Convegno ecclesiale di Verona |
Le odierne difficoltà culturali che il termine « tradizione » patisce impongono l'urgenza di chiarire il suo significato, specie quando è riferito direttamente alla Chiesa e alla sua presenza nel mondo: nella tradizione consiste, infatti, la vita stessa della Chiesa, il suo senso e la sua vocazione, la sua verità profonda.
La Chiesa è tradizione: è un tramandare di generazione in generazione l'Evento che la costituisce e determina, sin dall'inizio e per sempre.
È il mistero della pasqua di Cristo, morto e risorto - la cui espressione sacramentale propria è la celebrazione dell'Eucaristia -, che ha avvicinato l'uomo « nella sua carne » e cammina nel tempo orientando il futuro.
L'irrompere nella storia dell'uomo del Risorto dai morti, speranza di ogni uomo nello scorrere del tempo e oltre il tempo, ha originato una traditio che avanza, si sviluppa e cresce, il cui protagonista principale è lo Spirito Santo: egli « l'anima », ed è l'attore fondamentale che interagisce con la libertà dell'uomo, affinché la salvezza di Cristo si personalizzi in ciascun uomo e si universalizzi nella storia dei popoli, entrando nelle varie culture e vicende umane, per vivificarle, animarle, avviarle alla loro più piena umanizzazione.
La Chiesa è in se stessa traditio, in quanto trasmette il Vangelo a ogni creatura sulla terra, attraverso l'evangelizzazione e l'inculturazione della fede: è tradizione vivente, dinamica, aperta al futuro, creatrice di nuovo futuro.
A ben considerare le cose, nella realtà della tradizione non c'è nulla che indichi l'idea di una « conservazione immobile, di una perdita di libertà, di mancanza di creatività, di novità », come invece le si rimprovera in gran parte della cultura diffusa.
La tradizione cristiana si coniuga invece molto bene con la speranza: il mistero compiuto nel passato, infatti, chiede di essere vissuto nel presente, senza peraltro potersi esaurire, perché è tutto il futuro di Dio che accade e avviene nella storia dell'uomo.
Il cristiano è l'uomo dell'avvento; la fede cristiana è accoglienza di una Parola di verità che eccede, è sempre oltre, continua promessa di un Dio che attrae verso sé, chiedendo di muovere sempre le tende.
La condizione del cristiano è quella del viandante, del pellegrino, di colui che non ha stabilità qui sulla terra, perché proiettato verso la patria della sua definitiva identità, il paradiso della giustizia vera e della pace compiuta.
Il depositum fidei è come il sedimentarsi in tante forme incarnate della ricchezza inesauribile dell'Evento dell'amore di Dio per l'uomo in Cristo: « deposito » non simbolizza nulla di statico, ma dice piuttosto che la prima grande tradizione ( il trasmettersi di Dio all'uomo, fino a incarnarsi nell'uomo, in Cristo ) non è un mito, ma una realtà storica.
Pertanto, essa attiva processi storici di tradizione, perché assume « forma e carne » nella vita degli uomini e attraverso i dinamismi dell'esistenza umana: a partire da quel trasmettersi fondante e normativo in cui Cristo stesso consegna se stesso alla morte in croce, per manifestare l'amore misericordioso del Padre.
Come tale, ogni trasmettere nella Chiesa è tradizione non solo perché perpetua nel tempo il contenuto salvifico del farsi prossimo di Dio all'uomo, ma anche perché ne assume la forma incarnata: questa tradizione non è solo dottrina, messaggio intellettuale; si realizza invece coinvolgendo la vita e le sue forme pratiche, si innesta nelle dimensioni vitali dell'uomo, manifesta l'indissolubile intreccio tra umano e divino che costituisce la realtà del mistero di Cristo.
Proprio questo innesto nell'umano dice che la tradizione di Dio nella storia non si compie fuori dai dinamismi umani fondamentali con i quali gli uomini « si trasmettono », comunicando tra loro affetti, amore, valori, cultura, senso, competenze, saperi, scienza, religioni, fedi e quanto altro sia degno e nobile per il progredire dell'uomo, di generazione in generazione.
Dal punto di vista culturale, viviamo in un tempo di « transizione epocale », nel quale la storia non è più magistra vitae: la tradizione è rimossa, non si vuole imparare dal passato, si pretende di dimenticare le proprie radici.
Questo è talvolta vissuto come un guadagno della libertà, come una emancipazione dell'uomo dalle tutele che non lo farebbero crescere, a vantaggio di una certa euforia nell'immaginare possibile tutto ciò che si può fare tecnicamente.
Così, mentre la fede è ridotta a fatto privato e si perde il senso del riferimento a qualcosa di oggettivo, cui doverosamente obbedire, la cultura di oggi presenta sfide che giungono a toccare le fondamenta dell'umano nelle questioni della sessualità, della vita, della famiglia, del rapporto uomo-donna.
Si avverte allora che la trasmissione della fede non può avvenire senza implicare le questioni soggiacenti a queste trasformazioni culturali: in esse, infatti, si gioca il destino dell'uomo nella sua umanità e, dunque, anche la possibilità che il messaggio della fede orienti l'esistenza umana e aiuti l'uomo a vivere da uomo, nella coltivazione di sé come persona, oltre i tanti riduzionismi antropologici, presenti in molti settori della cultura contemporanea.
Il soggettivismo culturale, il relativismo etico, l'indifferentismo religioso sono atteggiamenti mentali, stili dello spirito umano, omogenei e convergenti nel rendere superficiale l'esperienza dell'uomo, non all'altezza della sua dignità, spesso conflittuale e competitiva.
Perciò, per trasmettere la fede alla future generazioni, la Chiesa è chiamata a impegnarsi nell'iniziazione e nell'educazione cristiana dei ragazzi, giovani e adulti attuando un confronto critico con la cultura contemporanea.
E una dialettica culturale indispensabile non solo per salvaguardare le radici cristiane, ma anche le basi fondamentali della civiltà umana.
Certi segnali della odierna cultura appaiono inquietanti e producono un'immagine dell'uomo disumana, perché deresponsabilizzante: l'accettazione fatalistica del male morale, la perdita del senso di colpa, la rimozione delle domande circa il senso ultimo delle cose e delle azioni, la mancanza di progettualità, l'assolutizzazione del presente rispetto al passato e al futuro.
Tutto questo produce - ai livelli della percezione di sé e della realtà - disorientamento e sbandamento, e anche incertezza, stanchezza, smarrimento e, talvolta, disperazione, come un senso di vertigine che impedisce di aggrapparsi a qualsiasi cosa di stabile e duraturo.
Si vive alla giornata, senza ancoraggi, senza certezze, nell'assenza di riferimenti normativi che, invece, aiuterebbero ad andare avanti con maggiore sicurezza e speditezza.
Paradossale è poi che questa condizione culturale - contrassegnata dal marchio dell'instabilità, della provvisorietà, del frammento, della precarietà - venga propagandata come un fatto positivo dai mezzi di comunicazione di massa.
Il mondo complesso è attraversato da un'informazione invadente, che è spesso sorgente di confusione e certo non aiuta la crescita matura di persone capaci di assumersi le proprie responsabilità con un impegno che duri nel tempo.
Al di là di certe frange anticlericali, il cattolicesimo gode in Italia di una stima diffusa rispetto a tanti altri paesi dell'Europa.
Questo incoraggia, anche se non toglie il fatto che il processo di secolarizzazione abbia enormemente smarcato le comunità dal loro antico ruolo di socializzazione, creando oggi non poche difficoltà all'esercizio del trasmettere la fede, nelle parrocchie, nelle famiglie, a scuola e negli ambienti di lavoro.
La traditio della fede comporta, dunque, che nella comunicazione ci si impegni a formare le coscienze delle persone alla visione cristiana della realtà, della relazione umana, della famiglia, della società: il Dio che si comunica e si testimonia, infatti, non lo si incontra al di fuori o indipendentemente dall'esistenza degli uomini e delle donne del nostro tempo e dalla coscienza che loro stessi hanno di sé e del proprio futuro.
Il problema tocca la formazione dei cristiani, la capacità di testimoniare la loro scelta di vita e di impegnarsi per l'evangelizzazione.
Si può facilmente comprendere perché alcune « rotture sociali e culturali » nelle strutture proprie del trasmettere tra gli uomini possono indebolire il processo di trasmissione della fede, talvolta oscurando la bellezza della tradizione cristiana, che splende proprio nel suo necessario trasmettersi senza distorsioni, impoverimenti, annacquamenti.
La vita della fede sta tutta nella trasmissione, secondo il mandato di Gesù che ha chiesto di andare per il mondo e fare discepoli fra tutte le genti.
Ogni generazione ha il diritto di ricevere Cristo e di accoglierlo, vivendolo nella concretezza delle condizioni culturali nella quali scorre la vita.
Il patrimonio inesauribile della fede non conosce confini geografici, temporali e culturali.
Esige però che venga vitalizzato, personalizzato, riproposto nuovamente, ridetto e ricompreso in assoluta fedeltà, senza tradimenti, perché la fede divenga sempre qualcosa di vivo e personale.
È un compito arduo che si compie nella presenza dello Spirito del Risorto, attraverso la grazia elargita nella celebrazione dei sacramenti, sotto la guida del magistero, ma dentro l'indispensabile coinvolgimento di tutti i cristiani, chiamati a darne testimonianza: la trasmissione della fede, dunque, pone la questione del testimone.
La trasmissione - che richiede un linguaggio adeguato ai tempi - non prescinde mai dall'offerta di senso che è inferiore al gesto del testimone, il quale in forme visibili ( e talvolta anche pubbliche ) di vita « mostra » la salvezza cristiana, facendola percepire come credibile, interessante, appetibile, perché vera, cioè corrispondente alla domanda di senso e di giustizia che è dentro il cuore di ogni uomo.
Verificare questa corrispondenza è un tassello decisivo per la tradizione cristiana.
Perciò occorre favorirla perché si capisca che Cristo è la Parola che salva tutti gli uomini e ogni uomo nella sua interezza.
Sarà indispensabile allora incontrare l'uomo là dove egli vive, soffre, cresce, si forma, gioisce e spera: la tradizione riguarda la famiglia, la scuola, l'università, gli ambienti di lavoro, ma anche e soprattutto la cultura, qui intesa come processo generale di senso nel quale « l'uomo diventa più uomo » e si coltiva nella sua umanità.
La conversione necessaria: ricentrarsi sull'essenziale
I contributi concordano nel rilevare che è in atto una vera emergenza educativa.
Il lavoro di educazione della Chiesa, dunque, deve puntare sulla nascita di autentici evangelizzatori, a un tempo testimoni e maestri, che da veri discepoli di Gesù sappiano innestare lo spirito del Vangelo nella società.
Per quanto appaia indispensabile perché la tradizione sia sempre viva e vitale, questo può accadere solo in un « permanente processo di conversione »: una metanolo radicale, concernente sia il singolo soggetto sia la comunità.
Si tratta di una doverosa metamorfosi della pastorale che ricentri l'azione evangelizzatrice sull'essenziale, sullo spirituale e su ciò che interpreta il bisogno dell'uomo in ogni circostanza: la tradizione si fa credibile nella misura in cui fa sintesi tra fede e vita, e risponde alle speranze dell'uomo di oggi con « la » speranza che è Gesù Cristo.
La formazione « permanente » non è una formula magica; essa indica la serietà con cui il lavoro di educazione va condotto: la fede non si vive « fuori orario » o in alcuni momenti dell'esistenza.
Perciò l'iniziazione alla fede continua sempre nel processo della sua maturazione in tutte le stagioni della vita e in tutte le condizioni in cui l'uomo si viene a trovare: la fede va infatti alimentata e maggiormente nutrita oggi, nel tempo in cui essa appare non sostenuta né dalle abitudini, né dalle tradizioni, né dal contesto sociale, quando non sia talvolta osteggiata, bloccata, derisa.
Solo un processo formativo continuativo, solido, integrale potrà aiutare i cristiani e in particolare gli operatori pastorali, perché abbiano modi adeguati nel trasmettere la fede e siano sicuri in quello che trasmettono.
Nell'esercizio del trasmettere la fede risulta decisivo il modo in cui ci si rapporta, lo stile della comunicazione, caratterizzato da fiducia, dialogo, comunione.
Non di meno è fondamentale - riconosciuta la « fine della cristianità » e considerata la tendenza delle società ad assumere un volto multireligioso - la questione dell'identità cristiana, della verità del credo professato, i cui contenuti non possono essere offuscati nella loro bellezza, né confusi o ecletticamente mescolati con idee religiose equivoche.
La testimonianza del dialogo è già una forma di comunicazione della fede cristiana, che nasce proprio da un evento di dialogo e fa sorgere la Chiesa come luogo del dialogo tra Dio e gli uomini e tra gli uomini in nome di Dio.
Tuttavia, il dialogo è per l'annuncio della verità cristiana e per nessun motivo deve richiedere la rinuncia ai contenuti centrali della fede: non si può dialogare senza identità, senza sapere chi si è.
La scoperta entusiasmante dell'identità cristiana - il suo reale approfondimento, non solo dottrinale, ma esistenziale - convincerà sulle forme vere del dialogo e della comunione tra gli uomini.
La fede cristiana, infatti, è anti-ideologica per natura: nasce da un evento di dono - quello del Crocifisso di Dio che muore per amore - e si trasmette nella forma del dono per suscitare altro dono: stimola la libertà ad accogliere e mai si impone con la violenza.
In questo contesto la tradizione cristiana è una lunga storia di esempi e di testimonianze a cui attingere, lungo tutti i secoli, escludendo ovviamente quei comportamenti e quelle azioni negative che l'hanno snaturata e oscurata, benché non distrutta completamente.
Tradizione è soprattutto la storia della santità di quanti in modo concreto hanno mostrato « come » si può dar testimonianza della speranza cristiana nelle condizioni ordinarie dell'esistenza e « quali forme » assume una vita orientata e guidata dalla speranza.
La loro memoria, il racconto della loro vita, l'affermazione della loro presenza, ancora viva in mezzo agli uomini, mostrano che la Chiesa non trasmette solo dottrine e teorie ( colte talvolta come « pesi da portare » su spalle stanche ), ma realmente trasmette « vita santa » che fa sbocciare nuova vita, fa crescere l'umanità, facendole assaporare la gioia anche in situazioni di tristezza e di dolore, perché apre alla speranza certa della vicinanza amicale, incondizionata, disinteressata degli uomini, sentiti fratelli in nome di Dio, e di un futuro atteso di beatitudine e di pace, dove la giustizia di Dio si manifesterà come perdono e come misericordia.
Nonostante gli ostacoli e le difficoltà, la trasmissione della fede si compie dentro un indiscutibile ottimismo, che è confessione certa dell'opera dello Spirito nella storia, ma anche della misteriosa presenza di Cristo nelle culture, nelle religioni e nell'umano dell'uomo, in ogni dove.
La teoria patristica dei semina verbi chiarisce la condizione reale in cui l'uomo si trova: già toccato in quanto creatura dalla grazia di Cristo, aperto al mistero soprannaturale di un Dio che lo può incontrare e di fatto lo incontra nella vita.
Nella trasmissione della fede e nella sua maturazione, il lavoro educativo dovrà tenerne conto e dovrà sforzarsi di illuminare l'esperienza dell'innesto tra la rivelazione ( i sacramenti, l'azione della grazia e della predicazione ) e la disponibilità propria dell'umano a lasciarsi orientare, illuminare, corrispondere nella scoperta del senso della vita, nella ricerca della gioia dell'esistere, nell'entusiasmo di costruire una convivenza pacifica, solidale e giusta, degna dell'uomo e del suo destino.
Confrontarsi con le tante esperienze con cui l'uomo produce sensi e significati nobili e alti, anche se non direttamente legati al religioso e alla fede, significa anche ascoltare la voce di Dio che ancora si annuncia e parla attraverso i segni dei tempi.
La fiducia nell'uomo - qualunque sia il suo volto - si fa dialogo e discernimento critico alla luce del Vangelo, per mostrare la credibilità della rivelazione, proprio nella sua capacità di offrire in libertà risposte vere ai desideri autentici della vita umana.
Occorre interrogarsi su quali siano i linguaggi adeguati al mondo odierno per trasmettere la fede, annunciando in modo diretto e chiaro la speranza della vita eterna nella quotidianità del vivere: quali gesti da individuare?
Quali esperienze umane da comunicare? Quali progetti da coltivare? Quali iniziative da organizzare?
La speranza della risurrezione libera la vita, perciò entra nelle maglie dell'esistenza: chi la porta e la trasmette lo deve fare con consapevolezza e creatività, confidando nell'opera dello Spirito e non di meno programmando la santità cristiana ( Novo millennio ineunte 31 ).
Il discorso, allora, cade sugli atteggiamenti concreti da adottare per far fronte alle difficoltà odierne, sulle strade da percorrere per un'evangelizzazione all'altezza delle sfide della cultura contemporanea, sulle proposte possibili da avanzare perché la comunicazione cristiana sia efficace e feconda.
Tutto ciò rende concreta la responsabilità con cui le comunità hanno cura della tradizione ecclesiale: la Verità che salva va « incarnata » nell'oggi, tenendo conto delle novità con cui la vita degli uomini si organizza e si sviluppa, delle forme pratiche dell'odierna cultura, delle attuali fatiche umane, specie quelle relative al convivere tra gruppi, popoli e nazioni, nella solidarietà, nella giustizia e nella pace, al rapporto con l'ambiente e la sua futura abitabilità, cui appartengono anche le questioni del massiccio impatto tecnocratico sulla vita umana, dal momento del suo concepimento fino al suo declino nella morte.
Appare anzitutto fondamentale la credibilità della Chiesa e del suo presentarsi al mondo come strumento di unità e di comunione, le cui caratteristiche distintive - l'offerta della verità e della carità - dovranno essere inequivocabilmente visibili, percepite con chiarezza, senza compromessi e distorsioni.
La Chiesa non possiede la Verità come un « tesoro geloso » da nascondere quasi fosse frutto di una rapina, ma come un « tesoro prezioso » ricevuto e accolto per grazia, da condividere e pertanto da comunicare e trasmettere a tutte le genti.
« Possedendo la Verità », essa è però sempre pellegrina e viandante verso il Regno, in cammino verso la Verità tutta intera, cui lo Spirito la spinge, in umiltà e coraggio.
Perciò cerca e dialoga rispettosamente con quanti credono di amare la verità, come senso, come giustizia, come onorabilità della vita dell'uomo.
I progetti di assistenza, di educazione, di vicinanza solidale ai più poveri e agli emarginati della terra - per quanto promuovano l'umanità dell'uomo - non possono essere scambiati per iniziative meramente sociali, ma dovranno con maggiore evidenza testimoniare la carità cristiana, quale cura appassionata di Dio al bisognoso, il suo farsi prossimo e samaritano a ogni uomo: la carità della Chiesa non è mai semplicemente un'elemosina, ma è sempre dono gratuito, incondizionato, unilaterale della vita, coinvolta liberamente in un gesto d'amore che manifesta la verità di Dio, il Dio vicino all'uomo.
Infatti, alla fine, « solo l'amore è credibile » e l'amore è la via della Chiesa: è il volto più credibile della Chiesa.
La tradizione è il tramandarsi di generazione in generazione delle opere della carità cristiana, compiute nella forza della verità cristiana primordiale, quel primo gesto con il quale il Figlio di Dio incarnato ha dato se stesso per amore.
La tradizione è il racconto della Verità di Dio come storia dell'amore di Dio per l'uomo che suscita negli uomini nuove storie di amore nella Verità che li ha rigenerati.
Affinché la credibilità della Chiesa splenda come speranza nel mondo con sempre maggiore chiarezza, diventa urgente attivare in modo permanente processi di purificazione.
La conversione delle forme pratiche con cui la Chiesa di oggi trasmette la fede non è solo un problema di « strategia pastorale ».
Tutte le forme inventate nel tempo per comunicare la fede vanno sempre verificate per misurare - con puntualità e precisione - il loro grado di compatibilita non solo con la coscienza e lo sviluppo dell'uomo, ma anche con la luminosità della verità cristiana che trova nel segno dell'Eucaristia l'intangibile criterio di giudizio su tutto.
Se la tradizione ha di necessità bisogno di « tradizioni » per essere trasmessa e vissuta, non si deve dimenticare che esse sono una funzione storica, del momento, le cui forme possono e debbono cambiare per evitare il rischio di favorire sì una tradizione, ma senza Gesù Cristo.
La creatività pastorale si esprimerà nell'inventore anzitutto « nuove tradizioni » nella misura in cui servono la traditio.
Non di meno tenterà, poi, di purificare alla luce delle esigenze eucaristiche del Vangelo quelle tradizioni che un tempo furono splendenti e ora appaiono oscure, talvolta svuotate del loro contenuto cristiano e non di rado asservite alle tante forme di paganesimo contemporaneo, religioso e consumistico a un tempo: si pensi ad alcune forme organizzative delle feste religiose che sembrano essere più « spettacolo per il mondo » che non celebrazione della speranza della fede.
Si tratta di operare un profondo discernimento e verificare se alcune feste sono espressioni della fede del popolo di Dio o semplicemente delle manifestazioni folkloristiche; se sono occasioni di evangelizzazione o di teatralizzazione; se esprimono la santità in sintonia con i tempi o sono semplicemente forme di spreco, in contrasto con una parte della comunità cristiana che soffre per la mancanza del necessario; se, infine, s'inseriscono in un itinerario di fede della comunità cristiana parrocchiale o, al contrario, sono occasioni per manifestarsi come cristiani da vetrina.
Onestamente, si dovrà riconoscere infine quanto di permanente e di vitale ancora vive in alcune antiche tradizioni, per la loro capacità di portare gli uomini a Dio, con un linguaggio semplice, popolare, adatto al cuore dell'uomo, aprendo - attraverso la devozione - l'esistenza ordinaria della gente all'incontro vero con il mistero di Dio: si pensi solo alle possibilità pastorali dischiuse dalla recita del rosario, e come questa pratica di pietà si è arricchita nel tempo.
La conversione pastorale al servizio della purezza e della verità della tradizione comporta che si vada avanti nel progetto di « riforma nella continuità », testimoniata già dal concilio Vaticano II, che innerva i progetti di rinnovamento pastorale della parrocchia per un nuovo profilo di comunità, più credibile.
Si deve insistere molto sullo stile ecclesiale di comunione che fonda un'azione missionaria integrata.
- dove carismi e ministeri di tutti vengano messi in sinergia, valorizzati nella corresponsabilità pastorale, aperti alla collaborazione all'interno e all'esterno della Chiesa;
- dove le parrocchie trovino nuove capacità di lavoro sinfonico tra loro e con i gruppi, movimenti e associazioni, affinché con una più diffusa capillarità si possa incontrare la gente nei luoghi in cui vive, attendendo alle necessità di ciascuno, dentro relazioni quanto più possibilmente personali e personalizzanti che diano il senso della vicinanza del Dio che chiama ognuno per nome;
- dove le singole figure ecclesiali ( dal Vescovo al prete, dal diacono ai consacrati e ai fedeli laici tutti ) possono essere riconosciute nell'autorevolezza del loro ruolo, dentro la comunione ecclesiale, che non sopporta competitivita o gelosia, ma organicità e supporto reciproco, nello sviluppo progressivo di una più forte spiritualità smoda le, di per sé già segno di speranza in questo mondo, marchiato dall'individualismo;
- dove il rapporto con il territorio sia coltivato al fine di realizzare una rete di collaborazione effettiva con le istituzioni, specie quelle deputate all'educazione, quali la scuola e l'università e altri centri formativi.
Indispensabile appare il rinnovamento della catechesi, nella quale maturare l'esperienza di essere amati dal Signore in modo speciale.
Il tratto esperienziale, che non deve mai mancare, dovrà coniugarsi nella capacità - altrettanto esistenziale - di porsi domande sulla vita e di trovare risposte adeguate.
Sarà difficile farlo senza la fatica del pensare, senza il doveroso discernimento culturale.
C'è bisogno, inoltre, di un linguaggio nuovo, comprensibile all'uomo di oggi: non basta la lingua parlata, occorre un linguaggio che interpreti l'esistenza e l'aiuti a crescere nella ricerca del senso e della verità.
La catechesi non può solo offrire contenuti da apprendere ed esperienze da fare.
Deve anche aiutare le persone a comprendersi, a giudicare cristianamente se stessi, gli altri e le relazioni umane.
In una parola, a forgiare una mentalità di fede.
In merito, i contributi insistono su alcuni punti:
- anzitutto, la catechesi sarà per tutti e per ogni stagione della vita ( dai piccoli ai ragazzi, dai giovani agli adulti ) e dovrà assumere il carattere di « accompagnamento mistagogico », valorizzando i tempi dell'anno liturgico che potrebbe diventare un vero e proprio « itinerario di fede »;
- sarà offerta in tutte le situazioni dell'esistenza ( per la nascita, per le nozze, per l'accompagnamento delle famiglie, anche in preparazione alla morte );
- sarà fatta da operatori responsabili, perché maturi spiritualmente e preparati dottrinalmente, ma dovrà coinvolgere senz'altro la famiglia: il ruolo della famiglia appare come primario e, perciò, la pastorale familiare dovrà immaginare percorsi catechetici seri per preparare i genitori a recuperare questa loro significativa vocazione nella Chiesa.
Quella dei « genitori catechisti » è un'opzione condivisa da tutti, per superare quell'eccesso di delega con il quale le famiglie evadono un « dovere » che è loro proprio;
- dovrà essere una catechesi orientata al sociale, allo scopo di evitare il rischio della presentazione della fede come un fatto intimistico ed evadente rispetto ai drammi della vita umana: un più forte legame tra catechesi e opere della carità ( anche sociale ) deve essere perseguito e reso visibile, così come anche quello con la liturgia.
Alla formazione di cristiani adulti - secondo le esigenze imposte dalla trasmissione della fede oggi - non può bastare la catechesi, che è comunque una base indispensabile.
L'interazione matura con il mondo esige infatti cristiani culturalmente preparati, consapevoli, capaci di manifestare le proprie opinioni, sapendole motivare perché risultino convincenti.
Questa « alta istruzione cultural e» si impone soprattutto per le grandi questioni poste dall'utilizzo della tecnologia sulla vita umana e sull'ambiente, e appare assolutamente indispensabile per quanti operano nei campi del sociale e della politica, specie se hanno ruoli pubblici rilevanti: la capacità di agire da credenti nei diversi settori dell'esistenza umana è sempre più necessaria per la tradizione cattolica, la cui trasmissione deve fare i conti con le sfide poste dai diversi saperi scientifici, che in modo forte e pervasivo determinano la mentalità della gente comune.
In questo orizzonte si evidenzia l'importanza pastorale del lavorio da svolgere nelle scuole e nelle università, nel mondo della comunicazione e in tutte le istituzioni culturali e di istruzione: l'annuncio cristiano e la proposta formativa della Chiesa non possono mancare là dove i ragazzi e i giovani crescono nella conoscenza, acquisiscono linguaggi e abitudini, rielaborano le idee ricevute in famiglia e incrementano la loro capacità di giudizio critico sulla realtà.
In modo del tutto particolare sono coinvolte in questo lavoro le istituzioni culturali e formative cattoliche nelle quali si possono trasmettere con intelligenza e motivazione le convinzioni proprie del cristianesimo sulla vita, la società, la cultura, sulla convivenza tra i popoli.
In un contesto di pastorale integrata, le scuole cattoliche devono lavorare in sinergia con le parrocchie, così come i docenti cattolici e le associazioni cattoliche degli insegnanti devono sinfonicamente lavorare in un progetto educativo di grande respiro culturale, aperto al territorio, cui non può mancare la competenza degli insegnanti di religione cattolica e - una volta consolidate nuove figure pastorali - degli « animatori della cultura e della comunicazione ».
È unanime il riconoscimento della necessità di riprendere con maggior vigore e ardore il compito educativo, da parte di tutti ( educatori, genitori, insegnanti, professori ), nella proposta di un modello educativo che metta al centro l'uomo e i valori umani, superando la deriva tecnicista della nostra civiltà.
D'altra parte, nella società pluralista, l'elaborazione di un modello educativo « alternativo » non dovrebbe essere visto come una chiusura integrista, ma piuttosto come una ricchezza, per il diritto di ognuno di scegliere come educare i propri figli.
Vanno incoraggiate, in questo senso, tutte quelle iniziative che propongono un'educazione continuativa della persona, dall'infanzia all'università.
Adeguatamente formato e istruito, il cristiano potrà far valere la propria competenza, e offrire il proprio contributo in ogni settore dello scibile umano, nella valorizzazione di tutti i linguaggi, con i quali si trasmette il sapere e si può trasmettere la fede: si pensi all'arte, alla musica, al cinema, ma anche agli strumentì, di comunicazione di massa, da usare saggiamente.
Qui infatti non si distingue spesso tra messaggio e linguaggio, e la possibilità di un degrado valoriale nella comunicazione delle esperienze è sempre alle porte, mentre il mezzo risulta essere efficace nella produzione di mentalità e nell'orientamento del giudizio delle persone, fino talvolta al rischio della manipolazione delle coscienze.
In tutto, appare indispensabile una più diffusa formazione teologica: è assolutamente scontata - benché ancora non sufficientemente compresa - l'importanza delle facoltà teologiche, delle scuole superiori di scienze religiose, dei centri in cui si fa ricerca scientifica in teologia.
La possibilità di far rifiorire nelle Diocesi le scuole di formazione teologica, insieme a quelle di formazione al sociale e alla politica, magari con un maggiore coordinamento, fa ben sperare per il futuro.
Una volta superato il pregiudizio, purtroppo acriticamente condiviso da molti e spesso non senza ragioni, che la teologia sia solo elucubrazione astratta, senza riferimento pastorale, è auspicabile una sua valorizzazione persino nelle parrocchie, affinché la fede sia « anche pensata » e perciò spiritualmente motivata.
Le prospettive delineate contengono anche chiare e concrete indicazioni per la vita ecclesiale.
Tra le molte proposte, evidenziarne in sintesi quelle più ricorrenti nei contributi delle Diocesi e degli organismi ecclesiali.
- Fare un saggio uso, nella trasmissione culturale e della fede, di tutti gli strumenti oggi a disposizione: dalle comunicazioni di massa al linguaggio dell'arte, della musica, del cinema.
- Affrontare con coraggio il necessario rinnovamento dei percorsi dell'iniziazione cristiana, anche mediante sperimentazioni, tra cui il ritorno all'antica sequenza: battesimo, confermazione, confessione, Eucaristia.
- Purificare le forme della devozione popolare, superando però ogni latente e facile tentazione di perfezionismo spirituale e organizzativo.
La Chiesa non può rinunciare alla sua connotazione popolare e deve continuare ad alimentare la speranza di tutti.
- Favorire il sorgere di « luoghi di profezia » in cui ascoltare le richieste e le domande, i rimproveri e le attese, i contrasti e le promesse; luoghi di confronto e di analisi, di ricerca e di dialogo, di proposta di amore e di speranza.
- Riproporre il valore delle storie e delle tradizioni locali.
- Creare sinergie e occasioni di dialogo e di confronto con le famiglie e le altre istituzioni educative.
- Dotarsi di nuovi mezzi di comunicazione sociale, senza però trascurare la relazione interpersonale che rimane sempre e comunque il luogo privilegiato per la trasmissione della fede.
- Adeguare il linguaggio dell'annuncio, così che sia comprensibile a chi ascolta e sia capace di raggiungerne la vita.
- Valorizzare la presenza dei docenti di religione nella scuola, investendo nella loro formazione.
- Valorizzare gli anziani nei percorsi educativi delle comunità.
- Promuovere occasioni di dialogo ecumenico nella pastorale ordinaria.
- Potenziare i luoghi della ricerca e del confronto, stimolando il dialogo con altre esperienze culturali e religiose.
- Rilanciare tutte le forme di aggregazione e le realtà educative per i giovani, mettendole in rete tra loro.
- Formare nuove figure educative, capaci di essere interpreti e mediatori culturali.
- Diffondere e qualificare la figura pastorale dell'animatore della cultura e della comunicazione.
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