Convegno ecclesiale di Verona |
20 ottobre 2006
Il primo aspetto che salta subito agli occhi dalla lettura dei risultati dei lavori di gruppo sull'ambito « lavoro e festa » è la loro sostanziale convergenza, sia nella consapevolezza dei problemi generali, sia nell'assunzione di ciò che oggi risulta prioritario, sia nelle proposte che vengono avanzate.
Questa sensibilità condivisa ha certamente facilitato la mia sintesi: di ciò sento anzitutto il dovere di ringraziarvi.
E questa sintesi, necessariamente a posteriori, che vi propongo ha appunto lo scopo di raccogliere in un quadro comune le diverse sollecitazioni che sono state elaborate dai delegati diocesani.
A questa elaborazione, molto ricca e di livello, cercherò di essere fedele.
Tutti i gruppi, pur con differenti accentuazioni, per un verso sottolineano il carattere plurale, addirittura « ambiguo », del tema del lavoro e, dunque, la necessità di una « visione realistica » dei cambiamenti intercorsi nella società italiana; per altro verso segnalano la perdita di significato dell'esperienza della festa.
È necessario quindi un adeguato approfondimento e un giusto discernimento anche relativamente ai linguaggi che dicono il lavoro e la festa; è necessario « esplicitare la novità e il valore aggiunto specifico del linguaggio della fede », anche a questo proposito.
Per esemplificare, i problemi riguardano, nel caso del lavoro, la sua fragilità: il lavoro che non c'è o che non è consono alla dignità della persona; il difficile rapporto tra lavoro e famiglia, la questione del lavoro femminile e delle attività svolte dalle donne in casa e fuori casa; la disoccupazione, specialmente giovanile; il divario territoriale: « il lavoro che manca al sud e i lavoratori che mancano al nord »; le esperienze drammatiche del lavoro nero, dello sfruttamento, la presenza della malavita organizzata, fino a vere e proprie « strutture di peccato », da riconoscere e combattere; il lavoro come modalità decisiva di promozione della cittadinanza, ad esempio nel caso degli immigrati; la molteplicità delle forme di produzione, nella consapevolezza che oggi è sempre più necessario « agire sui modelli organizzativi del fare impresa ».
Analogamente sono tanti i « punti nevralgici » relativi alla festa.
Essa è « un bisogno, prima che un dovere »; è un evento che perviene alla comunità, e che non è « solo quando finisce il lavoro, ma anche quando nasce un bambino, quando s'inaugura un'opera, ecc. »; ciò nonostante s'impone oggi una sua deriva individualistica e consumistica.
E così emergono nuovi luoghi di aggregazione, che non possono essere trascurati.
Ciò che viene segnalato, comunque, è la necessità di invertire, da un punto di vista cristiano, il rapporto tra lavoro e festa: non è soltanto il lavoro a trovare compimento nella festa come occasione di riposo, ma è soprattutto quest'ultima il « giorno della gratuità e del dono che "risuscita" il lavoro a servizio dell'edificazione della comunità ».
Sviluppando appunto questa prospettiva può essere recuperato quell'orizzonte più comprensivo che unisce lavoro e festa, quello del tempo cristianamente vissuto: un aspetto che forse non è stato colto fino in fondo come sfondo unitario comune, esistenziale, dei problemi affrontati.
I gruppi infatti, specialmente nella seconda sessione, si sono concentrati per lo più sulle urgenze del lavoro, anche se in parallelo è emersa da parte di molti l'esigenza di una pastorale integrata, che venga incontro alle questioni concernenti non tanto i lavoratori, ma le persone che lavorano.
Riflettendo su come la comunità cristiana vive oggi queste problematiche sono emersi soprattutto tre punti.
1. Anzitutto vi è l'esigenza di un effettivo recupero della dottrina sociale della Chiesa, come via per superare la scarsa attenzione che la comunità cristiana, nelle sue Diocesi e nelle sue parrocchie, sembra dimostrare nei confronti del mondo del lavoro.
Emerge in altre parole un'autentica voglia di riappropriarsi, in prospettiva cristiana, di questa tematica, riempiendo spazi non più occupati, o occupati in maniera ritenuta inadeguata, e in più dando risposta, con forza, alla questione del senso di un tale operare.
2. In secondo luogo, questo recupero si collega a una vera e propria voglia di uscire fuori dalle parrocchie, di produrre una « pastorale più missionaria », di « sporcarsi le mani », come viene detto.
In una parola: di « portare fuori la speranza ».
Questo comporta un'esigenza di testimonianza cristiana in luoghi ( e, magari, non-luoghi ) che solitamente non sono avvezzi a riceverla.
E insieme comporta la necessità di fortificare questa testimonianza grazie a un'etica sociale, grazie a un'etica e a una catechetica del lavoro, per non consegnare questi processi alle pure logiche del mercato.
3. Infine, prospettiva comune dei vari gruppi è l'indicazione che questa testimonianza è compito primario dei laici.
Essi infatti sono chiamati a vivere quotidianamente i problemi del mondo alla luce del Vangelo.
Si delinea così « un itinerario che parte dalla piazza, viene rivisitato - nel discernimento personale e comunitario della Parola e della comunione di vita - all'ombra del campanile, per poi tornare a provocare la piazza, con il valore aggiunto della fede ».
E si recupera altresì, in questa prospettiva, un ulteriore legame tra lavoro e festa: quello che pone al centro l'esperienza del Gesù risorto « come consapevolezza di sé e sollecitudine verso l'altro », vissuta in particolare nella gioia della Celebrazione Eucaristica.
A partire da qui possono emergere proposte concrete, che si integrano e si intrecciano inevitabilmente con gli altri ambiti della vita dell'uomo.
Sintetizzo le principali. Tutte quante comunque, nei loro dettagli, saranno pubblicate insieme alle sintesi dei vari gruppi.
- Emerge anzitutto la necessità di far conoscere la dottrina sociale della Chiesa.
Perciò si chiede siano rilanciate le scuole diocesane di formazione sociale: per un'educazione consapevole dei diritti di cittadinanza.
Ciò si accompagna a una richiesta di potenziamento della catechetica, che aiuti a cogliere il senso non solo del lavoro e della festa, ma del tempo dell'uomo in relazione al tempo di Dio.
- Emerge poi l'istanza di un accompagnamento, di una compartecipazione affettuosa, di un ascolto dei disagi che sono propri di un territorio: anche là dove non vi siano ricette immediatamente operative.
Si propongono esperienze come quella di un osservatorio sociale permanente o di veri e propri tavoli di ascolto.
E ciò può essere pensato e vissuto anche come occasione di dialogo con altre realtà, sociali o religiose, che, al di fuori della Chiesa, si occupano di tali problemi.
- Tutto ciò comporta un radicamento nel territorio, che fa leva sulla struttura delle parrocchie e delle associazioni locali, le quali vanno rivitalizzate e rimotivate.
Ma comporta anche la necessità di favorire forme concrete di collegamento e coordinamento non solo per conoscere, ma anche per promuovere forme imprenditoriali alternative.
Il progetto Policoro, a cui molti gruppi si sono richiamati, è proposto qui come un modello.
I cristiani, insomma, sono chiamati a incidere sulla realtà anche attraverso l'esperienza di nuove forme di lavoro e d'impresa, e attraverso la loro capacità di « fare rete » ( come sta dimostrando RetInOpera ).
Di tutto ciò viene chiesto il potenziamento.
E questo è uno dei modi privilegiati in cui i laici, specificamente i laici, risultano quei testimoni che sono capaci di realizzare quotidianamente la speranza.
- In ultimo, emerge in molti gruppi il richiamo a vivere insieme con coraggio e realismo il giorno di festa.
Con coraggio: disposti anche a boicottare lo shopping nel giorno del Signore.
Con realismo: rivisitando i nuovi areopaghi del tempo libero - sport, turismo ecc. - come luoghi di senso e di testimonianza.
Non mi resta che ringraziarvi per le intelligenti e appassionate sollecitazioni che avete sviluppato.
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