Io ho scelto voi |
Ad animare le nostre comunità cristiane c'è un prete.
La sua figura ci è familiare, con le sue doti e i suoi limiti, con la sua ricchezza umana e con le sue povertà.
E uomo tra gli uomini, fratello tra fratelli credenti.
Eppure lo sentiamo impegnato ad annunciarci il Vangelo di Dio, lo vediamo presiedere le nostre celebrazioni eucaristiche e concedere il perdono nel nome di Cristo.
È apparentemente solo, ma si fa presente nella vita di tante persone: giovani e adulti, famiglie e gruppi, ammalati e poveri.
Educa alla fede, rafforza nella speranza, stimola all'impegno nella carità.
Qual è il significato della sua presenza? Che cosa caratterizza la sua testimonianza e la sua missione?
Cristo, che è il Capo e il Salvatore della sua Chiesa, vuole rimanere presente in essa e continuare ad esercitarvi la sua azione di salvezza.
Non vuole farlo però in modo invisibile, ma in modo umano.
Per questo associa a sé degli uomini che egli chiama con particolare amore e che, con il sacramento dell'Ordine, configura a sé, pastore e guida del suo popolo.
Egli, che si è fatto servo di tutti rivelando la parola di Dio, offrendo la sua vita perché il mondo abbia la vita, raccogliendo gli uomini in unità nella Chiesa, vuole che questo suo servizio sia visibile in ogni tempo attraverso il ministero ordinato.
La pienezza del sacramento dell'Ordine è donata al vescovo, successore degli apostoli, pastore della Chiesa particolare.
A lui è affidato il servizio di presiedere e guidare il popolo di Dio, attraverso l'insegnamento della Parola, i gesti che santificano, il governo della comunità.
I vescovi sono uniti tra loro come in un unico corpo, attorno e sotto la guida del vescovo di Roma, il Papa, che garantisce l'unità della fede e della carità per tutte le Chiese disperse nel mondo.
I presbiteri vivono in stretta comunione con il loro vescovo e, in forza dell'Ordine sacro, sono configurati a Cristo pastore e inviati in mezzo ai fedeli come primi e diretti collaboratori del ministero episcopale.
La figura e la missione del prete sono delineate nelle parole che il vescovo pronuncia all'inizio della liturgia dell'ordinazione di un presbitero: "Noi stiamo per elevare all'ordine dei presbiteri questo nostro fratello, perché al servizio di Cristo maestro, sacerdote e pastore cooperi a edificare il corpo di Cristo, che è la Chiesa, in popolo dì Dio e tempio santo dello Spirito.
Egli sarà infatti configurato a Cristo sommo ed eterno sacerdote, ossia sarà consacrato come vero sacerdote del Nuovo Testamento, e a questo titolo, che lo unisce nel sacerdozio al suo vescovo, sarà predicatore del Vangelo, pastore del popolo di Dio, e presiederà le azioni di culto, specialmente nella celebrazione del sacrificio del Signore".
A significare e a rendere concreti la propria configurazione a Cristo e il dono di sé ai fratelli, il prete si impegna a vivere nel celibato, rinunciando a una propria famiglia in vista di una paternità spirituale che non ha limiti.
A questa identità e funzione del prete deve corrispondere uno stile e un progetto di vita.
Se egli è annunciatore della parola di Dio nel nome di Cristo, deve diventarne il primo ascoltatore, attento e disponibile.
Non è il padrone della Parola, ma l'amministratore fedele.
Sa di portare un tesoro grande nel vaso fragile della sua povera umanità.
Aiuta i suoi fratelli a divenire testimoni del Vangelo nei diversi ambienti e nelle differenti condizioni di vita: ecco la sua presenza animatrice tra i catechisti, tra i genitori, primi educatori della fede dei figli, tra quanti, in varie forme, vogliono servire il Vangelo.
Se concede il perdono nel nome di Cristo, deve educarsi alla misericordia stessa di Gesù e farsi strumento di riconciliazione tra gli uomini.
Poiché presiede l'Eucaristia, è chiamato a vivere più da vicino ciò che celebra.
La morte di Gesù deve entrare nella sua vita, per dargli la forza di essere offerta d'amore a Dio, a totale servizio dei fratelli. il pane eucaristico che spezza gli chiede di saper condividere con tutti ciò che egli è e quanto possiede.
Se, nel nome di Cristo, guida ed edifica la comunità cristiana, deve farsi uomo della comunione.
Con la sua azione educatrice riconosce e stimola i doni che Dio concede a ciascuno e ai singoli gruppi.
Esorta tutti a mettere questi doni a servizio della crescita della comunità.
Non spadroneggia su quanti Dio gli ha affidato e non assorbe in sé i compiti che Dio ha concesso ad altri.
Lo scopo del suo servizio di guida è di rendere tutti protagonisti nella Chiesa, in particolare i più poveri e i più deboli.
Nelle tensioni e di fronte al pericolo di divisioni, il prete richiama i singoli e i gruppi al desiderio dell'unità, al primato della carità di Cristo, al di là di ogni diversità.
È un compito grande questo!
Talvolta la debolezza umana può offuscare la trasparenza della testimonianza.
"Ci ha scelti lui - confessa un prete dei nostri tempi, don Primo Mazzolari - e ci ha scelto così, come siamo …
Chiunque ci guardi e come ci guardi, ha sempre dei motivi per trovarci indegni …
Con la nostra statura di piccoli uomini facciamo la prospettiva all'infinito".
Come nasce la vocazione ad essere prete? Non da calcoli o da desideri umani.
Essa è dono dell'amore di Cristo, ma i suoi inizi possono avere radici lontane: la testimonianza di un prete, l'apertura ai bisogni della comunità cristiana, un impulso generoso alla dedizione verso i fratelli …
Nulla va lasciato perdere, mascherandosi dietro la paura: Dio chiama proprio me?
Tutto va tenuto vivo nel cuore, vagliando la proprie doti, consigliandosi con persone esperte.
La vocazione può crescere nell'impegno a conoscere e ad amare Cristo, nella maturazione di un profondo senso della Chiesa.
Il lungo cammino di studio e di preparazione non deve spaventare: ogni grande impresa esige pazienza e coraggio.
Alla fine, l'imposizione della mani da parte del vescovo riconoscerà definitivamente questo grande dono di Dio per la sua Chiesa.
Vescovi e presbiteri devono essere una sola cosa con Gesù, il buon pastore, che ha amato il suo gregge fino al dono della vita.
Così insegna s Tommaso d'Aquino ( 1225-1274 ).
"Io sono il buon pastore" ( Gv 10,11 ).
A Cristo compete chiaramente di essere pastore.
Infatti, come il comune gregge viene guidato e pascolato dal pastore, così i fedeli sono ristorati da Cristo con un cibo spirituale, con il suo corpo e il suo sangue …
Ma siccome Cristo ha detto che il pastore entra per la porta e che egli è la porta, mentre qui dice di essere il pastore, ne segue che egli entra attraverso se stesso … perché rivela se stesso e per se stesso conosce il Padre …
Nessuno dice di sé di essere la porta.
Questo, Cristo lo riservò solo per se stesso.
Mentre partecipò ad altri il compito di essere pastori …
"Vi darò, dice la Scrittura, pastori secondo il mio cuore ( Ger 3,15 ).
Sebbene, infatti, i capi della Chiesa, che sono suoi figli, tutti siano pastori, tuttavia dice di esserlo lui in modo singolare: "Io sono il buon pastore", allo scopo di introdurre con dolcezza la virtù della carità.
Non si può essere infatti buon pastore se non diventando una cosa sola con Cristo e suoi membri mediante la carità.
La carità è il primo dovere del buon pastore, perciò dice: "Il buon pastore offre la vita per le pecore" ( Gv 10,11 ).
Infatti c'è differenza tra il buono e il cattivo pastore: il buon pastore ha di mira il vantaggio del gregge, mentre il cattivo il proprio.
Nei guardiani delle pecore non si esige che, per essere giudicati buoni, espongano la propria vita per la salvezza del gregge.
Ma siccome la salvezza del gregge spirituale ha maggior peso della vita corporale del pastore, quando incombe il pericolo del gregge ogni pastore spirituale deve affrontare il sacrificio della vita corporale.
Questo dice il Signore: "Il buon pastore offre la sua vita per le sue pecore".
Egli consacra a loro la sua persona nell'esercizio dell'autorità e della carità.
Si esigono tutte e due le cose che gli ubbidiscano e che le ami.
Infatti la prima senza la seconda non è sufficiente.
Cristo ci ha dato l'esempio di questo insegnamento: "Se Cristo ha dato la sua vita per noi, anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli" ( 1 Gv 3,16 )". ( Esposizione su Giovanni, 10,3 )
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