Convegno ecclesiale di Verona |
Moderatore: Carlo Cirotto, professore ordinario di citologia e istologia all'Università degli studi di Perugia
Segretario: Simone D'Agostino, professore incaricato associato di metafìsica e semiotica alla Pontificia Università Gregoriana, Roma
17-18 ottobre 2006
In generale le fragilità richiedono tre azioni: ascoltare, curare, trasformare.
Vediamole nel dettaglio.
Le fragilità non sono spontaneamente percepite e riconosciute.
Occorre anzitutto mettersi in ascolto di esse, chiamarle per nome, intercettarle nei luoghi dove si rendono presenti o a volte restano nascoste: alcune infatti sono ben note e di immediata presenza, altre invece restano ignote, nonostante i nostri sforzi di identificarle.
Si va dalle fragilità materiali, spesso le più semplici da incontrare, alle psicologiche e culturali - che si acquisiscono nel corso della vita - alle fragilità spirituali - quelle delle comunità ecclesiali, della pastorale - e vocazionali - quelle del ministero ordinato, della vita consacrata, del matrimonio - alle fragilità morali e relazionali che nascono nel contesto di « vita frammentata » che circonda ognuno di noi.
Intese come limiti e soprattutto come privazioni, le fragilità ci muovono alla loro cura, promozione, educazione, capaci di mettere in moto un primo processo di conversione del negativo in positivo.
È qui che avviene l'incontro tra le fragilità, un incontro nel quale chi ospita si sperimenta ospitato, chi aiuta si sente aiutato.
Questa esperienza di reciprocità scambievole, di economia d'incontro, mette in discussione il modello sociale e individuale della delega della cura delle fragilità a specialisti ed esperti di settore.
Le fragilità costituiscono a tutti gli effetti un terreno condiviso, un denominatore comune che tocca tutti, lungo tutta la vita.
Tale substrato permette di instaurare relazioni anche tra coloro che appartengono a tipologie e ambiti diversi.
Tale universalità della fragilità non va a scapito della singolarità della persona: proprio le fragilità sono ciò che massimamente identifica il singolo, che gli da un nome, un volto che riconosce ed è riconosciuto, una compagnia e un rapporto amoroso.
La fragilità assume finalmente i connotati di un dono, di un'opportunità, spesso anche di una sfida, capaci di « trasformare le ferite in feritoie »: lacerazioni dolorose in varchi di amore e di grazia.
Le fragilità, per quella loro peculiare natura trasversale chiaramente emersa nelle considerazioni generali, esigono da noi un atteggiamento, uno stile, un modo di procedere attento al comunicare, al far comunione, al « mettere in rete ».
Le fragilità così intersecano tutti gli ambiti ( vita affettiva, lavoro e festa, tradizione, cittadinanza ) e ci spingono a stabilire contatti e relazioni tra essi.
La comunicazione non si accontenta di constatare dati di fatto, ma spinge ad approfondire, a « render ragione » delle cause, dei perché delle fragilità.
Comunicare mette in atto l'economia di incontro delle fragilità, in quanto comporta sempre una trasformazione sia in colui che riceve che in colui che dà.
Comunicare apre verso gli altri e non esclude persino la denuncia pubblica ( usura, mafia, tratta ).
Non può dirsi che una società si prenda carico pienamente delle fragilità fintanto che ne delega a un proprio specifico settore l'intervento necessario.
Ecco perché è la comunità in quanto soggetto a dover ascoltare e curare le fragilità: comunità locale, ecclesiale, civile.
La comunità si definisce anzitutto per la sua capacità di comunicare al proprio interno; da ciò infatti sono determinate le sue caratteristiche intrinseche.
Solo sulla base di tale comunicazione interna, poi, è possibile attuare un'adeguata comunicazione verso l'esterno.
Il comunicare le fragilità all'interno della comunità si configura spesso come un collegare in rete nodi già esistenti e operanti: nodi nei quali le diverse fragilità di fatto già convergono ( scuola, oratorio, Caritas ) sebbene isolatamente.
Anche nell'orizzonte più vasto della società civile italiana, il nord e il sud, attualmente separati, possono essere utilmente collegati mediante le loro stesse fragilità.
Mettere in rete fragilità diverse, infatti, non le somma ma le compensa.
In Italia, eclatante esempio di voluto isolamento è la mafia, il cui aumento di violenza è sintomo dell'aumento della sua fragilità.
Tra le proposte di azione pastorale capaci di incarnare concretamente l'esigenza di comunicazione, comunità e messa in rete delle fragilità, ne cogliamo in particolar modo tre: cammini di perdono, integrazione e fragilità, segni visibili.
La Chiesa, come Maria a Cana, si accorge con sollecitudine dei bisogni dei suoi figli e li accoglie maternamente.
Il suo atteggiamento verso le loro fragilità non può essere, quindi, che l'avviare cammini di perdono: nei confronti della malavita organizzata, che dietro la sua dura maschera di onorabilità nasconde abissi di fragilità; nei confronti dei suoi figli, che pagano i propri errori in carcere; nei confronti dei divorziati risposati, che aspirano a essere riammessi nella comunità.
Cammini differenziati secondo le esigenze dei singoli casi e che richiedono perciò di essere accompagnati dal discernimento dei pastori.
La pastorale integrata trova proprio nelle fragilità una ragione profonda del suo essere.
Le fragilità, infatti, fanno emergere dalla natura profonda della persona la necessità di essere integrate con il tutto della vita affettiva e relazionale.
In tal modo si coglie come la pastorale integrata non sia tanto una qualche strategia pastorale, quanto piuttosto la risposta a un'esigenza radicale dell'uomo.
Una vera pastorale integrata non può perciò non mettere gli ultimi al primo posto e manifestare apertamente la propria opzione preferenziale per i poveri.
Si coglie anche il bisogno di allargare la pastorale in modo che ci sia in ogni Diocesi un contatto tra le associazioni: ritessendo le reti già esistenti o creandone delle nuove laddove manchino, soprattutto in ragione della frammentazione del contesto in cui viviamo e operiamo.
Di questa preferenza è necessario che siano posti segni visibili, strutturati e unitari che manifestino la sollecitudine verso la fragilità, non solo nella Chiesa, intesa come spazio ecclesiale, ma anche e soprattutto da parte della Chiesa, ovvero con quello stile e modo di procedere che le è proprio.
Tra i segni visibili della compassione della Chiesa per i suoi figli andrebbero valorizzati anzitutto quelli sacramentali: della penitenza e riconciliazione, nonché dell'unzione degli infermi, sempre tenendo presente che è l'Eucaristia il luogo sacramentale in cui il credente sperimenta anzitutto il perdono e la comunione.
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