Se tu conoscessi il dono di Dio ( Gv 4,10 )
Messaggio dell'Arcivescovo di Torino per l'Avvento 2004
Carissimi,
il tempo di Avvento, che dà inizio ad un nuovo anno liturgico, mi offre l'occasione di rivolgermi a tutti voi con questo breve Messaggio, per rinnovarvi l'augurio della vita cristiana: "In ogni cosa rendete grazie". ( 1 Ts 5,18 )
Nell'anno pastorale dedicato all'Eucaristia celebrata nel Giorno del Signore, l'invito a fare di ogni cosa una Eucaristia vivente è particolarmente importante.
Sappiamo bene come questo possa risultare difficile: di fronte ai tanti motivi di preoccupazione e di tribolazione personale e sociale, come conservare lo spirito della gratitudine e della pace?
E tuttavia, come preghiamo nella Messa, "è veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie a Dio Padre, sempre e in ogni luogo", non perché le cose vadano sempre bene, ma per quest'unico motivo: Gesù Cristo.
Egli è la nostra Pace, Colui che ci dona di vivere "lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera". ( Rm 12,12 )
In una parola: riconciliati.
Del dono della riconciliazione tutta l'umanità ha bisogno: le Nazioni in guerra, le famiglie esposte alla tentazione della separazione e dell'egoismo, le nostre esistenze personali, spesso lacerate da conflitti interiori, le nostre comunità.
È un dono che Dio Padre ha messo nelle mani della Chiesa, e che sgorga come da una sorgente dalla celebrazione eucaristica e da tutti i sacramenti, in particolar modo da quello della Riconciliazione o Penitenza.
Questo dono, diciamocelo con coraggio, rischiamo di riceverlo con superficialità e leggerezza: sia quando partecipiamo alla Messa senza una seria disponibilità alla riconciliazione con Dio e con i fratelli, sia tralasciando il sacramento della Penitenza.
Ecco perché dobbiamo guardare a Gesù.
Quanti gli episodi evangelici nei quali il Signore apre strade di vita nuova a chi proprio davanti a Lui prende coscienza del proprio bisogno di conversione!
Pensiamo in particolare all'incontro con la donna samaritana. ( Gv 4 )
Un incontro in cui Gesù si fa vicino a questa donna, segnata dal peccato e dagli errori della vita, sedendole accanto, chiedendole da bere, per poi offrirle l'acqua viva della misericordia del Padre.
L'incontro con Cristo risveglia poco alla volta la coscienza di quella donna, la quale riconosce la gravità dei suoi peccati, per arrivare poi a scoprire che il Messia era Lui stesso, lì presente proprio per donarle la possibilità di ricominciare una vita nuova.
All'inizio di quel colloquio, Gesù per aiutarla ad avere fiducia in Lui, in quanto l'aveva attesa per donarle la misericordia divina, afferma: "Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva". ( Gv 4,10 )
Questa parola non smette di interpellare la Chiesa intera: "Se tu conoscessi il dono di Dio!".
Se tu apprezzassi in tutta la sua profondità quanto avviene nella celebrazione dell'Eucaristia e del sacramento della Penitenza, certamente vivresti in un continuo rendimento di grazie per la grandezza del suo dono.
Cosa si nasconde dietro l'eccessiva facilità con cui un certo numero di cristiani si accosta alla Santa Comunione senza mai confessarsi, talvolta giustificando questa scelta anche in una situazione di peccato grave?
Cosa si nasconde dietro la crisi di frequenza al sacramento della Penitenza?
Rispondo con una prima considerazione: nella coscienza di molti fedeli il sacramento della Riconciliazione non appare a sufficienza come un sacramento liberante, ma piuttosto come un "dovere" che limiterebbe la libertà, in quanto obbliga a confrontarsi con una serie precisa di norme morali.
Un peso, più che un dono.
Questa difficoltà segnala una crisi della morale e della fede: il senso del peccato viene considerato da molti come frutto di condizionamenti ambientali o di tabù da cui sbarazzarsi in vista della propria realizzazione personale.
Dilaga un relativismo morale per cui ciascuno tende a farsi le proprie regole di comportamento e ci si adegua facilmente alla mentalità del mondo.
Così, quando ci si confessa, il rischio è di farlo senza un serio coinvolgimento personale, per cui non si sa cosa dire di importante, dal momento che troppo facilmente si separa la fede dalla vita.
Si può così creare la situazione assurda di cristiani che dopo mesi o anni non riescono a trovare alcunché di sbagliato nei loro comportamenti.
Allo stesso tempo, accade che la Comunione eucaristica sia considerata un diritto personale e una questione privata tra il fedele e il Signore, e non un fatto ecclesiale.
In questa fede "fai da te" la Chiesa rischia di essere vista come una istituzione ingombrante e non anzitutto come il luogo dell'incontro vivo con la persona di Gesù Cristo.
Come reagire a questo impoverimento?
A nulla vale la denuncia dello smarrimento di qualcosa di essenziale se questo non ci spinge ad annunciare con maggiore forza, con la voce e con la vita, l'enorme ricchezza della misericordia di Dio.
Qui sta il punto decisivo: solo l'incontro con Dio può generare la fede.
Soltanto con la sua Luce possiamo illuminare la nostra vita e vedere il nostro peccato.
È solamente l'annuncio della sua infinita misericordia che può far comprendere il senso profondo della Penitenza come sacramento di riconciliazione personale ed ecclesiale e dell'Eucaristia come il sacramento dei riconciliati.
Da qui dobbiamo ripartire per tornare ad apprezzare i sacramenti della Chiesa in tutta la loro serietà.
Al cuore del mistero eucaristico, così come al cuore di tutti i sacramenti, c'è l'infinita misericordia del Padre, che "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna". ( Gv 3,16 )
Tutta la vita di Gesù è rivelazione dell'amore del Padre: un amore che attende con pazienza ogni occasione per poterci offrire il suo perdono e festeggiare il nostro ritorno a Lui.
- Come non ricordare le tre straordinarie parabole della misericordia riferite dal Vangelo di Luca?
Il racconto della pecora smarrita, della dramma perduta e del Padre buono che accoglie il figlio prodigo, che si era allontanato da casa sperperando tutti i beni e perdendo la sua stessa dignità umana, è un insegnamento commovente perché ci rivela come la grazia del perdono sgorghi dal cuore di Dio, ricco di misericordia, in modo così prodigioso e totalmente gratuito.
Queste parole: "Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione" ( Lc 15,7 ) sarebbero per noi incomprensibili, se non fossero uscite dalla bocca stessa di Gesù!
- Nell'ultima Cena, Gesù ha raccolto tutta la sua vita nel gesto dell'Eucaristia, con il quale ha anticipato il dono sacrificale della sua Pasqua, svelandone il senso: quel pane e vino condivisi sono il suo corpo donato, il suo sangue versato per la remissione dei peccati.
L'invito "Fate questo in memoria di me" fonda la possibilità per noi di immergerci nella Pasqua di Cristo, unica sorgente di riconciliazione.
- Nella sua morte e risurrezione, Gesù ha riconciliato il mondo al Padre.
Il suo corpo sospeso sulla croce diventa la realizzazione di un'Alleanza perenne tra il cielo e la terra.
Le sue braccia distese diventano il dono di un abbraccio fraterno, sempre disponibile.
Da allora esse restano spalancate per ogni uomo e donna che decide di tornare alla casa del Padre.
Risorto dai morti, il Signore Gesù appare nel cenacolo, la sera del primo giorno dopo il sabato ( la domenica ).
Dopo aver salutato gli apostoli con l'augurio e il dono della pace, alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". ( Gv 20,22-23 )
Da allora la Chiesa è il grande sacramento della riconciliazione con Dio, con i fratelli, con la creazione.
- In virtù dell'azione dello Spirito la Chiesa prolunga la presenza e l'azione salvifica di Cristo.
Con l'annuncio della Parola e con la testimonianza della vita essa manifesta il dono della Riconciliazione e insieme invita ad accoglierlo: "Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio". ( 2 Cor 5,20 )
Nella celebrazione dei sacramenti, le nostre mani si aprono a ricevere il dono dalle sue braccia aperte: nel Battesimo, sacramento della riconciliazione per eccellenza, nell'Eucaristia, che ci fa entrare sempre più nella comunione ecclesiale con il Padre e nel sacramento della Penitenza, che rinnova la grazia del Battesimo e ci inserisce nuovamente nella comunione dei riconciliati.
In questo anno pastorale, come è noto, abbiamo programmato di impegnarci in modo particolare per vivere bene il Giorno del Signore e per far diventare la Celebrazione eucaristica domenicale il momento fondamentale della vita cristiana.
Il mio Messaggio all'Arcidiocesi per la Quaresima passata aveva come titolo "Una sola cosa è necessaria", espressione scelta per sottolineare l'idea che l'Eucaristia nel Giorno del Signore è veramente il cuore della vita della Chiesa.
Dicevo anche che una vera semplificazione dei tanti impegni pastorali, che talvolta affliggono i sacerdoti e i loro collaboratori, è una cosa non solo possibile, ma anche opportuna se è finalizzata a concentrare le nostre forze per realizzare una più qualificata partecipazione alla S. Messa festiva.
Ora vorrei invitarvi a riflettere sull'Eucaristia come sorgente e culmine di Riconciliazione e quindi anche a ricuperare stima nei confronti del sacramento della Penitenza al fine di valorizzarlo maggiormente per il progresso della nostra vita cristiana.
Ogni volta che partecipiamo all'Eucaristia noi riceviamo il dono del Corpo di Cristo, offerto in sacrificio per noi, e il calice del suo Sangue versato per il perdono dei nostri peccati.
Inoltre ci viene donato lo Spirito, che ci riconcilia nella comunione dell'unico Corpo di Cristo.
L'Eucaristia, dunque, fa la santità e la comunione della Chiesa.
Quanto più ci convinciamo che l'Eucaristia è "sorgente e culmine di tutta la vita cristiana" tanto più dobbiamo prendere coscienza che ci dobbiamo accostare ad essa con le dovute disposizioni, la prima delle quali è quella di essere in grazia di Dio, cioè senza peccati gravi nella coscienza.
Già San Paolo richiamava con parole forti il dovere di non profanare questo grande sacramento con un atto sacrilego: "Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore.
Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna". ( 1 Cor 11,27-29 )
Il Santo Padre Giovanni Paolo II nella sua recente Lettera Enciclica sull'Eucaristia ha richiamato questa primaria condizione per accostarsi con frutto alla santa Comunione: «Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione dell'apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione dell'Eucaristia, si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale».1
Perché alcuni cristiani non comprendono questa norma così chiara?
Probabilmente a causa di una visione individualistica del rapporto con Dio e quindi della Messa, che non coglie in profondità la dimensione ecclesiale della Comunione eucaristica.
La Chiesa è certamente composta di peccatori e quindi continuamente bisognosa di perdono: non a caso il primo passo entrando nella Celebrazione Eucaristica è un passo indietro, per invocare la misericordia di Dio sui nostri peccati.
E tuttavia l'Eucaristia manifesta già la comunione visibile dei redenti e dei salvati all'unico e indiviso corpo di Cristo.
Una partecipazione superficiale in una situazione di peccato grave o in una condizione di vita oggettivamente non conforme al Vangelo rompe l'unità del corpo di Cristo, di cui l'Eucaristia è sorgente e culmine.
Laddove questo sia possibile, la Riconciliazione sacramentale rappresenta la via ordinaria alla piena comunione ecclesiale manifestata dall'Eucaristia.
L'infinita grandezza dell'amore di Dio, che si manifesta con totale gratuità nel suo perdono, ci deve riempire il cuore di stupore riconoscente.
Dio ci perdona non perché noi ce lo meritiamo, ma perché Lui è buono.
È molto difficile amare una persona quando rivela tutte le sue debolezze e i suoi difetti.
Proprio questo ha fatto il Figlio del Padre quando, come buon Pastore, si è caricato sulle spalle la pecorella smarrita, che siamo tutti noi.
Nella misura in cui ci lasciamo amare da Dio e ci immergiamo nella Pasqua di Gesù Cristo, noi siamo liberati dalla morsa del male perché d'ora in poi le nostre fragilità e i nostri peccati non saranno più l'ultima parola sulla nostra vita.
L'ultima parola spetta all'amore di Dio che con la risurrezione di Gesù ha realizzato la vittoria definitiva sul peccato e sulla morte.
La consapevolezza di questo grande dono ci stimola a rilanciarne la pratica, superando le difficoltà che la Confessione può creare in tante persone: l'imbarazzo e il disagio nel confessare ad un altro uomo le nostre debolezze e i nostri peccati, la difficoltà nel comprendere la necessità di ricevere l'assoluzione passando attraverso la mediazione di un sacerdote, la paura di un giudizio di condanna, l'incapacità di un serio esame di coscienza, la fatica ad accogliere le leggi di Cristo e della Chiesa, senza avere alle spalle una seria formazione della propria coscienza.
A tale proposito, possono essere di aiuto alcune considerazioni:
a) Molti cristiani si portano dentro una concezione "riduttiva" della Confessione, perché si preoccupano più di ciò che loro devono dire o di che cosa dirà loro il confessore, piuttosto che pensare a Colui che incontrano veramente nel sacramento.
La Confessione non è in primo luogo, come molti pensano, il bucato dell'anima, ma un incontro personale col Signore che ci accoglie con infinito amore.
Quando l'attenzione prevalente della mente e del cuore è concentrata su ciò che fa Dio per noi, allora la Confessione diventa più facile e maggiormente desiderata.
b) Anche il disagio di dover dire ad un altro uomo le nostre debolezze e i nostri peccati può essere superato nella misura in cui impariamo a vedere nel sacerdote un ministro della misericordia di Dio, che agisce come se fosse Cristo stesso.
Inoltre è utile ricordare che il sacerdote, dinanzi al quale facciamo la nostra accusa dei peccati e sui quali è tenuto a mantenere sempre un rigorosissimo segreto, è anche lui un povero peccatore come tutti.
E se vuole ottenere la misericordia di Dio dovrà, pure lui, inginocchiarsi accanto ad un confessore per manifestargli a sua volta i propri peccati.
c) In fin dei conti è la fede che deve entrare in gioco per farci accettare che il perdono ci venga dato dai ministri ordinati della Chiesa, ai quali Gesù ha affidato il compito di rimettere i peccati a suo nome.
Questo percorso ci aiuta a vedere la dimensione ecclesiale sia del peccato come della riconciliazione: il peccato infatti è un danno per tutta la Chiesa, anzi per l'umanità intera, mentre la riconciliazione è un dono che rimargina le nostre ferite morali ed arricchisce il nostro patrimonio di grazia e di santità a vantaggio di tutti.
d) Come non vedere infine, in questo percorso, la particolare delicatezza di Dio, che viene incontro al naturale e legittimo bisogno del cuore umano di aprire l'animo a qualcuno quando si ha qualcosa che pesa sulla coscienza, e di sentire su di sé lo sguardo compassionevole del Padre?
Anche se dobbiamo sottolineare che la Confessione non è riducibile ad una semplice ricerca di autoliberazione psicologica, tuttavia non è indifferente che il Signore abbia stabilito che il suo perdono arrivasse a noi attraverso la parola e lo sguardo di un uomo.
Inoltre la confessione fatta al ministro della Chiesa ci dà il segno certo del perdono ottenuto quando noi sentiamo con le nostre orecchie le parole: "Io ti assolvo dai tuoi peccati …".
Se uno si rivolgesse direttamente a Dio per chiedere perdono, come molti pensano di poter fare, non riceverebbe questo "segno" e quindi non potrebbe avere la certezza del perdono.
a) Per un cristiano il sacramento della Penitenza è la via ordinaria per ottenere il perdono e la remissione dei suoi peccati gravi commessi dopo il Battesimo.
Però non si deve ricorrere a questo sacramento solo quando ci si trovasse in peccato mortale.
È opportuna la Confessione frequente e regolare anche per ottenere il perdono dei peccati veniali e soprattutto per ricevere la grazia divina della conversione del cuore, al fine di percorrere con maggior convinzione la strada della santità.
Se poi il confessore diventa anche il nostro "Direttore spirituale" la ricchezza del dono si fa più grande perché ci sentiamo accompagnati e sostenuti in quel cammino di perfezione che è richiesto ad ogni cristiano come risposta generosa all'amore senza limiti che Dio ha dimostrato verso tutti.
b) Anche se in questo sacramento la vera essenza è l'atto salvifico di Cristo che ci dona nello Spirito la misericordia del Padre, tuttavia hanno grande valore anche i cosiddetti "atti del penitente", cioè quello che è richiesto a noi come condizione per fare una buona Confessione.
Merita ricordarli brevemente:
innanzitutto l'esame di coscienza che ci fa conoscere la nostra vera situazione spirituale del momento e ci dispone ad un'accusa realistica e non ripetitiva o, peggio, incompleta;
poi la contrizione, cioè il pentimento vero per i nostri peccati con il desiderio sincero di non ripeterli più;
c'è poi l'accusa dei peccati fatta al confessore: essa deve essere per i peccati gravi completa, indicando anche specie, numero ed eventualmente circostanze aggravanti;
momento essenziale del Sacramento è poi l'assoluzione impartita dal sacerdote, il quale con il gesto dell'imposizione della mano sul capo e con il segno della croce accompagnato dalle parole: "Io ti assolvo dai tuoi peccati …" manifesta che in quel momento il peccatore pentito entra in contatto con la potenza salvifica e misericordiosa di Dio;
l'atto finale è la soddisfazione, chiamata anche penitenza, che il confessore prescrive al penitente e che questi deve accettare e realizzare.
Quest'ultimo atto, oltre che essere ringraziamento a Dio per il perdono ricevuto, ha soprattutto il significato di porre rimedio ai propri peccati cominciando un'esistenza nuova in direzione contraria ai nostri precedenti comportamenti negativi.
c) Una parola desidero infine dire a noi sacerdoti che siamo ministri della Penitenza, ma che dobbiamo anche esserne i beneficiari.
C'è una regola d'oro che mi piace qui ricordare: saremo degli ottimi confessori nella misura in cui riusciamo ad essere buoni penitenti.
Ricordiamo perciò quanto anche per noi ci sia bisogno di questo sacramento per ottenere il perdono dei nostri peccati e fragilità e soprattutto per un costante progresso sulla via della santità cristiana per la quale dobbiamo essere guide e maestri per i nostri fedeli.
Solo chi sperimenta con regolare frequenza su di sé la misericordia infinita di Dio riesce ad esserne un segno convincente nei confronti dei fedeli che si rivolgono a lui per il ministero della Confessione.
Se desideriamo essere buoni confessori dobbiamo coltivare alcuni atteggiamenti importanti: accoglienza, ascolto paziente, comprensione, correzione fatta con dolcezza, incoraggiamento per ogni desiderio di bene, illuminazione delle coscienze con l'esposizione chiara e caritatevole della sana dottrina senza annacquare il Vangelo e senza compromessi, badando però a non spegnere il lucignolo fumigante e a non spezzare la canna incrinata.
Riusciremo ad essere un segno visibile della grande paternità di Dio se insegniamo ai nostri fedeli a non avere paura di Dio, anche quando fossero caduti nei peccati più gravi.
Dio è un Padre che continua ad amarci anche quando gli voltiamo le spalle e ci attende con pazienza fino alla fine della vita per poterci riabbracciare come figli.
La nostra disponibilità di dedicare del tempo a questo ministero deve essere generosa, ma anche nota a tutti.
È necessario perciò indicare orari precisi, affinché i fedeli, nei tempi stabiliti, possano trovarci in chiesa accanto al confessionale.
A questo fine dobbiamo saper valorizzare la collaborazione dei confratelli, specialmente quelli della nostra Unità Pastorale, nella quale sarebbe bene che una chiesa o un santuario assumessero in giorni fissi della settimana la caratteristica di "chiesa penitenziale".
Al termine di questo Messaggio desidero invitarvi ad un ascolto interiore di queste parole del profeta Ezechiele, le quali mettono in evidenza i frutti del dono del cuore nuovo che il Signore ci offre con la sua misericordia: "Allora le genti sapranno che io sono il Signore …quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi". ( Ez 36,23 )
Anche nel nostro tempo l'umanità è in attesa di poter veder risplendere la santità di Dio in noi per avvicinarsi alla verità del Vangelo.
È per questo che dobbiamo accrescere lo splendore della nostra vita purificandola da ogni peccato.
Gesù diceva di se stesso di "essere venuto non per i giusti ma per i peccatori" ( Mt 9,13 ) ed ogni volta che lo incontriamo nel sacramento della Riconciliazione ci rinfranca con queste parole di perdono: "Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati" ( Mt 9,2 ) e "Va' e d'ora in poi non peccare più". ( Gv 8,11 )
Vi accompagno con la mia preghiera ed imploro su ciascuno la ricchezza di questa benedizione:
"Ti benedica il Signore e ti protegga.
Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio.
Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace". ( Nm 6,24-26 )
Con un grande ed affettuoso augurio di bene nella misericordia di Dio.
Torino, 28 Novembre 2004 Prima Domenica di Avvento
+ Severino Card. Poletto Arcivescovo di Torino
1 | Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia 36 |