Convegno ecclesiale di Verona |
Moderatore: Ruggero Eugeni, professore straordinario di semiotica dei media all'Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
Segretario: don Ugo Dovere, professore di storia della Chiesa all'Università degli studi « Suor Orsola Benincasa », Napoli
17-18 ottobre 2006
Il termine « tradizione » è dotato di dimensioni differenti, che tuttavia devono essere pensate congiuntamente.
La tradizione è insieme oggetto e processo, deposito ed esperienza: i suoi contenuti non sono indipendenti dai processi che li trasmettono.
Essa è patrimonio della Chiesa ma anche dinamica propria di ogni cultura: implica un processo di dialogo e di inculturazione della fede.
La tradizione appartiene al singolo ma anche alle comunità: innesca una relazione vitale tra i soggetti e le loro comunità di appartenenza, e valorizza l'operato di ogni cristiano.
Infine la tradizione indica passaggio ma anche costituzione di identità: il trasmettere presuppone e genera un raccontarsi.
Sullo sfondo di queste considerazioni le riflessioni sulla tradizione si sono orientale in due aree: l'edificazione della comunità cristiana e l'annuncio del Vangelo.
È stata comunque sottolineata l'assoluta continuità tra le due aree.
Per ciascuna area sono affiorati due nuclei tematici.
Un primo nucleo tematico riguarda ; luoghi, le occasioni, i meccanismi della trasmissione della memoria individuale e collettiva.
A partire da una crisi della storia e della memoria tipica del nostro tempo, appare urgente restaurare luoghi di trasmissione della memoria: la memoria culturale in senso ampio, ma anche quella delle comunità e dei singoli.
Se la famiglia è il primo luogo di confronto tra generazioni e di racconto di storie ( comprese le storie di esperienza della fede ), la comunità ecclesiale può porsi come luogo ulteriore a tre livelli.
Il primo livello è dato da occasioni di racconto e testimonianza delle singole esperienze, nell'incontro tra giovani e anziani.
Il secondo livello è dato da un recupero della memoria collettiva delle Chiese locali.
Il terzo livello è dato dalla valorizzazione di alcune forme « tradizionali » della religiosità popolare: feste, forme di pietà, pellegrinaggi che ricordano storie collettive.
Forme devozionali e appuntamenti liturgici di cui talvolta si è perduto il senso e che vanno rivitalizzate ( ciò che può implicare una riconversione dei fedeli ).
In tutte queste occasioni le Chiese devono imparare a raccontarsi.
Un secondo nucleo tematico riguarda il ruolo del laicato all'intemo della comunità e la sua formazione.
C'è l'esigenza di comunità adulte diffuse, di identità cristiane solide ma non elitarie.
Questo essere adulti allude a un essere « vertebrati », a una capacità di autosostenersi del fedele laico che lo rende al limite disponibile a migrazioni e spostamenti; ma al tempo stesso dice di individui non isolati, ma collegati a una comunità sintonica: è la comunità che sostiene l'opera di traditio del singolo.
Emergono due punti chiave.
Il primo è quello del confronto fra tradizioni differenti all'interno delle comunità, e dunque del dialogo sereno e aperto tra carismi, movimenti, gruppi differenti.
Il secondo punto riguarda la formazione dei giovani e degli adulti.
Formazione differenziata e continua che tenga però conto di alcuni punti « critici »: in particolare la preparazione all'iniziazione cristiana e il momento del matrimonio e della maternità/paternità.
È stato sottolineato a più riprese che tanto il dialogo all'interno delle comunità quanto i processi formativi continui non possono che radicarsi nella liturgia e nella lettura meditata della Parola.
Un'attenzione formativa particolare è stata richiesta per gli stranieri cattolici che chiedono di essere inseriti a pieno titolo nelle attività delle parrocchie.
Infine la nuova attenzione formativa dei laici deve sintonizzarsi con un rinnovamento della formazione dei presbiteri nei seminari.
Un primo nucleo tematico, riguarda la rilevanza dello strumento del dialogo e di un particolare stile relazionale nell'annuncio.
Il dialogo è strumento indispensabile sia all'interno delle comunità ecclesiali, sia tra queste e le altre religioni, sia tra queste e il mondo.
Dialogo non solo come strumento di testimonianza, ma come luogo di ricerca e rafforzamento della propria identità, incontro con l'altro e scoperta di sé.
Il dialogo implica un particolare stile di relazione che dovrebbe improntare sia il comportamento dei singoli che quello delle comunità.
I tratti dominanti di questo stile sono verità, schiettezza, perdono, capacità di mettersi in discussione, pazienza e accoglienza.
Lo stile della relazione, i suoi aspetti non verbali che toccano direttamente l'affettività e la sensibilità dell'altro sono un primo indispensabile strumento di annuncio; strumento particolarmente importante in un contesto culturale quale il nostro, che valorizza le qualità sensibili dell'esperienza.
Accoglienza, creatività e collaborazione comune sono i tratti attesi anche per le comunità nel loro insieme.
Un secondo nucleo tematico riguarda ; linguaggi dell'annuncio, l'elaborazione culturale e la relativa formazione.
I linguaggi non sono separabili dagli insiemi culturali complessi di cui fanno parte: l'annuncio deve continuamente essere ridetto non solo con parole nuove, ma all'interno di nuovi insiemi complessi di saperi, valori, rappresentazioni e forme di esperienza.
Ritorna il ruolo fondamentale dei laici, che vivono nel mondo e sono immersi nella cultura del mondo.
L'indispensabile lavoro di discernimento deve partire da un atteggiamento sereno e ottimistico, che sappia leggere e operare la traditio fidei all'interno del più ampio dinamismo di trasmissione, riproduzione e trasformazione della cultura contemporanea.
Su questa base si potrà operare un annuncio progressivo e differenziato ma non edulcorato ( annuncio del Cristo crocifisso prima che risorto ) che conduca a una indispensabile esperienza personale di preghiera e ascolto della Parola.
Particolarmente urgente appare in questo senso un rilancio della pastorale giovanile, anche all'interno delle scuole.
Un compito delicato è quello della formazione dei formatori ( professori, catechisti ecc. ), cui spesso mancano gli strumenti culturali per attuare un annuncio efficace.
Sulla base delle considerazioni del paragrafo 2 sono emerse alcune proposte pastorali che si connettono per vari aspetti agli altri ambiti:
a) studiare forme di coinvolgimento degli anziani nella vita delle comunità, sia per affidare loro intenzioni di preghiera elaborate dalla comunità, sia per impegnarli in incontri di trasmissione di memoria con i giovani ( —> cittadinanza ),
b) recuperare e rivitalizzare forme di pietà tradizionali, soprattutto se legate a episodi di storia locale ( —> lavoro e festa );
c) valorizzare il patrimonio dei beni culturali locali ( abbazie, pievi, archivi, musei diocesani ecc. ) come tracce della storia della comunità ( —> cittadinanza );
d) costruire occasioni di dialogo e di confronto tra movimenti, gruppi, cristiani comuni;
e) costruire solidi percorsi di formazione per i giovani e i giovani adulti che, come una sorta di catecumenato, accompagnino e marchino alcuni momenti chiave dell'esistenza: l'iniziazione cristiana, il matrimonio e la genitorialità, l'inserimento di cristiani non autoctoni ( ---> fragilità );
f) dedicare una particolare attenzione formativa alle tecniche del dialogo e agli aspetti della comunicazione non verbale e dell'affettività che reggono e qualificano le relazioni interpersonali ( —> vita affettiva );
g) costruire occasioni di elaborazione culturale diffuse e vicine ai problemi, alle esperienze e alla sensibilità delle comunità concrete.
La nuova fase del progetto culturale deve prevedere la concentrazione su alcuni temi chiave e la diffusione capillare di un metodo che permetta una elaborazione culturale da parte delle comunità ( e non una pura ricezione di temi e riflessioni già elaborate ), una « appropriazione del senso » rispetto al panorama spesso confuso del presente ( —> cittadinanza ).
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