Convegno ecclesiale di Verona |
La fragilità è una caratteristica costitutiva dell'uomo.
Considerare la condizione umana da questo punto di vista significa guardare alla persona lungo tutte le età della vita - dall'origine alla fase dello sviluppo, dalla maturità al tramonto dell'esistenza - e attraverso ognuna delle esperienze fondamentali: l'amore e la solitudine, la libertà e la responsabilità, il bisogno di comunicare e gli ostacoli all'espressione di sé, la forza e la debolezza del corpo e della mente, il far parte di una più ampia comunità e i rischi dell'esclusione e dell'ingiustizia sociale.
Parlare di fragilità significa anche incontrare il peccato dell'uomo, ma soprattutto riconoscere in essa quella porta, che talvolta risulta decisiva, che permette alle persone di aprirsi alla riflessione sull'esistenza, alla ricerca del senso, alla fede.
Anche se la fragilità appartiene alla realtà fondamentale dell'uomo, oggi appare sempre più difficile accettarla e integrarla nella consapevolezza di sé.
Nonostante il vissuto quotidiano porti facilmente a sperimentare l'incertezza e l'impotenza, si assiste alla rapida diffusione di modelli culturali improntati ai miti dell'efficienza fisica e dell'onnipotenza tecnologica, della perfezione estetica e del soddisfacimento di ogni desiderio, della libertà come svincolamento da ogni limite e condizionamento.
La logica del « tutto e subito » porta alla soddisfazione immediata di desideri effimeri; il ripiegamento su di sé e la rinuncia a mete di alto profilo, attraverso cui si cerca di superare le frustrazioni, non sono tipici soltanto delle persone più svantaggiate, ma si insinuano come un virus nel quotidiano dei singoli e delle famiglie, nei progetti personali e sociali e nei rapporti educativi.
La ricerca esasperata del benessere psicofisico e la rimozione sistematica della realtà del dolore portano inoltre a privare di dignità interi ambiti dell'esistenza e dimensioni del vissuto umano.
Sono il segno, tra gli altri, dell'incapacità di afferrare il valore intrinseco alla vita e costituiscono una porta aperta alla sua riduzione e al suo disprezzo.
È questo infatti l'esito di una cultura del rischio e dell'emozione fine a se stessa, qual è quella che i mezzi di comunicazione sociale contribuiscono a diffondere, in modo pervasivo, fino a toccare estremi paradossali.
Dietro alla facciata di forza e sicurezza si cela infatti l'incapacità di lottare per un ideale, la carenza di significati forti, il delirio del credersi arbitri e artefici unici della propria vita: è questa una forma di fragilità culturale che viene ad aggiungersi e aggrava le fragilità fisiche e sociologiche che appartengono alla condizione umana nel mondo, specialmente di coloro che più sono esposti al limite: i bambini, i giovani, i malati, gli anziani.
Voler identificare in modo preciso il quadro delle fragilità emergenti nel contesto contemporaneo non è un compito facile.
Si tratta infatti di una realtà fluida e in espansione, e di cui una parte consistente rimane nell'ombra, coscientemente inespressa o nascosta da una società che esalta l'apparire e l'avere.
Sono molti i volti che la fragilità assume nella vita delle persone e della società.
Spesso si tratta di minacce e attentati alla vita e alla dignità umana da lungo tempo presenti nelle analisi sociali.
Fanno parte di questo gruppo la persistenza di fenomeni di illegalità diffusa, talvolta eretta a sistema;
la disoccupazione e lo sfruttamento del lavoro, soprattutto di quello degli stranieri;
la crisi delle politiche sociali tradizionali;
il rifiuto della vita nascente e i tentativi per l'introduzione dell'eutanasia;
le mille facce dell'abuso e della dipendenza ( dalle droghe, dal gioco d'azzardo, dalle nuove tecnologie … );
l'handicap e la disabilità;
l'individualismo e l'egoismo generazionale;
i fenomeni di bullismo e di delinquenza minorile;
la situazione disagiata di molti anziani;
la difficile condizione dei carcerati e dei migranti.
Piaghe quali l'esclusione sociale e l'usura persistono nel nostro Paese; vittime del disorientamento e dell'incapacità di guardare al futuro in chiave progettuale sono particolarmente le nuove generazioni.
Lo stesso mondo del volontariato si indebolisce quando cede alla tentazione, alimentata anche dalla legislazione attuale, di introdurre strutture, modalità e aspetti economici che rischiano di snaturare la sua natura e finalità.
Tra le « nuove fragilità » vengono annoverate:
quella che riguarda l'identità culturale, indebolita dalla difficoltà di assumere la sfida dell'integrazione degli stranieri coniugando accoglienza e proposta;
la fragilità del lavoro, che comprende le attese e i disagi delle nuove generazioni, esposti a una precarietà e instabilità senza prospettive;
la fragilità dei legami comunitari, e in particolare della famiglia, spesso in balìa di veri e propri terremoti affettivi, e delle agenzie educative;
la fragilità istituzionale, ossia della vita democratica e delle sue istituzioni, da tempo bisognose di riforme annunciate, ma mai compiute, e indebolite dalla crisi della partecipazione alla vita comune da parte di fasce consistenti di cittadini.
La rivoluzione antropologica in atto, col nuovo modo di pensare la vita, e le frontiere delle tecnologie applicate alla medicina rendono ancora più vulnerabili le coscienze e difficile il loro discernimento etico.
L'elenco delle fragilità non sarebbe completo se non comprendesse anche
l'aumento delle solitudini, del malessere esistenziale e del disagio psichico;
il consumo dissennato delle risorse naturali con la conseguente crisi ambientale;
il tasso elevato di aggressività e il preoccupante rischio di povertà cui sono sempre più esposte le famiglie giovani e con figli, da annoverare tra i soggetti più deboli della nostra società.
Nei contributi delle Diocesi e degli organismi ecclesiali è frequente la constatazione che la fragilità della condizione umana, accentuata dalle contraddizioni e dalle problematiche della nostra epoca, sia esperienza quotidiana anche per il credente e per la comunità cristiana.
In ambito ecclesiale, la fragilità diffusa prende il volto di comunità ripiegate su se stesse, povere di relazioni profonde e gratuite, scarsamente tese a valorizzare i giovani e gli anziani come soggetti della vita pastorale.
La Chiesa mostra la fragilità della sua fede e della sua speranza quando si ritrae sulla sponda del fare, moltiplicando le strutture, piuttosto che dedicare le necessario energie alla formazione delle coscienze e alla cura di una vita spirituale adeguata e profonda.
Se la pastorale non è nutrita dalia contemplazione e dallo sforzo del pensiero, finisce col mostrare prevalentemente stanchezza e demotivazione, formalismo e insensibilità per la vita e i suoi problemi, ricerca di potere e atteggiamenti di delega.
A rendere fragile l'azione della Chiesa è anche l'autoreferenzialità e la tentazione del clericalismo, l'incapacità di rigenerarsi di continuo a partire dalle dimensioni più profonde della propria esperienza.
Di tutto ciò, si dice, occorre prendere onestamente atto, in un'ottica di fede e dunque non di calcolo dell'efficienza ma di riconoscimento del proprio peccato e di apertura alla grazia di Dio che si manifesta anche nella debolezza dell'uomo.
Se nel quadro di analisi dipinto nei contributi dei diversi soggetti ecclesiali prevalgono le tinte scure, non manca in diversi di essi l'individuazione di segni di speranza costituiti da una fragilità « redenta » dalla fede e dalla carità.
L'attesa di pienezza di vita che caratterizza il cuore dell'uomo non resta inascoltata da parte della comunità cristiana, così come non rimangono senza risposta le tante domande di aiuto e di sostegno che provengono dai più deboli della nostra società.
Segni concreti dello sguardo misericordioso di Dio sulle povertà umane sono le tante forme della carità ecclesiale.
In particolare, vengono ricordate
l'azione della Caritas - che ha visto crescere in modo significativo i suoi centri parrocchiali - e delle associazioni di volontariato;
la presenza negli ospedali e nei luoghi di cura;
la testimonianza di famiglie solidali e accoglienti;
la promozione di progetti rivolti alle categorie maggiormente disagiate ( immigrati, minori a rischio, donne in difficoltà, vittime del racket ecc. );
la crescita delle comunità familiari e della sensibilità verso l'affido e l'adozione;
la rete dei centri di ascolto e di consulenza;
le esperienze di pastorale del lutto e di reazione alla criminalità;
il sostegno all'imprenditorialità giovanile e il sorgere di sportelli antiusura;
una maggior consapevolezza diffusa per il principio di sussidiartela.
Sono autentici segni di speranza, infine, le numerose testimonianze di vite generosamente dedicate agli altri, consacrate al servizio educativo e all'accompagnamento, a cominciare dal dono quanto mai prezioso dell'ascolto e della fiducia.
Famiglie e comunità dal profondo spessore umano sono ciò che maggiormente incontrano le persone nelle loro fragilità e le risollevano dagli abissi della disperazione e del vuoto esistenziale.
Emergono dai diversi contributi alcuni punti fermi da tenere presenti per testimoniare la speranza in questo ambito dell'esistenza umana.
L'agire del cristiano nell'ambito della fragilità sarebbe ben poca cosa se non fosse alimentato dalla capacità di sostare davanti al mistero della croce e della risurrezione del Signore Gesù.
L'esperienza della croce resta uno degli scandali della vita dell'uomo: la sofferenza non è mai desiderabile.
Ciò nonostante, il cristiano sa che anche il dolore va accettato e compreso, e che la croce - accolta nella prospettiva dell'amore - diventa strumento di salvezza.
È un atteggiamento diverso sia dalla sopportazione passiva che da un'impropria mistica della sofferenza, e che si nutre di preghiera e di ascesi.
La fede rivela che, nel mistero dell'incarnazione e della Pasqua, Dio stesso ha rinunciato alla sua onnipotenza e si è fatto fragile come la sua creatura, sottoponendosi al rischio dell'amore e facendo della croce il suo volto più espressivo.
In questa condivisione profonda sta anche il germe della risurrezione cui l'intera condizione umana è destinata.
Nella testimonianza di una fragilità accettata e donata si manifesta il paradosso cristiano, che provoca nelle persone le domande sul senso del vivere.
È un'opera di evangelizzazione della fragilità umana perché sia vista come una via di unione a Cristo crocifisso e risorto.
Esiste uno stretto legame tra la virtù della speranza e quella della carità.
Quest'ultima, lungi dall'essere ridotta a un settore della pastorale o confinata in un solo ambito della testimonianza, è espressione irrinunciabile dell'essere stesso della Chiesa e via privilegiata del suo annuncio di salvezza.
La povertà di speranza che caratterizza l'uomo contemporaneo ha fra le sue cause il frantumarsi della credibilità: la crisi delle istituzioni e delle ideologie ha spento in molti le attese più profonde e accorciato gli orizzonti del pensiero e dell'impegno.
Anche Gesù si è trovato davanti le delusioni e le paure dell'uomo.
Lo stile che emerge dalla sua opera - capace di rimettere in piedi perdonando e dando fiducia, aspettando con pazienza, aprendo un futuro di responsabilità, liberando con la gratuità - dimostra che prima di ogni altra cosa è l'amore a riaccendere la speranza nelle persone.
A una condizione: che sia credibile.
Ma per essere credibili le parole non bastano, occorrono i fatti.
Ecco la via da seguire per far sì che aumenti la speranza: vivere la carità evangelica come testimonianza concreta del valore e del significato presente in ciascuna persona, in ogni frammento di esperienza e condizione di vita.
La fragilità umana provoca la Chiesa sul piano dell'essere prima che su quello del fare.
Sono molti i contributi che delineano un profilo della comunità cristiana modellato su quelle caratteristiche che le rendono possibile offrire speranza e mostrare il valore della vita, anche quando è debole.
Emerge così il volto di una Chiesa che mette la persona al centro della propria azione, che sa ascoltare e leggere la vita, e proporre un progetto culturale di umanizzazione della società, che lotta contro ogni forma di pregiudizio e ignavia, che sa intuire e anticipare, proporre e sostenere strade alternative di riscatto e di promozione dell'uomo.
È una Chiesa che esprime accoglienza gratuita e non si sostituisce alle persone, ma le accompagna; che promuove impegno sociale, secondo la forma alta della carità sociale, ma che non si presenta solo come organizzazione assistenziale, quanto portatrice di un messaggio che cambia la storia e apre alla trascendenza senza indicarla come un semplice rifugio e una forma di rassegnazione di fronte al dolore.
Offre speranza una Chiesa
che non si illude di poter cancellare la fragilità, come vorrebbe l'utopia contemporanea della tecnica, ma sa reagire di fronte all'ingiustizia così come davanti al fatalismo;
che è presente nei luoghi del dolore, ma non cede a forme di paternalismo e di assistenzialismo;
che comunica che la fragilità umana non è solo un problema da risolvere, ma un « mistero » che fa parte della vita, dove la morte e il dolore non hanno l'ultima parola;
che vive normalmente relazioni fraterne e accoglienti e sa affrontare con verità e carità anche le proprie debolezze;
che non si limita a donare qualcosa ma ripensa se stessa a partire dagli ultimi;
che porta a tutti rispetto mentre offre anche la propria gioia.
È nel paradosso paolino della debolezza come forza che la Chiesa trova le modalità per « stare nella fragilità » e annunciare la beatitudine della povertà.
Vestendo il grembiule della diaconia e radicata nella spiritualità dell'incarnazione, la Chiesa è chiamata a scendere dai piedistalli su cui la pongono la tentazione del potere e della grandezza umana, per raccogliere in sé ogni frammento di umanità e presentarlo a Dio come offerta viva.
Una Chiesa evangelicamente povera, capace anche di scelte controcorrente, è segno eloquente della speranza portata dal Signore risorto, che «ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili » ( Lc 1,52 ).
Sono le due parole che più frequentemente riassumono, nei contributi delle Diocesi, il compito della Chiesa davanti alla fragilità umana: piegarsi sulle ferite e sulle povertà degli uomini, conformandosi a Cristo servo, senza rinunciare alla denuncia delle cause e delle strutture ingiuste, alla progettualità anche politica, e soprattutto a indicare la prospettiva di un « oltre » cui aprirsi per un'autentica guarigione e pienezza di vita.
La condivisione della fragilità apre il cuore alla speranza e aiuta a scoprire un livello più profondo di umanità; spesso porta a restituire al cammino della vita l'esperienza che si sta vivendo arricchita di senso.
Per la comunità cristiana questa è anche la sfida della comunione al proprio interno: solo una spiritualità della comunione può dare nuova linfa a quella « fantasia della carità », che nasce dal sapersi fratelli amati, di cui l'umanità oggi ha bisogno.
Se l'esperienza della fragilità mette in luce i limiti e la precarietà della condizione umana, la stessa fragilità è anche occasione per prendere coscienza della creaturalità dell'uomo e del valore che egli riveste davanti a Dio.
Qualunque sia la situazione che sta vivendo o la sua condizione materiale, l'essere umano non perde mai la propria dignità, la titolarità dei diritti fondamentali e la grandezza della sua vocazione.
Custodire e comunicare la verità integrale sull'uomo è un imprescindibile servizio alla speranza che tocca in modo particolare l'ambito dell'educazione.
In questo senso, occorre diffondere un'autentica concezione della persona e della libertà, oggi colpite da pericolosi riduzionismi.
Da questi « punti fermi » circa il rapporto tra la Chiesa e la realtà della fragilità umana, emergono alcune attenzioni generali e indicazioni specifiche per la vita delle comunità cristiane.
La Chiesa manifesta l'azione misericordiosa di Dio che viene in soccorso all'uomo fragile soprattutto mediante i sacramenti della riconciliazione e dell'unzione degli infermi.
Essi devono essere valorizzati, celebrati con cura e fatti oggetto di un'opera educativa, per una pastorale della misericordia.
Parimenti, va valorizzata la visita alle famiglie, modo privilegiato per incontrare le fragilità nascoste, e il servizio svolto dai sacerdoti e dai ministri straordinari che portano l'Eucaristia ai malati e agli anziani non autosufficienti, facendo anche opera di sostegno morale e assistenza spirituale.
Anche la preghiera manifesta il senso profondo della fragilità ed educa a uno sguardo evangelico sulle situazioni di bisogno.
In particolare, si deve passare dal pregare per i poveri al pregare con i poveri, anche mediante celebrazioni e centri di preghiera dislocati nei luoghi del dolore, nelle case degli anziani e degli ammalati.
Nella predicazione e nella catechesi, si evidenzia il bisogno di dare spazio adeguato alla dimensione escatologica della fede, curando i riferimenti biblici, il linguaggio e l'approfondimento teologico.
Molti momenti della pastorale ordinaria ( omelie, catechesi, feste, pellegrinaggi, tradizioni o elementi della devozione popolare … ) sono occasioni privilegiate per evangelizzare la fragilità umana e crescere nella responsabilità verso le diverse situazioni.
Non vanno lasciate all'improvvisazione o sottovalutate.
Una pastorale improntata alla condivisione e all'annuncio vede una preziosa risorsa nei diaconi permanenti, ministri della carità e della Parola.
Davanti alle fragilità personali e sociali di oggi, la comunità cristiana avverte il bisogno di dotarsi di luoghi permanenti e strumenti di comprensione delle questioni emergenti, che portino a riconoscere le provocazioni del territorio e della vita, interpretandone i cambiamenti; a leggere la realtà da credenti; a mettere le proprie competenze a servizio di un'efficace progettualità culturale e politica.
Per questo, vanno costituiti ai diversi livelli ( nazionale, regionale, diocesano ) « osservatori delle povertà e delle risorse » e altri centri di ascolto, di studio e approfondimento, di discernimento.
La testimonianza della speranza, oltre a farsi carico delle situazioni concrete per renderle sempre più conformi al disegno di Dio, comporta una dimensione educativa e culturale.
L'azione caritativa deve aver sempre chiara la propria funzione pedagogica, che si esprime nella promozione di stili di vita gratuiti, solidali e improntati alla sobrietà, nel coinvolgimento concreto delle persone, nel superamento di mentalità utilitaristiche, nel dar vita a opere-segno nel territorio.
L'inserimento nei normali percorsi formativi di esperienze di servizio di cittadinanza responsabile è un modo efficace per promuovere una cultura di rispetto della sofferenza, della legalità e della difesa dei diritti, capace di opporsi a ogni forma di ingiustizia ( tra cui il lavoro nero, il clientelismo, l'evasione fiscale, l'abusivismo ).
In questa ottica occorre frequentare i nuovi « areopaghi » quali i mass media, la cultura e l'arte, il tempo libero e il turismo, sperimentando anche scelte pastorali innovative.
In prospettiva culturale e pedagogica, oltre che di risposta alle emergenze, deve diventare sempre più capillare la presenza della Caritas, autentica espressione di Chiesa e non organismo con delega ai servizi sociali.
Il volontariato è chiamato a essere fedele alla propria identità, testimoniando il valore della gratuità e la sua carica di trasformazione sociale.
Per far questo dovrà evidenziare il suo ruolo profetico e di tutela dei diritti dei più deboli, stringere nuove alleanze e acquisire le necessario competenze sul piano delle conoscenze, degli strumenti e dell'elaborazione culturale.
Particolare cura andrà anche messa nel far sì che il volontariato non venga confinato a un'azione di supplenza nei confronti di carenze istituzionali e che si instaurino rapporti nella linea di una autentica sussidiarietà.
Esso deve anche essere scuola di impegno politico e di servizio al bene comune.
Un'esigenza particolarmente diffusa è quella di coordinare le varie espressioni della carità presenti nella chiesa locale e di mettere queste ultime in più stretta relazione con il resto della comunità cristiana, con le istituzioni civili e con le altre realtà diffuse sul territorio, facilitando collaborazioni e interventi condivisi, e passando da interventi frammentari a un'opera continuativa e che vada oltre la mera assistenza.
Ciò comporta la capacità di dar vita ad autentiche reti di prossimità ordinaria tra famiglie, comunità, associazioni.
Un ruolo particolare può essere svolto dalle famiglie, attraverso le « reti di vicinato » e persone incaricate in ogni palazzo o zona residenziale di tenere i contatti con la Caritas parrocchiale, segnalando bisogni urgenti, nuovi arrivi o situazioni a rischio.
Si invita anche a diffondere l'iniziativa, avviata in alcune realtà, di « adozioni » di persone anziane o ammalate.
Non vanno sottovalutate inoltre le opportunità fornite dai mezzi di comunicazione sociale per alleviare le sofferenze e le solitudini, approfondire le relazioni e diffondere una cultura e una prassi della solidarietà.
In riferimento ad alcune forme particolari di fragilità, vengono individuate azioni puntuali e specifici orientamenti pastorali.
La professione medica e degli operatori sanitari è un'occasione di testimonianza.
Nella formazione dei professionisti del settore sanitario, particolare cura andrà posta sugli aspetti etici e sulla promozione di relazioni tra medico e paziente che non riducano quest'ultimo a semplice destinatario di cura.
La Chiesa consideri suo compito stimolare le coscienze di medici, scienziati e ricercatori affinché le scoperte nel campo della medicina e della biologia siano sempre orientale al rispetto della vita e della sua dignità.
La povertà di relazioni è la grande povertà del nostro tempo.
Per questo, la comunità cristiana non può trascurare la cura delle relazioni umane, la sensibilità per le storie personali, la pazienza dei tempi di maturazione, la fiducia nelle possibilità di bene proprie di ciascuno.
Le parrocchie devono diventare veri e propri « laboratori di relazioni » ( amicali, affettive, familiari, comunitarie, civili e sociali … ) eliminando ogni aspetto « burocratico » dalla prassi ecclesiale e facendo sì che nessuno venga escluso dalla vita della comunità.
I giovani vivono una particolare condizione di vulnerabilità, sottoposti a un bombardamento di messaggi ambigui e contraddittori, e non raramente privi di un aiuto efficace nel compito impegnativo della costruzione della propria identità.
La formazione degli educatori di questa fascia di età andrà dunque qualificata per dar loro competenze spirituali, culturali e relazionali che li portino a essere accompagnatori nel cammino di vita e di fede.
Occorre diffondere gli oratori e i centri educativi e incrementare la « pastorale di strada », entrando in un rapporto diretto con i giovani e incontrandoli nei luoghi che essi frequentano, e dando così testimonianza di una Chiesa che non li lascia soli e non ha pregiudizi nei loro confronti.
Tra i soggetti più fragili, nell'odierno panorama culturale, va certamente annoverata la famiglia.
Essa, che in non poche situazioni costituisce un baluardo contro gravi piaghe sociali e forme di disagio individuale, va sostenuta con una formazione permanente e con iniziative particolari nelle situazioni di crisi.
In particolare, occorre porre attenzione alla promozione di efficaci politiche per la famiglia, a livello nazionale e locale, e all'accompagnamento nei primi anni di matrimonio.
Separati e divorziati devono esser aiutati, nella chiarezza e nella carità, a sentirsi ancora parte della comunità e a percorrere cammini di riconciliazione.
Occorre favorire in ogni maniera l'accoglienza e il coinvolgimento attivo dei disabili e dei loro familiari nella vita della comunità ( catechesi, Eucaristia e vita sacramentale, vari servizi e ministeri ), approfondendo la conoscenza delle tecnologie e delle modalità educative che aumentano la possibilità di partecipazione e promovendo un'opera di sensibilizzazione per un'autentica integrazione sociale di queste persone.
Serve una vera e propria pastorale del lutto, fatta di vicinanza e sostegno, annuncio di fede e cammino di preghiera.
Occorre a tal fine diffondere le esperienze esistenti di affiancamento delle famiglie che vivono la grande sofferenza della perdita di un familiare, aprendo il dolore alla promessa evangelica della vita eterna.
Occorre riproporre l'intera comunità ecclesiale come comunità educante, attraverso la diffusione della formazione di base, l'incremento di cammini educativi personalizzati, il sostegno al compito educativo dei genitori e degli insegnanti, l'attenzione alle persone che vivono la solitudine e l'abbandono, il dialogo con le realtà in cui si formano la mentalità e la cultura diffusa.
In particolare, sono necessari percorsi che educhino a riconoscere e avvicinare la fragilità, e aiutino a riscoprire il limite come risorsa e la debolezza umana come luogo di grazia, ponendo le basi per reinventare le forme dell'accoglienza.
Anche le città sono organismi viventi che soffrono di fragilità di vario genere.
Particolare attenzione va posta, da parte della comunità cristiana, ad abitare in maniera significativa e responsabile il territorio, facendosi promotrice di progetti di crescita del tessuto umano e di cittadinanza attiva.
La realtà delle periferie, indicativa di « cittadinanze minori » nel nostro Paese, va considerata come una sfida da non lasciar cadere.
Perché l'affermazione che nella Chiesa nessuno t straniero trovi sempre corrispondenza con la realtà, le comunità cristiane devono saper guardare al fenomeno delle migrazioni prima di tutto con lo sguardo della fede.
Nell'approccio ecclesiale alle problematiche che esse portano con sé non deve mai mancare l'inserimento degli immigrati cattolici nelle Chiese locali, il dialogo con i cristiani di altre confessioni, l'annuncio e il dialogo con i non credenti e i non cristiani.
Occorre inoltre sostenere le comunità etniche,
favorendo l'opera dei sacerdoti stranieri;
favorire l'incontro e l'amicizia tra le famiglie italiane e immigrate;
dar vita nelle Diocesi a specifiche équipe che sappiano far fronte agli aspetti religiosi e culturali;
formare a identità aperte e capaci di dialogo;
riscoprire i testimoni cristiani nel campo dell'emigrazione;
denunciare ogni forma di ingiustizia e adoperarsi per politiche più attente ai diritti fondamentali di ogni persona;
sostenere la campagna per la ratifica della convenzione ONU sui diritti dei lavoratori migranti e quelle per l'allargamento della cittadinanza.
La pastorale penitenziaria è una pastorale di speranza che riguarda molte categorie di persone: i detenuti, gli operatori delle carceri, i volontari.
Serve per questo una presenza più qualificata della Chiesa nei luoghi di detenzione, per svolgere un'opera di evangelizzazione, con un maggior coinvolgimento di persone e di risorse.
Due situazioni che interpellano in modo particolare la Chiesa sono la criminalità minorile e il problema di quale pastorale sviluppare nei luoghi in cui è fortemente diffusa la criminalità organizzata.
Anche nei confronti delle famiglie dei reclusi è necessaria una speciale attenzione da parte delle comunità cristiane.
Tra gli strumenti pastorali da promuovere si individuano: un pronunciamento organico sulla pastorale carceraria; la creazione di un'apposita commissione nazionale e di uffici diocesani; una consulta per seguire il realizzarsi dell'amministrazione della giustizia in Italia.
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