Comunicazione e missione |
Abbiamo già ricordato come la formazione sia la condizione necessaria affinché il nuovo profilo d'animatore cresca e si affermi.
Per la pastorale si tratta di qualcosa di sostanzialmente nuovo, che comporta come prima tappa una crescita complessiva di tutti gli operatori pastorali attraverso i canali tradizionali ( istituti teologici e di scienze religiose, seminari, scuole per operatori pastorali, corsi di aggiornamento … ) e alcune iniziative mirate ( corsi specifici, settimane, master … ).
I percorsi formativi possono essere diversi.
Importante è cogliere natura ecclesiale e fine culturale della nuova figura d'animatore, anche quando opera in ambiti apparentemente lontani.
La formazione può avere come esito anche un riconoscimento formale, non esclusa una forma di mandato ecclesiale nei casi in cui si profilasse un evidente servizio di tipo ministeriale.
Un tale riconoscimento conferirebbe autorevolezza e visibilità all'animatore, la cui figura avrebbe così anche formalmente la stessa rilevanza di altre analoghe nell'ambito della pastorale.
Quando si tratta di persone che operano con maggiore autonomia e in ambiti non strettamente ecclesiali, è bene prevedere comunque occasioni d'incontro e di formazione permanente.
Così l'azione e la presenza dei credenti nella cultura e nella comunicazione potranno essere più omogenee.
Il rapporto tra l'evangelizzazione e gli ambiti della cultura e della comunicazione andrà meglio definito anche attraverso delle sperimentazioni.
Esperienze e approfondimenti teologico-pastorali dovranno camminare di pari passo.
In questo percorso dovrà inserirsi il contributo dei centri di formazione, con ricerche e approfondimenti.
All'origine di molte incertezze pastorali, del resto, si riscontra l'assenza di un'appropriata riflessione sul rapporto tra comunicazione, cultura ed evangelizzazione.
Un migliore raccordo tra prime esperienze degli animatori e analisi teologico-pastorali permetterà di definire meglio lo sviluppo futuro della nuova figura.
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