Io ho scelto voi |
Anche il rapporto tra genitori e figli può costruirsi in una logica nuova.
Paolo raccomanda alle famiglie dei credenti: "Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché quest'o è giusto …
E voi padri non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell'educazione e nella disciplina del Signore" ( Ef 6,1.4 ).
A tutti, dentro la famiglia cristiana, è offerto un dono e un criterio sempre nuovo: vivere i legami familiari "nel Signore".
Ciò significa che nelle vicende quotidiane, come pure nei momenti importanti della vita di famiglia, ad ispirare il comportamento di tutti i membri dev'essere l'amore del Signore: la solidarietà nelle difficoltà e nella gioia, il servizio reciproco, lo sforzo e la fatica di convertirsi e di crescere insieme, la capacità di comprensione e di perdono che egli ci ha donato.
Il dono e l'impegno della comunione offre strade nuove per la stessa vita sociale, che tante volte crea lotta e divisione.
Nella situazione sociale del suo tempo, a noi oggi per tanti versi incomprensibile, parlando del rapporto tra padroni e schiavi, Paolo afferma: "Voi sapete, infatti che ciascuno, sia schiavo che libero, riceverà dal Signore secondo quello che avrà fatto di bene" ( Ef 6,8 ); ed ancora, sia per gli schiavi come per i padroni: "c'è un solo Signore nel cielo, e non v'è preferenza di persone presso di lui" ( Ef 6,9 ).
Le parole dell'apostolo possono ispirare la ricerca di modi nuovi con cui inserirsi oggi nella vita sociale.
Di fronte alla tentazione, sempre insorgente, di valutare le persone per il compito che svolgono, riservando l'ossequio ai potenti e dimenticando gli ultimi, occorre ricordare che Dio guarda alla persona, senza distinzione di ruoli, e che egli solo giudica con verità la vita di ogni uomo.
In un mondo in cui la scelta o la possibilità di un lavoro e di una professione ci viene prospettata coi criteri del potere, del guadagno e della posizione sociale, occorre che quanti sono amanti della pace scelgano e vivano il lavoro come luogo di solidarietà e di autentica promozione umana.
L'incontro di due persone non può esaurire tutta la tensione verso la socialità.
Ci sono rapporti più complessi ed ampi, che ci inseriscono in una società e che legano istituzioni e popoli fra loro.
Una convivenza pacifica richiede di essere stabilita su un ordine fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla carità e posto in atto nella libertà.
È il messaggio di Giovanni XXIII.
"Gli esseri umani, essendo persone, sono sociali per natura.
Sono nati quindi per convivere e operare gli uni a bene degli altri.
Ciò domanda che la convivenza umana sia ordinata, e quindi che i vicendevoli diritti e doveri siano riconosciuti e attuati; ma domanda pure che ognuno porti generosamente il suo contributo alla creazione di ambienti umani in cui diritti e doveri siano sostanziati da contenuti sempre più ricchi.
La dignità di persona propria di ogni essere umano esige che esso operi consapevolmente e liberamente.
Per cui nei rapporti della convivenza i diritti vanno esercitati, i doveri vanno compiuti, le mille forme di collaborazione vanno attuate specialmente in virtù di decisioni personali; prese cioè per convinzione, di propria iniziativa, in attitudine di responsabilità, e non in forza di coercizioni o pressioni provenienti soprattutto dall'esterno.
Una convivenza fondata soltanto sui rapporti di forza non è umana.
In essa infatti è inevitabile che le persone siano coartate o compresse, invece di essere facilitate e stimolate a sviluppare e perfezionare se stesse.
Ed è inoltre una convivenza vivificata e integrata dall'amore, atteggiamento d'animo che fa sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui, rende partecipi gli altri dei propri beni e mira a rendere sempre più vivida la comunione nel mondo dei valori spirituali; ed è attuata nella libertà, nel modo cioè che si addice alla dignità di esseri portati dalla loro stessa natura razionale ad assumere la responsabilità del proprio operare". ( Pacem in terris, 16-18 )
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