Comunione, comunità e disciplina ecclesiale |
12. - In questo primo capitolo vogliamo andare alle radici del significato cristiano della libertà e dell'obbedienza, quali dimensioni costitutive della comunione e presupposti della disciplina ecclesiale.
Dopo un accenno all'Antico Testamento, ci soffermiamo sull'evento di Cristo Gesù, per illustrare poi queste fondamentali dimensioni dell'esistenza ecclesiale così come emergono dalla testimonianza della Chiesa delle origini e dall'insegnamento del Concilio Vaticano II, nella continuità della Tradizione ecclesiale.
13. - L'Antico Testamento ci descrive l'esperienza originaria dell'uomo che, interpellato dalla Parola di Dio, si scopre come il "tu" del Creatore, creato "a sua immagine e somiglianza" ( Gen 1,26 ).
Ciò che fa uomo l'uomo è, in radice, proprio la sua capacità di ascolto e di risposta a Dio.
Tale ascolto, che si fa obbedienza alla Parola in cui Dio esprime la sua volontà, non è mai qualcosa di servile o di alienante: è, anzi, corrispondere al progetto che il Creatore ha sulla sua creatura, un progetto di dignità e di salvezza, di liberazione e di vita piena.
Il cammino di Israele ci mostra inoltre che la chiamata di Dio è all'origine di un popolo, convocato dal Signore come "assemblea" dei chiamati.
14. - Abramo, accogliendo nella fede la Parola, diviene padre di una moltitudine, perchè dalla sua obbedienza al Signore inizia una storia nuova: il cammino dell'umanità fedele all'imprevedibile progetto di salvezza di Dio che si esprime nell'alleanza.
E un progetto che si attua progressivamente nella storia e che è proiettato verso un avvenire più grande, attraverso l'intervento multiforme di Dio in mezzo al suo popolo:
in Mosè e nella Legge donata ad Israele quale segno dell'alleanza;
nel sacerdozio di Aronne e
ella dinastia davidica;
nei profeti che accendono sempre di nuovo la speranza e
nella costante e fedele rinnovazione della promessa da parte di Dio.
In particolare, il dono dell'alleanza si esprime in quello della Legge.
La volontà di Dio si precisa nel decalogo ( Es 20,1-21; Dt 5,1-22 ), e anche in un ampia serie di leggi e prescrizioni che coprono l'ambito della morale, dei rapporti sociali e della liturgia ( cfr Es 20,22-23,33; Lv 17-26 ).
Se per un verso sono leggi legate a una cultura e a un ambiente, per un altro verso sono il concretizzarsi della volontà di Dio.
Per Israele l'obbedienza a Dio è anche obbedienza a queste leggi, che compaginano l'unità del popolo e lo guidano nella storia.
15. - In Gesù si attua la promessa e si compie la nuova alleanza: in lui, la Parola di Dio, accolta dalla fede e dall'obbedienza di Maria, viene ad abitare definitivamente in mezzo a noi ( Gv 1,14 ).
Egli è il "nuovo Adamo", la realizzazione piena del disegno del Padre sull'umanità.21
Leggendo i Vangeli restiamo ammirati di fronte a due caratteristiche dell'esistenza di Gesù che, a prima vista, potrebbero sembrare contraddittorie, ma che invece ne esprimono l'assoluta originalità: egli è l'uomo della libertà e, contemporaneamente, è l'uomo dell'obbedienza!
Gesù è l'uomo libero:
di quella libertà che mostra di avere nei confronti delle consuetudini sociali e culturali ed anche delle prescrizioni legalistiche e rituali che vengono dagli uomini e non da Dio, e che perciò, spesso, mortificano l'uomo invece di liberarlo;
di quella libertà dalle cose, dagli uomini, da se stessi, che esplode nel canto delle Beatitudini;
di quella libertà che si esprime nel suo amore di preferenza per gli ultimi e che, alla fine, lo spingerà a far dono della sua stessa vita.
Ma anche - anzi proprio per questo - Gesù è l'uomo della perfetta obbedienza a Dio: "Io sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato" ( Gv 6,38 ); "Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato, e portare a compimento la sua opera" ( Gv 4,34 ) …
Tutta la sua esistenza è un unico atto d'obbedienza al Padre, disteso nel tempo.
Inoltre, il Vangelo ci mostra che Gesù , pur dichiarandosi oltre le molte prescrizioni che mortificano la vera volontà di Dio, è anche osservante delle leggi del suo popolo.
Frequenta la sinagoga ( Mc 1,21; Lc 4,16 )
e il tempio ( Mc 11-12 ),
si reca a Gerusalemme per le feste ( Gv 7,2ss; Gv 10,22 ),
invia il lebbroso dai sacerdoti per la purificazione ( Mc 1,44 )
e paga il tributo del tempio ( Mt 17,24-27 ).
Polemizza contro il ritualismo e il formalismo, ma non conclude con l'abolizione delle osservanze rituali e disciplinari, bensì afferma - a partire dal primato dell'amore - che "queste cose bisogna fare e quelle non tralasciare" ( Mt 23,23 ).
16. - La libertà di Gesù ha dunque la sua radice nell'obbedienza al progetto del Padre, calato nella concretezza della storia.
Tutto questo ci spinge a penetrare nel cuore del suo mistero, che è rivelazione del mistero a cui ogni uomo, per dono, è chiamato a partecipare.
Il fatto che in lui libertà e obbedienza, tensione verso la propria realizzazione e conformità al progetto di Dio coincidono, scaturisce dal mistero della sua identità.
Egli è il Figlio unigenito del Padre che vive un rapporto di intimità e di assoluta trasparenza con Lui: "Ciò che fa il Padre lo fa anche il Figlio.
Infatti, il Padre ama il Figlio e gli manifesta tutte le cose che fa" ( Gv 5,19-20 ); "Io e il Padre siamo uno" ( Gv 10,30 ).
Il Padre, che ama il Figlio, gli mostra e dona ogni cosa; il Figlio, che è l'immagine perfetta del Padre, a Lui obbedisce nell'amore, in tutto accogliendo e compiendo il suo volere.
Dal Padre l'amore "discende" come dono inesauribile e gratuito; e dal Figlio l'amore "sale" come obbedienza libera e fiduciosa.
17. - L'obbedienza di Gesù , come via alla comunione con il Padre e alla realizzazione della sua esistenza nel dono ai fratelli, non si può perciò comprendere in tutta la sua profondità e verità senza riferirsi all'ineffabile "dialogo trinitario" d'amore fra Padre e Figlio, che trabocca nella gioiosa comunione dello Spirito Santo.
E proprio questo dialogo d'amore che egli esprime nella storia attraverso la sua esistenza di uomo.
Un'esistenza che, vissuta nel contesto di un'umanità che sperimenta la propria lontananza da Dio, non può non conoscere la fatica e il dolore: "pur essendo Figlio - scrive la Lettera agli Ebrei - imparò l'obbedienza dalle cose che patì" ( Eb 5,8 ).
La preghiera nel Getsemani - "Padre mio, se possibile, passi da me questo calice!
Però non come voglio io, ma come vuoi tu" ( Mt 26,39 ) - ci dice a quale profondità sia giunto questo "umano imparare" e questa "fatica" dell'obbedienza di Gesù .
Il discernimento del progetto di Dio nella storia e la libera adesione ad esso, anche per Lui passano attraverso l'opacità delle situazioni umane e il peso della sofferenza.
18. - Il progetto di Dio sull'uomo, manifestato in Cristo, ci rivela la nostra altissima vocazione di uomini chiamati ad essere figli nel Figlio, rispondendo nell'obbedienza dell'amore al Padre, che per amore ci ha creati e ci salva destinandoci a "essere conformi all'immagine del Figlio suo" ( Rm 8,29 ).
Per questo, l'Apostolo Paolo, quando vuol presentare ai cristiani il modello vivo e reale del cammino di crescita dell'uomo nella comunione con Dio e con i fratelli, non può non riferirsi all'obbedienza di Gesù spinta sino al dono della vita: "( Egli ) spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" ( Fil 2,7-8 ).
19. - Ma è lo stesso Paolo - in unità con tutta la Tradizione apostolica - a dirci come, proprio in virtù di questa perfetta obbedienza, Gesù è stato costituito Signore e Cristo nella sua resurrezione, per condurre come capo e primogenito tutti gli uomini alla salvezza: "Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perchè nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre" ( Fil 2,9-11 ).
20. - In realtà, già nella sua vita terrena Gesù mostra di possedere un'autorità che gli viene direttamente dal Padre: quella d'insegnare una "dottrina nuova", di guarire i malati e scacciare i demoni ( cfr Mc 1,27; Mt 4,23-24 ) … : in sintesi, l'autorità di annunciare con la Parola e di inaugurare con i suoi gesti di salvezza la venuta del Regno di Dio in mezzo agli uomini ( cfr Mc 1,15 ).
Per questo, l'evangelista Matteo lo presenta come il legislatore della nuova e definitiva alleanza, venuto per dare compimento alla Legge e ai Profeti ( cfr Mt 5,17 ).
Con l'autorità messianica, che possiede in pienezza, Gesù convoca anche attorno a sé il nuovo Israele e, in particolare, sceglie e chiama i Dodici, rendendoli partecipi della sua stessa missione ( Mc 3,13-15 ).
21. - Infine, in virtù della perfetta obbedienza resa al Padre nell'adempimento della sua missione, Gesù diviene, attraverso il mistero della sua Pasqua di morte e risurrezione, "causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono" ( Eb 5,9; cfr Rm 5,9 ).
Investito dal Padre di "ogni potere in cielo e in terra", Cristo risorto, col dono dello Spirito, invia gli Apostoli e partecipa loro la sua autorità messianica: "andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che io vi ho comandato" ( Mt 28,18-20 ).
22. - In questa luce si comprendono le caratteristiche che il dono della comunione col Padre e con i fratelli, fattoci da Cristo nel suo Spirito, viene ad assumere nella Chiesa.
Innanzitutto, essere fedele all'amore di Cristo significa per la Chiesa osservare le sue parole ( Gv 17,6-8 ) che esprimono la verità della sua esistenza e, in Lui, la verità del progetto di Dio sull'uomo.
L'Apostolo Giovanni ritorna più volte su questo concetto.
"Da questo sappiamo d'averlo conosciuto - egli scrive ad esempio -: se osserviamo i suoi comandamenti.
Chi dice: Lo conosco, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui" ( 1 Gv 2,3-4 ).
Identico invito risuona dalle labbra di Gesù stesso: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi.
Rimanete nel mio amore.
Se osserverete i mie comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore" ( Gv 15,9-10 ).
L'esistenza ecclesiale è dunque un vivere nell'amore e nella libertà di Cristo, un partecipare del rapporto filiale tra Lui il Padre e un crescere nella comunione con i fratelli.
Ma la verità di questo amore, l'autenticità di questa comunione hanno una misura oggettiva: l'obbedienza ai comandamenti del Signore.
A quelli, in primo luogo, che egli medesimo ha dato; ma anche a quelli che la Chiesa, illuminata dallo Spirito che "guida alla verità tutta intera" ( Gv 16,13 ), espliciterà nel corso dei tempi, aderendo alla Parola del Signore e mettendola a confronto con le diverse situazioni storiche.
23. - La comunione donata dal Cristo e attuata dal suo Spirito ha infatti un'altra misura di verità, strettamente collegata alla precedente: l'adesione a coloro che Cristo ha mandato perchè continuino, in unione con Lui, la missione affidatagli dal Padre.
Il ministero degli Apostoli, infatti, si riassume nel continuare visibilmente la presenza del Cristo, la sua stessa missione in mezzo ai credenti: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi" ( Gv 20,21; cfr Mc 13,14-15; Mt 18,18; Mt 28,19-20; Lc 24,45-48; At 1,8; At 2,1-4 ).
La missione del collegio degli Apostoli, con a capo Pietro ( cfr Gv 21,15-17; Mt 16,17-19; Lc 22,31-32 ), si pone sul prolungamento della missione del Cristo risorto, capo e principio di vita del corpo della Chiesa ( cfr Col 1,18-20; Ef 4,15-16 ).
Perciò, la comunità cristiana è consapevole che, come gli Apostoli, accogliendo Cristo, hanno accolto il Padre, allo stesso modo essa, accogliendo gli Apostoli e "dimorando nel loro insegnamento" ( cfr At 2,42 ), accoglie Cristo e dimora nel suo insegnamento: "Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie Colui che mi ha mandato" ( Mt 10,40; cfr Lc 10,16 ).
24. - Ma che cosa significa, concretamente, osservare i comandamenti del Signore?
È forse possibile aderire alla Parola di Dio senza aderire alle norme morali, ma anche disciplinari e pastorali che i Pastori della Chiesa impartono per edificare nella storia la comunità del Cristo?
Per rispondere a questi interrogativi, osserviamo la Chiesa delle origini, specchio nel quale la comunità cristiana d'ogni epoca deve riflettersi, scegliendo l'esempio della Chiesa di Corinto.
25. - L'Apostolo Paolo riconosce con gioia che questa comunità è ricca di molti doni dello Spirito ( Cfr 1 Cor 1,5-7 ).
Questo però non impedisce che sia attraversata da tensioni che la minacciano profondamente.
Cè una prima divisione in partiti e correnti, riferendosi chi a un Apostolo chi a un altro ( 1 Cor 1,11-12 ).
Cè chi ha compreso che si può mangiare la carne immolata agli idoli e chi, invece, è ancora prigioniero di vecchie superstizioni e ne resta scandalizzato ( 1 Cor 8,1ss ).
Ci sono i ricchi e ci sono i poveri ( 1 Cor 11,21 ).
E ci sono i molti doni dello Spirito i quali - anzichè convergere verso l'edificazione comune - finiscono col rivaleggiare tra loro e contrapporsi ( cfr 1 Cor 12 e 1 Cor 14 ).
Né mancano incertezze, per non dire vere e proprie deviazioni, in campo morale, liturgico e pastorale.
26. - È in questa situazione che l'Apostolo interviene con tutto il peso dell'autorità che gli deriva dal mandato del Signore, per ricordare la preminenza assoluta del dono della comunione e il dovere di tradurla nei rapporti concreti.
Egli precisa che la Chiesa è una comunione che si esprime in una comunità articolata come un corpo vivente, la cui legge fondamentale è la complementarietà nell'amore fra le varie membra e la convergenza per la crescita comune nel Cristo risorto.
Di qui scaturiscono i criteri per discernere e ordinare i molti carismi: non solo il riconoscimento di Cristo Signore ( 1 Cor 12,3 ), ma anche l'utilità comune ( 1 Cor 12,7 ).
Inoltre, spiega Paolo, la comunione delle varie membra non si realizza semplicemente in uno sforzo di reciproco arricchimento e sostegno, ma anche in un comune slancio missionario, in una crescita verso la "piena maturità di Cristo" ( cfr Ef 4,11-13 ).
Infine, l'Apostolo non esita a impartire norme concrete e precise, ad esempio per lo svolgimento corretto di un'assemblea della Parola ( 1 Cor 14,22-31.34 ).
Sono norme autorevoli, che esigono obbedienza: Paolo, infatti, vuole che "quanto scrive" sia riconosciuto come "comando del Signore" ( 1 Cor 14,37 ).
I due livelli del discorso - quello dottrinale e morale e quello disciplinare - non sono semplicemente accostati, ma, pur distinti, si innestano profondamente l'uno nell'altro: la comunione articolata esige una disciplina, e la disciplina deve esprimere la comunione.
La motivazione di fondo che l'Apostolo adduce è tanto semplice quanto forte e decisiva: "perchè Dio non è un Dio di disordine, ma di pace" ( 1 Cor 14,33 ).
27. - Non sarebbe difficile estendere il discorso alle altre comunità cristiane primitive.
Il Nuovo Testamento mantiene fermo il principio che nella comunità ecclesiale è presente lo Spirito del Risorto, che la compagina nella comunione e la guida distribuendo i suoi doni; nello stesso tempo, sottolinea che la comunione esige anche l'autorità degli Apostoli e l'obbedienza: altrimenti, i molti doni dello Spirito si disperdono, anzichè costruire una comunità visibile e credibile.
L'esperienza delle prime comunità cristiane, poi, è ricca di indicazioni non solo per l'obbedienza dei cristiani, ma anche per l'esercizio dell'autorità dei Pastori.
Molti testi evangelici ricordano che essa deve esercitarsi come un servizio, e non erigersi a dominio.
La presenza di simili avvertimenti in tutta la tradizione evangelica e in contesti molteplici ( cfr Lc 22,25-27; Mc 9,35; Mt 18,4; Lc 9,46; Mc 10,44-45; Mt 23,8-10; Gv 13,12-17 ), prova che già la comunità primitiva, appellandosi all'insegnamento del Signore, ne sentiva tutta l'importanza.
Se, da una parte, l'autorità nella Chiesa ha il dovere di impartire delle norme e quindi il diritto di esigere l'obbedienza, dall'altra va egualmente sottolineato che essa si giustifica unicamente come un servizio alla comunione, intesa sia come fedeltà a Cristo sia come edificazione comune.
Esercitare l'autorità è, in realtà, per i Pastori un modo concreto e impegnativo di vivere l'obbedienza a Cristo.
Senza dimenticare, infine, che l'autorità nella Chiesa deve essere evangelica non soltanto nel suo fine ma anche nelle modalità del suo esercizio, che vanno permeate e sostanziate di carità.
28. - In continuità con la testimonianza apostolica e con l'ininterrotta Tradizione della Chiesa, il Vaticano II ha riaffermato che la comunione ecclesiale si esprime in una comunità visibile e ordinata da una sua propria disciplina di vita e di governo.
"La società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, la comunità visibile e quella spirituale - scrive la Lumen gentium - ( … ) non si devono considerare come due cose diverse, ma formano una sola complessa realtà.
( … ) Come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a lui indissolubilmente unito, in modo non dissimile l'organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del corpo ( cfr Ef 4,16 )".22
29. - In questa prospettiva, all'interno dell'unico popolo di Dio, del quale si è resi partecipi in virtù del battesimo e nel quale tutti godono della stessa dignità, si colloca la presenza e lo specifico ministero del Papa e dei Vescovi.
"Il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli.
I singoli Vescovi, invece, sono il visibile principio e fondamento di unità nelle loro Chiese particolari, formate a immagine della Chiesa universale".23
"Nella persona dei Vescovi, assistiti dai presbiteri, è presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù Cristo";24 per questo i fedeli sono invitati ad "aderire al Vescovo come la Chiesa a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al Padre".25
30. - I Vescovi sono pertanto insigniti del triplice ministero della predicazione, della santificazione e del governo della Chiesa loro affidata, e svolgono tale ministero a servizio e in edificazione della vita di comunione del popolo santo di Dio, che - come afferma la Lumen gentium - è popolo profetico, sacerdotale e regale.
Innanzitutto, i Vescovi sono chiamati a "predicare al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita",26 esercitano il servizio del Magistero dottrinale e morale.
In secondo luogo, in quanto possiedono la pienezza del sacramento dell'Ordine, esercitano il supremo sacerdozio di Cristo e sono i primi dispensatori della grazia dei sacramenti.27
Infine, "reggono le Chiese particolari a loro affidate ( … ) col consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra potestà", in virtu della quale "hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di dare leggi ai loro sudditi, di giudicare e di regolare tutto quanto appartiene al culto e all'apostolato".28
In altre parole, essi possiedono ed esercitano un'autorità disciplinare e pastorale.
31. - La Lumen gentium mette anche in evidenza la partecipazione dei presbiteri alla missione del Vescovo e la loro unità nel presbiterio, a servizio dell'edificazione della comunione ecclesiale.
"I presbiteri, pur non possedendo il vertice del sacerdozio e dipendendo dai Vescovi nell'esercizio della loro potestà, sono tuttavia a loro uniti nell'onore sacerdotale e, in virtu del sacramento deillOrdine, ( … ) sono consacrati per predicare il Vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento ( … )".
"( Quali ) saggi collaboratori dell'Ordine episcopale e suo aiuto e strumento, ( … ) costituiscono col loro Vescovo un unico presbiterio, sebbene destinato a uffici diversi.
Nelle singole comunità di fedeli rendono, per così dire, presente il Vescovo, cui sono uniti con animo fiducioso e grande, condividono in parte le sue funzioni e la sua sollecitudine e la esercitano con dedizione quotidiana".29
32. - Infine, il Concilio non manca di precisare quali debbano essere i rapporti fra i laici e la gerarchia, perchè siano espressione e strumento di vera comunione.
I laici "con cristiana obbedienza prontamente accettino ciò che i Pastori, quali rappresentanti di Cristo, stabiliscono come maestri e capi nella Chiesa, seguendo in ciò l'esempio di Cristo, il quale con la sua obbedienza fino alla morte ha aperto a tutti gli uomini la via beata della libertà dei figli di Dio".30
I Pastori a loro volta "riconoscano e promuovano la dignità e la responsabilità dei laici nella Chiesa; si servano volentieri del loro prudente consiglio, con fiducia affidino loro degli incarichi per il servizio della Chiesa e lascino loro libertà e campo di agire, anzi li incoraggiano perchè intraprendano delle opere anche di propria iniziativa.
Considerino attentamente in Cristo e con paterno affetto le iniziative, le richieste e i desideri proposti dai laici ( cfr 1 Ts 5,19; 1 Gv 4,1 ).
Con rispetto poi i Pastori riconosceranno quella giusta libertà che a tutti compete nella città terrestre''.31
33. - Rispecchiandosi nella Parola di Dio, letta alla luce del Magistero del Concilio Vaticano II, la nostra Chiesa può individuare delle piste concrete sulle quali camminare per rispondere all'appello dello Spirito e per dare soluzione evangelica alle tensioni che l'attraversano.
Raccogliamo, in sintesi, alcuni elementi che ci sembrano emergere, con particolare evidenza e aderenza alla nostra situazione ecclesiale, dall'esame sin qui condotto.
34. - Innanzitutto, ci preme sottolineare che l'obbedienza a Dio e alla piena manifestazione della verità dell'uomo, rivelata in Cristo è la via irrinunciabile attraverso la quale l'uomo può realizzare la sua identità nel progetto di Dio.
Nelle nostre comunità, e nei singoli credenti, è perciò urgente risvegliare la consapevolezza che la fedeltà ai comandi del Signore, interpretati dal Magistero della Chiesa e da esso applicati ai diversi ambiti dell'esperienza personale e sociale e alle diverse situazioni storiche, è la risposta alla più profonda vocazione dell'uomo.
Su alcune implicazioni di queste affermazioni per la vita morale del cristiano ritorneremo nel secondo capitolo.
35. - In secondo luogo, è essenziale riscoprire nelle nostre comunità l'importanza e il significato di quella che Giovanni Paolo I ha definito" la grande disciplina della Chiesa ( … ) quale collaudata ricchezza della sua storia".32
Essa - come ha sottolineato Giovanni Paolo II - "non ha come scopo in nessun modo di sostituire la fede, la grazia, i carismi e soprattutto la carità dei fedeli nella vita della Chiesa.
Al contrario, il suo fine è piuttosto di creare tale ordine nella società ecclesiale che, assegnando il primato all'amore, alla grazia e ai carismi, rende più agevole contemporaneamente il loro organico sviluppo nella vita sia della società ecclesiale, sia anche delle singole persone che ad essa appartengono".33
Nel terzo capitolo offriremo alcune indicazioni sulle fonti e gli strumenti della disciplina canonica nell'oggi della Chiesa.
36. - Siamo convinti, infine, che la vitalità manifestata oggi dalla Chiesa in Italia potrà trovare la sua espressione più feconda e una più vigorosa incidenza missionaria nella misura in cui saprà riconoscersi nell'unità attorno a Cristo, presente nella sua Chiesa attraverso il ministero dei Pastori.
Tutto ciò implica che si instauri un clima di sincera fraternità, di reciproca accoglienza, di valorizzazione dei diversi carismi e cammini di fede, ma anche di fiducioso e grato riconoscimento del servizio di discernimento e di autorità, di indirizzo dottrinale, disciplinare e pastorale svolto nelle singole Chiese particolari dai Vescovi, in comunione collegiale e gerarchica con il Successore di Pietro.
È implica, al tempo stesso, una crescita di tutti i cristiani nella partecipazione e nella corresponsabilità all'edificazione e all'espansione della comunione ecclesiale.
Nell'ultimo capitolo svilupperemo alcune linee di impegno e di verifica pastorale in questa direzione.
Indice |
21 | Cfr. Gaudium et spes, n. 22. |
22 | Lumen gentium, n. 8. |
23 | Lumen gentium, n. 23. |
24 | Lumen gentium, n. 21. |
25 | Lumen gentium, n. 27. |
26 | Lumen gentium, n. 25. |
27 | Cfr Lumen gentium, n. 26. |
28 | Lumen gentium, n. 27. |
29 | Lumen gentium, n. 28. |
30 | Lumen gentium, n. 37. |
31 | Ivi. |
32 | Giovanni Paolo I , Radiomessaggio del 27 agosto 1978 agli Em.mi Cardinali e a tutto il mondo in occasione della elezione al Pontificato. |
33 | Giovanni Paolo II, Cost. Ap. Sacrae disciplinae leges, 25 gennaio 1983 |