Comunione, comunità e disciplina ecclesiale |
37. - Non si può parlare del significato della disciplina nel mistero della comunione ecclesiale senza approfondire le implicazioni di questa realtà per la vita morale del cristiano.
Oggi infatti, il rapporto tra la coscienza morale e la disciplina solleva non poche difficoltà.
Lo testimonia il fatto di appellarsi, spesso, proprio alla coscienza per disattendere le indicazioni della disciplina ecclesiale.
Talvolta, anzi, l'appello alla coscienza si configura nei termini di una "obiezione", sollevata non soltanto a proposito di una norma canonica ma anche nei riguardi della stessa legge morale.
Come abbiamo rilevato nell'Introduzione, l'appello alla coscienza risulta non di rado viziato dal soggettivismo: di qui il rifiuto di ogni altra norma che non sia il soggetto stesso.
A sua volta, il soggettivismo è insieme frutto e segno dell'assolutizzazione della libertà, interamente spogliata di un'autentica responsabilità.
In una simile situazione occorre lanciare la sfida di una lettura più matura e critica di queste dimensioni della persona: la libertà, la coscienza e la responsabilità morale; e mettere in luce il loro rapporto con la legge morale, con il servizio del Magistero nella comunità cristiana e con l'intera realtà della disciplina ecclesiale.
38. - Nessuno più del cristiano può e deve amare la libertà, perchè nessuno meglio di lui ne può cogliere il significato profondo.
Come insegna il Vaticano II, la libertà "è nell'uomo segno altissimo dell'immagine divina".34
L'Apostolo Paolo la propone come la mèta stessa della vocazione del discepolo: "Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà" ( Gal 5,13 ).
Ma lo stesso Paolo precisa: "purchè questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri" ( ibid. ).
Tali parole definiscono la libertà non nei termini del "libero arbitrio", ossia d'una capacità di scelta - comunque la scelta possa essere fatta -, bensì nei termini d'una possibilità di scelta che esige di attuarsi secondo la verità della vita cristiana.
La libertà, infatti, non si può comprendere né realizzare se non in riferimento alla verità, che ci è manifestata in pienezza in Cristo: "se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli: conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" ( Gv 8,31 ).
La verità che Cristo mostra ed è ( cfr Gv 14,6 ) rende libero il cristiano perchè gli rivela il progetto di Dio sull'uomo e gli indica la strada per realizzare pienamente la sua esistenza in conformità a questo progetto.
Libertà e verità non sono, pertanto, realtà contrastanti o contraddittorie, così come non lo sono libertà e obbedienza.
Anzi, possiamo affermare che nel cristiano, come in Gesù , la libertà si esprime come obbedienza amorosa alla verità.
La libertà - insegna il Concilio - è rafforzata proprio dall'esercizio dell'obbedienza.35
39. - In questo senso, la libertà si può definire come "responsabilità" nei confronti della verità dell'uomo, così come è pensato, creato e redento da Dio in Gesù Cristo: è libera risposta di amore a una libera chiamata di amore.
E la verità dell'uomo, in fondo, non è che la chiamata alla comunione col Padre in Cristo e, in Lui, con i fratelli: quell'unità nell'amore che è partecipazione alla vita trinitaria stessa del Creatore.
Perciò, la libertà manifesta il suo autentico volto solo nella misura in cui si attua come capacità di risposta a Dio, nel dono sincero e gratuito di sé a Lui e ai fratelli.36
È evidente, allora, che la libertà ha un'intrinseca dimensione sociale, in quanto la persona è chiamata a realizzarsi nella comunione.
Deve quindi continuamente confrontarsi non solo con la verità dell'uomo rilevata in Cristo, ma anche con le concrete esigenze della comunione ecclesiale e del suo cammino di crescita attraverso la storia, nella fedeltà a Cristo e nel costante ascolto del suo Spirito.
40. - Se, in termini generali, il rapporto fra libertà e obbedienza alla verità può non sollevare problemi, tale rapporto incontra delle difficoltà nei casi concreti, di fronte a norme e prescrizioni morali che vogliono esprimere e in qualche modo concretizzare questa verità, ma per le quali il giudizio della propria coscienza sembra poter sollevare delle obiezioni.
In realtà, è proprio nell'intimo della sua coscienza che il cristiano vive e cresce nella sua libertà resposabile, maturando decisioni e scelte in rapporto alla verità dell'uomo rivelata in Cristo e, insieme, in rapporto alla storia di ciascuno, nella sua concreta e irripetibile situazione di vita e nel contesto della società e della cultura in cui si trova inserito.
Diventa allora necessario precisare il concetto di coscienza morale.
Di essa possiamo riprendere ciò che dice la Gaudium et spes: "La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria".37
È infatti grazie alla coscienza che l'uomo "entra in se stesso", scendendo in quel "luogo interiore" che la Bibbia chiama "cuore".
E per entrare in sé l'uomo deve avere il coraggio di restare solo.
Certamente, egli "per sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicitare le sue doti":38 in questo senso ha bisogno degli altri e deve sostenere il confronto con le persone, gli eventi, le situazioni, gli strumenti culturali e scientifici di comprensione dell'uomo.
Eppure, la coscienza si dà proprio quando l'uomo "si trova solo": perchè questa solitudine crea la possibilità di un ascolto e si riempie della presenza di Dio, che parla al cuore di ciascuno.
Per questo il Concilio definisce la coscienza un "sacrario", quasi un tempio spirituale nel quale s'incontrano e dialogano Dio e l'uomo.
41. - La coscienza fa dunque riferimento, nei suoi giudizi e nelle decisioni, a Dio che manifesta all'uomo la verità della sua vocazione di uomo.
In questo senso la Tradizione ha costantemente parlato della "legge" morale ( in cui si esprime la voce di Dio ) come termine di confronto e punto di riferimento oggettivo della coscienza che giudica e decide.
"Nell'intimo della coscienza - scrive la Gaudium et spes - l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: fa questo, fuggi quest'altro.
L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro il suo cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato".39
Questa legge è impressa nel cuore di ogni uomo, è donata da Dio al suo popolo Israele, nell'Antico Testamento, è perfezionata e rivelata in pienezza da Cristo Gesù, ed è interiorizzata nel cuore del credente dalla grazia dello Spirito.40
42. - Coscienza e legge morale non vanno dunque viste come realtà antitetiche.
La coscienza è fatta per scoprire la legge morale e per aderire ad essa.
La legge morale dice alla coscienza ciò che è bene e ciò che è male, ciò che umanizza l'uomo secondo il progetto di Dio e ciò che lo aliena.
Inoltre, la legge compie una funzione pedagogica nei confronti della coscienza: la educa alla verità e al bene, la forma cristianamente e la fortifica, la rende sempre più autenticamente libera e pronta a percepire e seguire la voce dello Spirito.
43. - È importante, poi, sottolineare che il Signore Gesù continua a parlare oggi al cristiano attraverso la Chiesa, alla quale ha donato il suo Spirito di verità.
Per questo la coscienza morale deve essere attenta e prestare ascolto alla voce della Chiesa e in particolare a quella dei Pastori, ai quali il Signore risorto ha affidato il ministero di maestri e dottori dei suo popolo.
In questa prospettiva l'Apostolo Paolo collega il discernimento della verità, al quale la coscienza deve conformarsi, non solo alla voce interiore dello Spirito che guida il credente a una comprensione sempre più profonda delle esigenze del Vangelo ( cfr Rm 12,2; Ef 4,23-24 ), ma anche a un approfondimento che avviene all'interno della comunione ecclesiale, in particolare mediante la "esortazione" ( cfr Rm 12,1 ) apostolica.
La coscienza morale del cristiano vive dunque, e si educa, attraverso l'ascolto della voce dello Spirito, che parla nel suo intimo, e nello stesso tempo attraverso l'ascolto della voce del medesimo Spirito, che parla nella Chiesa e si esprime nel Magistero degli Apostoli e dei loro successori.
In questo senso - come ha precisato Giovanni Paolo II - "poichè il Magistero della Chiesa è stato istituito da Cristo Signore per illuminare la coscienza, richiamarsi a questa coscienza precisamente per contestare la verità di quanto è insegnato dal Magistero comporta il rifiuto della concezione cattolica sia di Magistero che di coscienza morale".41
44. - Circa l'atteggiamento che il cristiano deve avere nei confronti del Magistero della Chiesa, la Lumen gentium afferma: " I Vescovi, quando insegnano in comunione col Romano Pontefice, devono essere da tutti ascoltati con venerazione quali testimoni della divina e cattolica verità; e i fedeli devono accettare il giudizio del loro Vescovo dato a nome di Cristo in materia di fede e di morale, e aderirvi con religioso rispetto".
"Ma questo religioso rispetto di volontà e di intelligenza lo si deve in modo particolare prestare al Magistero autentico del Romano Pontefice, anche quando non parla 'ex cathedra', così che il suo supremo Magistero sia con riverenza accettato, e con sincerità si aderisca alle sentenze da lui date, secondo la mente e la volontà da lui manifestata, la quale si palesa specialmente sia dalla natura dei documenti, sia dal frequente riproporre la stessa dottrina, sia dal tenore dell'espressione verbale".42
45. - È certamente vero che gli insegnamenti del Magistero hanno un diverso valore dottrinale, e che la prerogativa della infallibilità compete in modo specifico al Sommo Pontefice quando "sancisce con atto definitivo una dottrina riguardante la fede e la morale", al collegio episcopale "quando esercita il supremo Magistero col Successore di Pietro", e anche ai "singoli Vescovi, quando, anche dispersi nel mondo, ma conservanti il vincolo della comunione tra di loro e con il Successore di Pietro, nel loro insegnamento autentico circa materie di fede e di morale convengono su una sentenza da ritenersi definitiva".43
Ma la giusta distinzione fra insegnamento infallibile e non infallibile non deve costituire un alibi, che dispensi il credente dal "religioso rispetto di volontà e di intelligenza" che sempre è tenuto ad avere nei riguardi del Magistero.
Tale rispetto richiede di accogliere concretamente il quotidiano servizio di verità che il Papa e i Vescovi svolgono in favore del popolo di Dio.
46. - Nell'integrale ed autentica esperienza della vita ecclesiale, la coscienza cristiana deve perciò tendere ad essere non solo "retta", e cioè fedele e coerente con ciò che sinceramente ascolta nel suo intimo; ma anche "vera", e cioè capace di giudicare e di decidere secondo la verità morale rivelata da Cristo ed interpretata dal Magistero, anche quando questa verità non è pienamente compresa dal credente in tutte le sue motivazioni.
Conformandosi in spirito di fede all'insegnamento morale della Chiesa, il cristiano non potrà mancare di fare l'esperienza che solo la "porta stretta" ( Mt 7,13-14 ) del rinnegamento di sé ( Mc 8,34-35 ), che spesso può apparire dura e oscura, conduce in realtà a quella gioia e a quella libertà che sono veri frutti dello Spirito di Cristo ( Gal 5,22 ).
47. - Bisogna infine ricordare che la coscienza morale cristiana è interpellata non solo dai pronunciamenti riguardanti la fede da credere e da applicare nella pratica della vita, ma anche dalle direttive disciplinari e pastorali del Papa e dei Vescovi.
Cetamente non si devono confondere la legge morale e la norma giuridica, né i loro rispettivi contenuti.
Ma la disciplina ecclesiale risponde a un'esigenza non puramente esteriore e funzionale; il suo significato non si esaurisce nell'assicurare una perfetta organizzazione e un'efficiente funzionalità della comunità cristiana.
Si tratta, più in profondità, di una esigenza interiore ed essenziale, che deriva dal fatto che la disciplina ecclesiale è al servizio della comunione.
48. - L'accoglienza cordiale e convinta dell'intera realtà della disciplina ecclesiale da parte della coscienza morale si concretizza nell'accoglienza delle diverse norme disciplinari e pastorali.
Non tutte rivestono lo stesso valore, né in se stesso né in rapporto al variare delle condizioni storiche: di conseguenza anche la loro obbligatorietà ha diversità di gradi.
Ma quando si tratta di leggi della Chiesa universale e particolare ( norme del Codice di diritto canonico, norme liturgiche e sacramentali, norme promulgate dal Vescovo per la propria Diocesi ), esse obbligano in coscienza, e la loro infrazione può diventare una colpa morale, anche grave, in rapporto alla maggiore o minore importaaza di ciò che è comandato.
49. - Non è lecito, d'altra parte, appellarsi al carattere storico di varie espressioni concrete della disciplina ecclesiale, per non accoglierle e non viverle secondo il loro significato.
Non perchè si debba assolutizzare ciò che è relativo, ma perchè anche ciò che è relativo possiede un suo preciso valore, in quanto è posto al servizio della comunione ecclesiale e della promozione del "bene comune".
È vero infatti che alcune norme possono essere cambiate, come già è accaduto e come potrà accadere anche in futuro, ma ciò non toglie che la loro osservanza, finchè sono in vigore, costituisca un criterio di autentico comportamento e spirito ecclesiale.
Va inoltre sottolineato che l'obbedienza alla disciplina della Chiesa si mostra normalmente come una via maestra, percorrendo la quale il cristiano si educa a vivere con serietà, concretezza e umiltà in vista dell'utilità comune ( cfr 1 Cor 12,7 ).
Anche attraverso questa forma di obbedienza crescono insieme la libertà e la comunione autenticamente ecclesiali.
Indice |
34 | Cfr Gaudium et spes, n. 17 |
35 | Cfr Lumen gentium, n. 43; Presbyterorum Ordinis, n. 15. |
36 | Cfr Gaudium et spes, n. 24. |
37 | Gaudium et spes, n. 16. |
38 | Gaudium et spes, n. 12. |
39 | Gaudium et spes, n. 16. |
40 | Cfr Ivi. |
41 | Giovanni Paolo II, II Congresso internazionale di teologia morale, 12-11-1988. |
42 | Lumen gentium, n . 25. |
43 | Ivi. |