Convegno ecclesiale di Verona

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Ambito 1: vita affettiva

Sintesi dei lavori nei gruppi di studio, a cura della prof.ssa Raffaella lafrate

20 ottobre 2006

1.1 tempi in cui viviamo sono quelli che Dio ci ha donato e in quanto dono di Dio vanno vissuti nella dimensione della speranza.

La speranza da testimoniare è il Vangelo dell'amore.

L'enciclica di Benedetto XVI Deus caritas est ci dice che l'amore umano si fonda sull'Amore che per primo ci è stato donato.

Da questo punto di vista è importante rendere visibile la dimensione teologale della vita affettiva fondata sull'amore-carità.

È questo fascino del divino che traspare dall'amore umano ciò di cui ha fame e sete l'uomo contemporaneo.

Non possiamo non partire da questa origine per comprendere lo spazio della vita affettiva nell'esperienza umana.

Fondare la vita affettiva su Cristo morto e risorto significa porre le premesse per una piena umanizzazione e per una testimonianza risplendente di speranza.

Tale esperienza è struttura portante dell'esistenza umana ed è la modalità privilegiata attraverso cui le donne e gli uomini cercano risposta alla propria domanda di felicità e di senso.

Da un punto di vista antropologico e culturale la vita affettiva è nella sua verità un'esperienza di relazione eticamente orientata cioè comprensiva di passione e ragione, di attrattiva e responsabilità.

Peraltro la vita affettiva è inevitabilmente generativa, di una generatività non necessariamente biologica.

Del resto l'espressione « Dio è Padre » ricorda questa dimensione come fondativa dell'antropologia cristiana.

Attraverso la comune condizione di figli di Dio e fratelli, nasce una nuova e più ampia parentela tra gli uomini.

L'esperienza del sentirsi generati è da riproporre come decisiva categoria antropologica: l'esperienza della dipendenza filiale è la forma originaria dell'affettività degna dell'umano, una dipendenza che rende capaci di libertà e che accompagna permanentemente la vita di ogni persona costituendo la radice di ogni cammino vocazionale.

2. Per quanto riguarda la riflessione sull'esperienza, i gruppi hanno sottolineato sia gli aspetti di rischio e fragilità, sia gli aspetti di risorsa e potenzialità della vita affettiva.

Sul primo versante, un primo nodo antropologico riguarda la cultura dell'individualismo che rende l'affettività fragile perché, fuori dall'orizzonte etico e religioso, essa è ridotta a sentimentalismo ed edonismo.

Eros e agape vanno invece posti in un dinamismo circolare.

Ricorrente è inoltre l'espressione « analfabetismo affettivo » per significare lo stato di immaturità personale diffuso in particolare tra adolescenti, ma anche tra giovani o adulti, in difficoltà ad assumersi impegni e responsabilità, in particolare quando devono compiere scelte che richiamano il « per sempre », peraltro elemento costitutivo dell'amore.

La condizione di immaturità affettiva emerge anche nelle stesse comunità cristiane, spesso caratterizzate da relazioni formali e che faticano a pensarsi come luoghi di relazione affettiva e di condivisione delle responsabilità, e a volte anche tra quanti aspirano alla vita religiosa e al presbiterato.

Uno dei volti della fragilità affettiva inoltre è il rifugiarsi nel virtuale, che interessa soprattutto le nuove generazioni e che sembra presentare più rischi che possibilità di sana intesa comunicativa.

La speranza nella vita affettiva è messa alla prova anche da numerose sofferenze e dolori che vanno dalle gravi crisi o dai fallimenti delle relazioni familiari alla solitudine degli anziani, a condizioni di povertà strutturale ( precarietà lavorativa, immigrazione ed emergenze ) che paralizzano la progettualità affettiva.

A fronte di questi aspetti problematici della vita affettiva, si registra però un profondo bisogno di relazioni autentiche e una volontà e desiderio di vivere legami e amicizie significative.

C'è l'esigenza ineludibile di ritrovare il senso delle esperienze affettive che si vivono ( da questo punto di vista conforta la segnalazione di esperienze di fraternità tra famiglie e anche di esperienze di fraternità tra sacerdoti e famiglie ).

Si tratta prima di tutto di concepire l'affettività in termini propri: dire bene l'affettività e dirne il bene.

Dentro l'affettività c'è un bene irrinunciabile per il soggetto umano, un bene da liberare, da far emergere, da educare.

Si tratta di un cammino da compiere per tutta la vita, che esige gradualità, ma nello stesso tempo punta in alto, alla qualità propriamente umana e dunque divina dell'affettività.

La vocazione etica degli affetti non si aggiunge dall'esterno all'esperienza affettiva, non è un insieme di divieti o di precetti moralistici, ma risponde al « grido inesauribile del cuore » e ne costituisce l'orientamento profondo.

Come è stato detto: « Prima l'antropologia, poi l'etica ».

In questa prospettiva, la vita affettiva, anche se fragile, e proprio attraverso la propria fragilità, rimane valore.

Ciò vale in particolare per la famiglia, che è stata da molti sottolineata come luogo per eccellenza generativo di affetti: ogni suo componente impara in essa gradualmente a vivere le relazioni negli errori come nelle esperienze riuscite.

Se « parlare la speranza » è stata un'espressione ricorrente in plenaria, tale espressione è risultata particolarmente significativa per questo ambito.

3. Sul piano degli interventi pastorali, è emersa innanzitutto l'importanza di un compito culturale per la Chiesa.

A essa è chiesto il servizio della verità, decisivo di fronte all'attacco all'identità dell'uomo che nella vita affettiva trova un punto di fragilità forte.

Ci si aspetta dalla Chiesa una riflessione « alta », che non abbassi il livello e che sappia « rendere ragione » della bellezza dell'esperienza cristiana nella vita affettiva.

Una proposta condivisa e prioritaria è quella di una formazione non settoriale, che sappia cogliere tutta la persona nella varietà delle sue condizioni esistenziali.

Molto sentita è l'esigenza di una pastorale unitaria che non divida i contesti di vita.

Pare insufficiente occuparsi dei soli passaggi « consolidati » del percorso di iniziazione cristiana: occorre accompagnare la vita tutta.

A questo proposito va evidenziato che in quasi tutti i gruppi è stata sottolineata l'importanza della direzione spirituale come accompagnamento della persona.

D'altra parte, è stato anche rilevato che i sacerdoti sono anch'essi « figli del nostro tempo » e quindi spesso poco attrezzati a rispondere a questo difficile compito.

Da questo punto di vista l'esigenza di formazione, che è avvertita a tutti i livelli, va concepita prima di tutto come formazione di tipo antropologico e fruibile non solo da giovani, adulti e famiglie, ma destinata anche a consacrati, presbiteri e seminaristi oltre che a educatori e operatori della pastorale.

Particolarmente auspicabile al proposito è una maggiore valorizzazione della presenza educativa della donna, con la sua risorsa di femminilità e di attenzione alla vita.

Se la famiglia è luogo privilegiato dell'esperienza affettiva, essa è e deve essere anche soggetto centrale di vita ecclesiale, e ciò richiede che a essa sia dato spazio e responsabilità nel rispetto di tempi, esigenze e fasi del suo ciclo di vita.

Si è sottolineata anche la necessità e l'urgenza che le famiglie sempre in maggior numero si associno tra loro proponendosi come testimonianza di solidarietà interna e sostegno reciproco, e diventino erogatrici di servizi per le altre famiglie in una reale attuazione del principio di sussidiarietà.

La comunità ecclesiale, in particolare la parrocchia, è chiamata essa stessa a essere luogo di vita affettiva: ciò significa che essa è poco « struttura », ma luogo di vita, ambito aperto, comunità cristiana viva, capace di fare rete, incarnata nel territorio, in grado di ospitare e valorizzare le diversità di ruoli, vocazioni e carismi.

In questo senso, sono da valorizzare tutti quei luoghi e momenti capaci di mettere stabilmente in dialogo laici, religiosi e presbiteri.

Il dinamismo pastorale inoltre deve essere sempre più orientale in senso missionario, per incontrare gli uomini dove vivono, amano, soffrono e lavorano.

La cura pastorale va rivolta anche alle situazioni difficili e di disordine morale, oggi così frequenti.

Il volto della Chiesa da proporre all'uomo d'oggi è quello di una Chiesa madre oltre che maestra, capace di curare le ferite dei figli più deboli, dei diversamente abili, delle famiglie disgregate, di camminare a fianco di ogni persona prendendosi cura con tenerezza di ogni fragilità e capace al tempo stesso di orientare su vie sicure i passi dell'uomo.

Al proposito si è usata l'espressione « pastorale della vicinanza » e si è proposta la metafora della comunità cristiana come « locanda dell'accoglienza ».

È importante che il linguaggio dell'annuncio esprima il calore proveniente da relazioni affettive profonde anche nella vita ecclesiale.

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