in esso riposta, come afferma l'Apostolo Paolo: "Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà forse il dolore o l'angoscia?" I pericoli o la morte violenta?"( Rm 8,35 ).

Riprendendo le domande iniziali di questo scritto, cioè se i cataclismi siano o no castigo di Dio, possiamo affermare, alla luce della Rivelazione, che nella situazione di disordine si è posta l'umanità stessa con il suo peccato, respingendo l'offerta iniziale di un'amicizia con il Creatore.

Ma pur nell'attuale condizione, Dio trae sempre il bene dal male.

Stabilire una diretta e reciproca connessione tra le colpe attuali degli uomini e le disgrazie ai loro responsabili non sembra pacifico, almeno così mi pare, tenendo presenti le risposte date da Gesù in circostanze analoghe, ad esempio con riguardo alle diciotto vittime della torre di Siloe, non ritenute da Lui più colpevoli di tutti gli altri abitanti di Gerusalemme.

Viceversa un diretto rapporto tra il peccato e la disgrazia, rapporto incombente sull'uomo ma su un piano più generale, sembrerebbe dichiarato: "Se non cambierete vita, finirete tutti allo stesso modo" ( Lc 13,1-5 ).

Nello stesso episodio del paralitico di Betzata, raccontato da Giovanni, l'ammonizione di Gesù: "Guarda, ora sei guarito; non peccare più perché non t'accada qualcosa di peggio" ( Gv 5,14 ), sembra debba riferirsi, almeno secondo l'interpretazione di Garofalo, più all'impegno del miracolato "a una volontà di conversione e di virtù", che non a stabilire che "la malattia sia conseguenza di un peccato dell'infermo".

Ad ogni modo, nei limiti richiesti dal presente articolo ( che non consente ulteriore approfondimento ), ci pare sufficiente dichiarare come, nel piano misericordioso di Dio, non si può affermare che il rigetto da parte dell'uomo dell'amicizia originaria con il Creatore abbia comportato necessariamente la comminazione di sventure in relazione alle proprie colpe.

In ogni caso, come detto sopra, l'uomo incorporato in Cristo sa trarre da questa unione non solo motivo di elevarsi a Dio da ogni avvenimento, ma anche il conforto nel dolore.

Analogamente possiamo affermare che la preghiera, espressione dell'intimità della creatura con Dio, ha certamente tra le sue finalità anche quella di salvaguardarci dalle sventure ( a parte i numerosi passi scritturali, in particolare del Vangelo, ricordiamo le materne invocazioni della Chiesa in vari testi liturgici per la preservazione dalle calamità ), senza però per questo stabilire una diretta connessione come da causa ad effetto.

La piena connessione, come ben sappiamo, si pone nell'invocare dal Padre lo Spirito per mezzo di Gesù, ed è questa la preghiera sicuramente esaudita da Dio, se formulata con fede e con cuore sincero, perché direttamente mirante a inserire il fedele che invoca, nel Regno instaurato da Gesù con la sua morte e resurrezione.

Ma è appunto nella misura in cui le suppliche per la protezione dalle calamità e da ogni male hanno riguardo al Regno, che Iddio nella sua misericordia le può esaudire.

La tenerezza del Padre è senza limiti, e quante sono le circostanze in cui non solo esaudisce, ma previene, come ricorda Dante con riguardo all'intercessione della Vergine Maria: La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate liberamente al dimandar precorre. ( Par. 33, 16-18 )

E come non ricordare a questo riguardo, attingendo dal ricco florilegio dei nostri Fondatori, i due episodi della pioggia, che hanno del prodigioso?

In un caso essa è invocata, e ottenuta, a Viale d'Asti, nella siccità del 1895, dal popolo sollecitato a pregare da Leopoldo Musso, allora ancora laico, nell'altro caso è scongiurata durante un pellegrinaggio dei giovani catechisti al santuario di S. Pancrazio a Pianezza, nei dintorni di Torino, nel corso del Rosario recitato da fr. Teodoreto e dai suoi figli spirituali.

È certamente autentica missione catechistica sapere scorgere, e annunziarlo agli altri, anche nelle calamità un appello alla conversione, all'abbandono e alla fiducia filiale in Dio, il cui Figlio unigenito non ha ritenuto per Sé di essere esentato dalla più lancinante sventura, umanamente parlando, quella di essere respinto, torturato, vilipeso ed ucciso da coloro che era venuto a salvare.

La sua resurrezione ha sancito in questo suo eroismo d'amore la nostra salvezza.