Sviluppo nella solidarietà |
È opportuno premettere che molti dei nostri rilievi sulla situazione del Mezzogiorno sono riferibili a tutto il Paese, per la comunanza di problemi e l'interdipendenza che lega le diverse aree geografiche, anche se in rapporto al Sud essi assumono valenze peculiari, per vicende storiche e fasi diverse di sviluppo.
Sappiamo, pure, che il Mezzogiorno d'Italia non è una realtà omogenea, sia in termini di contesti socio-culturali, sia riguardo ai rapporti di dipendenza economica tra centro e periferia che caratterizzano le aree con sviluppo anomalo.
Nel corso di questi anni si sono determinati processi di transizione e transazione tra "vecchio" e "nuovo", sul piano socio-economico come su quello culturale e dei mondi vitali.
Circa gli esiti di queste trasformazioni e le tipologie di sviluppo socioeconomico appare più appropriato parlare di "Mezzogiorni", ossia di aree differenziate - talvolta all'interno delle stesse regioni - di sviluppo come di emarginazione.
I termini della "questione meridionale", d'altra parte, sono sempre più, termini nazionali, ed una questione nazionale non può essere ridotta ad un fatto regionale.
Per la sua soluzione sono necessari pertanto l'apporto e lo sforzo solidale di tutte le componenti della società italiana.
Il problema del Mezzogiorno si configura come "questione morale" in riferimento alla disuguaglianza nello sviluppo tra Nord e Sud del Paese ed alle implicazioni di un tipo di sviluppo incompiuto, distorto, dipendente e frammentato.
Continua a persistere infatti un forte squilibrio nello sviluppo rispetto al resto del Paese, come documentano le analisi recenti sull'evoluzione dell'economia del Mezzogiorno.
Il divario in termini di reddito pro-capite dal 1950 ad oggi è rimasto sostanzialmente invariato, pur registrando una assai lieve diminuzione.
Ma il dato più negativo riguarda la disoccupazione: il tasso di disoccupazione nelle regioni meridionali nel 1988 ha superato il 20%; nel Centro-Nord, invece, è sceso al di sotto dell'8%.
Per i giovani fino ai 29 anni, nel Sud questo tasso si eleva ad oltre il 45%, a fronte del 18% nel Centro-Nord".11
Il divario tra le due aree del Paese, alla luce di questi indicatori, è perciò drammaticamente attuale.
La questione meridionale implica sostanzialmente l'esistenza di una crisi che è di tutto il Paese e non solo del Mezzogiorno, se si considera che l'incremento delle capacita produttive ha luogo in grandissima parte nel Centro-Nord, mentre la crescita della forza lavoro si realizza interamente nel Sud.
Il ritardo del Mezzogiorno, nella situazione attuale, non va tanto ricercato a livello di benessere materiale, cioè di mero reddito, quanto nella capacità di produzione e nell'occupazione.
E le previsioni più attendibili prefigurano purtroppo il persistere di gravi problemi, particolarmente per le opportunità di lavoro delle giovani generazioni.
Certo il problema dell'occupazione si presenta comune a tutto l'occidente industrializzato nella presente fase di trasformazione, in seguito ai processi di ristrutturazione produttiva e all'impatto delle nuove tecnologie che hanno effetti ambivalenti e richiedono nuove politiche di sviluppo e di collocazione delle risorse.
I nuovi posti di lavoro, che in campi diversi dal passato si riesce a creare, si rivelano spesso insufficienti a colmare l'offerta di lavoro, che diventa sempre più ampia per il crescente numero di persone che chiedono di lavorare e, soprattutto, diviene sempre più esigente, perché quanti oggi cercano un lavoro non si accontentano di un'occupazione qualsiasi, ma aspirano ad un lavoro qualificato e soddisfacente.
Particolarmente grave è il fatto che le persone maggiormente colpite dalla disoccupazione sono le donne e i giovani, costretti ad iniziare la vita senza speranze e senza prospettive ed a perdere anni preziosi della propria giovinezza nella vana ricerca di un lavoro.
Non di rado esposti pertanto alla tentazione di disorientamento morale, o peggio, di aggregazione alla delinquenza organizzata, che promette loro immediati e forti guadagni.
Nella Laboem exercens Giovanni Paolo II ha fatto, a livello di situazione mondiale, un'osservazione di grande importanza dal punto di vista etico: "Gettando lo sguardo sull'intera famiglia umana sparse su tutta la terra, non si può non rimanere colpiti da un fatto sconcertante di proporzioni immense: e cioé che, mentre da una parte cospicue risorse della natura rimangono inutilizzate, dall'altra esistono schiere di disoccupati e di sottoccupati e sterminate moltitudini di affamati: un fatto che, senza dubbio, sta ad attestare che sia all'interno delle singole comunità politiche, sia nei rapporti tra esse su un piano continentale e mondiale, per quanto concerne l'organizzazione del lavoro e dell'occupazione, c'è qualcosa che non funziona, e proprio nei punti più critici e di maggiore rilevanza sociale".12
Il nostro Paese fortunatamente non conosce al proprio interno situazioni così drammatiche.
Il problema della disoccupazione giovanile meridionale si configura però - per ragioni economiche, sociali e morali come la più grande questione nazionale degli anni '90.
La questione meridionale, pur avendo la sua espressione più vistosa nello squilibrio economico, non è riducibile ad esso.
Lo sviluppo nel Sud non solo è incompiuto, ma è anche "distorto".
Il modello di sviluppo imposto al Sud non solo ha avuto effetti di disuguaglianza, ma ha prodotto un processo di disgregazione dei modelli culturali propri delle regioni meridionali.
Modelli di organizzazione industriale importati senza sufficiente attenzione alle realtà locali e modelli culturali penetrati attraverso i mass-media hanno avuto effetti di disgregazione del precedente tessuto sia economico che sociale e culturale.
Di qui l'ambivalenza di un tipo di sviluppo, in cui i modelli economici importati non si sono integrati in quelli socio-culturali del Sud.
Il Mezzogiorno ha infatti, come le altre regioni d'Italia, una grande storia, una sua identità culturale, ed anche una "vocazione" per il futuro del Paese.
Le popolazioni meridionali sono ricche di valori che non possiamo non ricordare.
- Un'etica del lavoro, come "fatica", sacrificio, ricerca sofferta di un posto di lavoro in terra straniera.
Lo stanno a dimostrare le masse di concittadini emigrate nel Nord dell'Italia e dell'Europa, che si sono costruite attraverso il lavoro intenso ed il risparmio le basi per una vita più dignitosa per sé e per le proprie famiglie.
- Il Sud è, ancora, un "luogo di vita", in cui sono risorse umane e grande agilità mentale; permane una cultura dell'amicizia e della lealtà interpersonale che può essere preziosa nel momento in cui, un pò in tutto l'Occidente, si cerca di correggere un tipo di sviluppo economicisticamente inteso, fondato sull'egoismo.
- Nel Sud esiste il gusto della diversità e della pluriformità.
E una risorsa importante, perché può agire da antidoto contro la tendenza all'omologazione, tipica della società di massa.
- L'istituto della famiglia, pur risentendo dell'egoismo individualistico e in parte della cultura divorzista ed abortista di oggi, rimane tuttora un punto di riferimento e di forza che il Sud possiede e di cui è chiamato a dare testimonianza al resto del Paese ed anche ad altre aree dell'occidente, dove la famiglia, come centro di affetti, di fecondità, di trasmissione di valori, di espressione di solidarietà, di assunzione di responsabilità collettive, è sottoposta a un devastante logorio.
- Soprattutto, è diffusa nel Mezzogiorno d'Italia una sentita religiosità popolare, che merita molta attenzione come terreno fertile per seminare e far fruttificare la pienezza dell'annuncio cristiano.
Questi valori, espressioni di una cultura e generatori di un ethos, hanno costantemente bisogno di essere sottoposti a discernimento, oltre che evangelizzati in profondità, per una trasformazione delle coscienze e della condotta di vita che conduca a una vera crescita morale e civile.
L'attuale sviluppo incompiuto, distorto, sta portando però ad una complessiva "struttura di regressione", cioé ad una concatenazione di meccanismi che rischia di diventare come un "circolo vizioso" che aggrava il disagio del Sud, o, se vogliamo usare un termine di Giovanni Paolo II, una "vera e propria struttura di peccato".13
L'essere stato il Mezzogiorno più "oggetto" che "soggetto" del proprio sviluppo, ed il peso assunto dai rapporti di potere politico, hanno favorito l'instaurarsi di rapporti di dipendenza verticale verso le istituzioni, con una crisi di sviluppo della società civile e delle autonomie locali.
In modo particolare questi rapporti si sono rafforzati nei confronti dello Stato, quale erogatore di risorse di varia natura, con un'enfasi sull'intervento pubblico, specialmente straordinario.
La funzione della mediazione politica, a livello locale e nazionale, ha finito per assumere un'incidenza sociale di straordinario rilievo, generando una rete di piccolo e grande clientelismo, che misconosce i diritti sociali ed umilia i più deboli.
L'ostacolo forse principale ad una crescita autopropulsiva del Mezzogiorno viene quindi proprio dal suo interno e risiede nel peso eccessivo dei rapporti di potere politico, lungo una linea che nel Meridione può dirsi di continuità storica.
I gruppi di potere locali si presentano verso il centro come garanti di consenso, e verso la base come imprescindibili trasmettitori di risorse, più o meno clientelari, più o meno soggette all'arbitrio, all'illegalità, al controllo violento.
Questo - lo sappiamo - non è solo un problema meridionale.
È un problema morale di tutto il Paese.
Ma nel Sud trova un terreno più fertile, uno spazio più diffuso, per le ragioni che abbiamo indicato.
Senza un ridimensionamento dei rapporti di potere politico e un adeguato rafforzamento della società civile, e dello stesso mercato, non saranno raggiunte la maturazione e l'autonomia del Mezzogiorno, sul piano economico-produttivo come su quello sociale e civile.
Il superamento delle dinamiche di dipendenza economica e politica, della passività nel tessuto sociale, rappresenta il campo in cui impegnarsi con maggiore forza.
Non intendiamo riprendere così l'accusa di tendenza all'assistenzialismo rivolta alla cultura meridionale, che include una sorta di razzismo ingiustificato ed inammissibile.
Vogliamo invece sottolineare che negli ultimi quarant'anni sono stati assorbiti "modelli lontani", che hanno prodotto una certa modernizzazione senza un vero e proprio sviluppo, creando distorsioni ed evidenziando tendenze alla devianza.
Il fenomeno impressionante della diffusione delle organizzazioni criminali in alcune aree del Mezzogiorno ha certamente ben più antiche radici storiche, politiche e culturali, e cause complesse che sono state più volte analizzate.
La criminalità organizzata, che ha assunto le forme di impresa e di una economia sommersa e parallela, trova un "humus" e disponibilità all'aggregazione per carenze di sviluppo economico, sociale e civile e in particolare per la disoccupazione di troppi giovani, ai quali offre la lusinga di rapidi guadagni.
Non possiamo, a questo riguardo, non dire una parola forte e decisa.
Si tratta di un fenomeno che danneggia gravemente il Meridione, perchè inquina la vita sociale, creando un clima di insicurezza e di paura, impedisce ogni sana imprenditoria, esercita un pesante influsso sulla vita politica e amministrativa, offusca, infine, l'immagine del Mezzogiorno di fronte al resto del Paese.
Servendosi di risorse ottenute in modo illegale e spesso violento, impedisce lo sviluppo economico e sociale, organizza il commercio e lo spaccio della droga, in concorso con la grande criminalità internazionale, ed insanguina alcune città e zone del Meridione, causando un numero paurosamente alto di omicidi perpetrati con estrema ferocia.
Deve essere ben chiaro che questo fenomeno non è il Mezzogiorno; ne è invece solo una malattia, un cancro contro il quale la coscienza generale del Sud, assieme a quella di tutto il Paese, si indigna e reagisce.
La Chiesa italiana condanna radicalmente queste organizzazioni criminose ed esorta gli uomini "mafiosi" ad una svolta nel loro comportamento.
Il loro agire offende l'uomo, la società, ogni senso etico, religioso, il senso stesso dell"'onore" e si ritorce, poi, contro loro stessi.
Su questo tema decisivo chiediamo la collaborazione di tutti; una vera "mobilitazione delle coscienze" perché sia ricuperata, assieme ai grandi valori morali dell'esistenza, la legalità, e sia superata l'omertà che non è affatto attitudine cristiana.
La criminalità organizzata viene favorita da atteggiamenti di disimpegno, di passività e di immoralità nella vita politico-amministrativa.
C'è, infatti, una "mafiosità" di comportamento, quando, ad esempio, i diritti diventano favori, quando non contano i meriti, ma i legami di "comparaggio" politico.
Il Sud non sarà mai liberato se non in una trasparenza etica di chi governa ed in un comportamento onesto di ogni cittadino.
Al riguardo lo Stato non deve essere solo repressivo - sebbene si senta la necessità di una sua presenza forte e decisa - ma deve essere esemplarmente "promozionale".
In questo contesto risulta "focale" il ruolo della Chiesa, che deve interrogarsi sul suo impegno nel Sud e per il Sud.
La Chiesa italiana, e in particolare le Chiese meridionali, hanno un compito grande e non rinunciabile nel contribuire a rompere i meccanismi perversi e nel proporre una logica nuova di sviluppo del Mezzogiorno, sintonizzato al contesto sociale ed autopropulsivo.
Compito primario della Chiesa è la formazione delle coscienze, l'annunzio della verità evangelica che continuamente provoca e rinnova.
Le vere prospettive di rinnovamento e di sviluppo non consistono nell'entusiasmo momentaneo, ma in una profonda e costante maturazione personale, comunitaria e sociale, da realizzare sulla base delle grandi potenzialità culturali ed etiche degli uomini e delle donne del Sud, all'interno di un progetto "proprio", non "importato", ed in una illuminata tensione collettiva per far crescere la società meridionale.
Bisogna superare il vittimismo e la rassegnazione, riattivare la moralità, la certezza del diritto, la stabilità nelle regole della convivenza sociale, la sicurezza della vita quotidiana, affinché i singoli, i gruppi sociali, le comunità locali possano esplicare in concreto la loro vocazione allo sviluppo.
Sono necessari, e doverosi, l'aiuto e la solidarietà dell'intera Nazione, ma in primo luogo sono i meridionali i responsabili di ciò che il Sud sarà nel futuro.
Indice |
11 | Cfr Pasquale Saraceno, Radiografia e proposte per il Mezzogiorno, in Corriere della Sera, 6.2.1989, p. 1 |
12 | Giovanni Paolo II, Lettera enciclica, Laborem exercens, n. 18 |
13 | Giovanni Paolo II, Lettera enciclica, Sollicitudo rei socialis, n. 36 |