40. Melbourne ( Australia ) dal 18 al 25 febbraio 1973
Organizzato da: S.E. Mons. James RObert Knox, Arcivescovo di Melbourne.
Presidente: Legato Pontificio Cardinale Lawrence Joseph Shehan.
Segretari generali: P. Brian Walsh e P. Kevin M. Toomey.
Un Congresso di popolo Il 25 febbraio, al termine del 40° Congresso Eucaristico internazionale di Melbourne ( 18-25 febbraio ), a quanti partecipavano alla celebrazione finale, provenienti da ogni continente, il Santo Padre lesse ai microfoni della Radio Vaticana un breve messaggio.
Il Papa, rifacendosi al tema del Congresso diceva: « Se gli uomini avessero veramente come modello del loro amore reciproco l'amore di Cristo, quale è loro mostrato nell'Eucaristia, dove ci sarebbe spazio per l'odio?
Dove potrebbero esistere la violenza e l'ingiustizia sociale?
Come potrebbe l'indegnità, la discriminazione e la mancanza di rispetto essere parte della vita degli uomini?
Il modello è chiaro abbastanza: Gesù ci ha amato e continua ad amarci con un amore semplice che non conosce confini e non pone limiti.
« Noi speriamo seriamente che il Congresso Eucaristico abbia bene insegnato questa lezione d'amore.
Noi speriamo che uomini e donne del mondo intero abbiano visto e sentito l'appello del Congresso, e che essi lo metteranno in pratica nella loro vita, giacché questo appello porta dentro di sé la chiave della pace.
Noi abbiamo detto che la pace è possibile.
La pace è possibile perché l'amore è possibile; e sappiamo che l'amore, è possibile poiché abbiamo avuto un esempio dal Signore Eucaristico ».
Accuratamente preparato da un paio d'anni di lavoro, il Congresso si svolse in maniera davvero soddisfacente.
Fin dagli inizi le linee guida del Congresso furono chiaramente definite:
nessuna ostentazione,
una forte dimensione ecumenica,
una sottolineatura del legame tra fede e vita,
la promozione della pace e della giustizia sociale nel mondo.
Paolo VI condensò tutte queste scelte nel tema congressuale: « Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato ».
Anche le grandi riunioni di fedeli, che pure non mancarono, si svolsero senza inutili sfarzi, all'insegna della semplicità, e sottolineando come l'Eucaristia, unendo i singoli fedeli a Cristo, deve necessariamente portare all'unione vicendevole e ad un'autentica testimonianza di fede e di solidarietà.
« Per tal motivo – aveva dichiarato l'arcivescovo di Melbourne – cercheremo di tradurre lo stimolo del "comandamento nuovo" nella vita degli individui e delle nazioni.
Le giornate del Congresso, ognuna col suo tema specifico, dovranno individuare le aree di maggior bisogno nel mondo, e indicare come tutti noi possiamo aiutare i nostri fratelli in Cristo ».
Seguendo questi criteri, le giornate congressuali, più che caratterizzarsi come manifestazioni di massa, videro un'intensa attività di gruppi di studio, seminari, tavole rotonde sui temi specifici assegnati alle singole giornate, con una particolare attenzione ai più poveri, ai più bisognosi, agli emarginati.
Inoltre, giorno dopo giorno, oltre alle liturgie comuni che richiamarono grandi folle, decine e decine di eventi congressuali si celebrarono in tutte le chiese della città, per le diverse nazionalità, per i numerosi movimenti ecclesiali, per categorie sociali …
Uno straniero giunto a Melbourne in quei giorni senza sapere cosa succedesse, avrebbe trovato una città capace di gesti di amicizia e di gioia, ciò che normalmente non ci si aspetta di trovare in una metropoli moderna.
Passando a qualche nota di cronaca, sabato 17 febbraio giunse a Melbourne il cardinale Lawrence Joseph Shehan, arcivescovo di Baltimora ( USA ), inviato da Paolo VI come suo Legato, accolto con tutti gli onori dalle autorità australiane.
In quegli stessi giorni giungevano in città i pellegrini per il Congresso.
Per la seconda volta nella sua storia, Melbourne attraeva una larga massa di visitatori provenienti da ogni parte del mondo.
La prima volta era stato per i giochi olimpici del 1956; ora la città ospitava quelle che i giornali non esitarono a ribattezzare "Olimpiadi spirituali".
La cerimonia inaugurale del Congresso si tenne nel pomeriggio di domenica 18 febbraio nella cattedrale di San Patrick con una felice combinazione di semplicità cerimoniale di splendore: la prima richiesta dallo spirito della liturgia rinnovata, il secondo dalla presenza di un gran numero di dignitari civili ed ecclesiastici.
Insieme al Cardinale L. Shehan, arcivescovo di Baltimore, a molte autorità ed a circa 150 mila pellegrini, a venti cardinali, a un centinaio di vescovi, c'era una folta la rappresentanza ecumenica con l'arcivescovo anglicano della città, esponenti greco-ortodossi, presbiteriani, copti, luterani ecc.
Fortunatamente, le migliaia e migliaia di pellegrini che non poterono entrare in cattedrale, poterono seguire la cerimonia teletrasmessa dalla televisione australiana.
In mattinata, in diverse parti della città, c'erano state celebrazioni eucaristiche per 24 gruppi etnici: la più massiccia fu quella della comunità di immigrati italiani, con l'intervento di oltre quindicimila italiani.
In quella domenica, del Congresso e del suo significato si occupò anche il Santo Padre, nella breve allocuzione prima della recita dell'Angelus in Piazza San Pietro a Roma: « Oggi si apre a Melbourne, in Australia, il Congresso Eucaristico Internazionale.
Noi pure, quanti siamo cattolici, anzi quanti siamo uomini aspiranti all'unità e alla pace del mondo, dobbiamo essere spiritualmente presenti …
Il Congresso ci è motivo di stupore, di gioia e di speranza … la coscienza universale dell'uomo risplende di già nell'incontro fraterno di pellegrini provenienti da ogni angolo della terra in quella stupenda e remota città, posta ai suoi estremi confini, e aperta oggi ad una ospitalità ecumenica.
Il segreto di questo fenomeno, al tempo stesso nascosto e palese, è nel mistero eucaristico,
mistero di presenza reale unica e moltiplicata per la nostra fame di vita;
mistero di sacrificio, che rispecchia identicamente quello della croce, cioè della redenzione, operata da Cristo nel dolore e nell'amore per la salvezza del mondo ».
Il secondo giorno ( 19 febbraio ) fu dedicato a « La celebrazione della vita », come dono di Dio a cui l'uomo deve corrispondere.
Si parlò del problema demografico e dell'ecologia, del dovere dei cattolici di intervenire in maniera positiva, delle soluzioni antiumane che molti vorrebbero adottare illudendosi di risolvere così i problemi della popolazione e della fame, mentre s'impone una positiva azione di rispetto alla vita, di amore fattivo ai propri simili.
Speciale attenzione venne dedicata ai delitti contro la vita; nella conferenza alle infermiere cristiane fu affrontato il tema dell'aborto, denunziando i gravi abusi che già si verificano, per esempio, a Londra, trasformata, da una legislazione liberalizzatrice, nella capitale mondiale dell'aborto e la pericolosa diffusione della piaga dell'eutanasia.
La terza giornata ( 20 febbraio ) vide polarizzata l'attenzione sui migranti, all'insegna del tema « L'amore personale di Cristo », in spirito di solidarietà verso lo straniero e vedendo Cristo nel prossimo.
La manifestazione più imponente fu la « messa del migrante » che, nella notte raccolse nel Melbourne Cricket Ground, il più grande stadio d'Australia, migliaia di cittadini e di pellegrini d'ogni provenienza.
Continuavano intanto i convegni e gli incontri di studio sui temi della famiglia, dell'uguaglianza delle razze, delle iniziative per lo sviluppo, ecc.
« La compassione di Cristo » ispirò la quarta giornata del Congresso ( 21 febbraio ), richiamando i fedeli alla sollecitudine di far si che tutti gli uomini conoscano Cristo e vivano nella sua pace.
In mattinata, nella cattedrale di St. Patrick, furono ordinati tre nuovi vescovi ausiliari di Melbourne.
La giornata di giovedì 22 febbraio, che ruotava intorno al tema « Uniti in Cristo », fu contrassegnata dalla solenne liturgia ecumenica, preparata da un comitato interconfessionale e preceduta, la sera prima, da celebrazioni comuni nelle diverse parrocchie.
Alla celebrazione principale presero la parola il cardinale Willebrands e il dott. L. Vischer, del Consiglio Mondiale delle Chiese.
E bisogna qui ricordare la grande partecipazione dei cristiani non cattolici alla preparazione, alle cerimonie, alle diverse manifestazioni culturali e religiose svoltesi durante il Congresso.
Inoltre, l'« anno del rinnovamento spirituale » era stato aperto nel 1972 dal dotto E. Carson Blake, allora Segretario del Consiglio Mondiale delle Chiese, che fu cosi il primo pastore protestante a predicare nella cattedrale cattolica di Melbourne.
Sempre in data odierna venne celebrata in cattedrale una giornata di spiritualità per il clero, e furono inaugurati un seminario e un collegio cattolico.
La quinta giornata ( venerdì 23 febbraio ) fu consacrata specialmente alla gioventù: la messa del fanciullo, - ne erano presenti oltre centodiecimila, nel grande stadio - venne concelebrata dal legato pontificio, dall'arcivescovo della città e da altri vescovi del Terzo Mondo, con canti appropriati e con la novità dell'inserimento di due impeccabili coreografie liturgiche.
A sera, nel Myer Music Bowl, si ebbe la messa dei giovani, preceduta da letture bibliche e da una liturgia penitenziale.
La messa fu celebrata su un altare formato da venti grosse scatole contenenti le loro offerte per i poveri, per significare che l'Eucaristia è come il completamento di tanti atti di amore.
Quella giornata, ispirata a « La sofferenza di Cristo », si rivolgeva anche ai malati, agli anziani, agli emarginati, per i quali si tenne una celebrazione eucaristica speciale al Royal Melbourne Showgrounds.
Sabato, 24 febbraio, fu la giornata de « La Madre di Cristo », modello di fedeltà e obbedienza.
Mentre le giornate di studio si avviavano alla conclusione, i religiosi e le religiose celebrarono i loro incontri eucaristici di rinnovamento; altrettanto fecero altri gruppi linguistici, gli scouts, le guide, ecc.
Caratteristica del giorno fu la messa per gli aborigeni, con una liturgia tutta improntata ai ritmi, ai segni, ai costumi, alle coreografie, alla lingua di queste popolazioni, e frutto di un approfondito studio antropologico.
Alla messa parteciparono 30 nativi australiani che con canti e danze parteciparono attivamente alla liturgia celebrata dal Legato Pontificio su un altare decorato con simboli aborigeni.
La serata, invece, si chiuse con una solenne liturgia in rito bizantino.
L'ultima giornata vide di nuovo riuniti nel Melbourne Cricket Ground circa 150 mila fedeli per la statio orbis finale, con la messa concelebrata da tutti i cardinali presenti al Congresso.
Padre Joseph Jungmann, il famoso liturgista gesuita che concepì l'idea della statio orbis come punto focale dei Congressi Eucaristici in occasione del Congresso di Monaco del 1960, spiegò il significato di questa celebrazione in un articolo scritto per la stampa cattolica australiana.
Scrisse: « Non sarà solo una celebrazione di questa città e di questo continente, ma una festa dell'intera Chiesa cattolica.
I rappresentanti di ogni nazione e di ogni regione non sono solo ospiti di un grande e generoso Paese, ma sono qui convenuti per celebrare insieme con i fedeli australiani la loro festa che è la festa dell'unità cattolica …
È proprio la celebrazione comunitaria dell'Eucaristia che stabilisce il centro e il culmine del Congresso; e questa celebrazione dell'Eucaristia non è presieduta solo da un prete o da un vescovo ma da un Legato pontificio …
Come le "stationes" romane sono presiedute dal Papa, così anche nei Congressi Eucaristici Internazionali Cristo, sommo sacerdote, è presente tra i credenti non soltanto nella sua presenza eucaristica, ma anche come supremo pastore che raduna il suo popolo ».
Del messaggio pontificio è stato riferito più sopra.
Nella sua omelia il legato pontificio, tessendo un bilancio, poteva affermare che « come dimostrazione dell'amore cristiano questo Congresso è stato un successo straordinario ».
A partire da esso, continuò, si accendono nuove luci di speranza.
Anzitutto per l'arcidiocesi di Melbourne, per la quale può dirsi cominciata un'epoca nuova da cui è impossibile tornare indietro; poi per la Chiesa universale che, in questo periodo di crescente oscurità spirituale, di confusione e di dubbio, potrà guardare a questo Congresso come ad una svolta in cui i suoi figli hanno riscoperto la fede nell'Eucaristia e l'amore per essa come soluzione soprannaturale dei loro più fondamentali problemi religiosi, come luce che dissipa il timore e la confusione, come legame di salvezza che sana le loro divisioni.
Speranza, infine, per il mondo che, dopo i fallimenti di tante promesse umane, può meglio rendersi conto che la vera pace la si ritrova soltanto in Cristo.
In conclusione, si può affermare che il Congresso fu davvero un « congresso di popolo », con la partecipazione non solo formale, ma viva e convinta da parte di tutti, anche dei fratelli non cattolici.