Catechismo Tridentino |
Tre sono gl'insigni compiti di N. S. Gesù Cristo, diretti ad abbellire e illustrare la sua Chiesa: egli è redentore, patrono e giudice.
Abbiamo veduto negli articoli precedenti com'egli abbia con la sua passione e morte redento il genere umano, e con l'ascensione in cielo abbia preso a patrocinare la nostra causa in perpetuo.
Resta ora da considerarlo come giudice, in questo articolo, il quale significa che Cristo S. N. nell'ultimo giorno giudicherà tutto il genere umano.
La sacra Scrittura menziona due venute del Figlio di Dio: l'una, quando assunse l'umana natura per la nostra salvezza, facendosi uomo nel seno della Vergine; l'altra, quando alla fine dei secoli, verrà a giudicare tutti gli uomini.
Questa seconda venuta nella Scrittura è chiamata giorno del Signore.
Di essa l'Apostolo dice: Il dì del Signore verrà come il ladro notturno ( 1 Ts 5,2 ); e il Salvatore stesso: Quanto poi a quel giorno e quell'ora, nessuno lo sa ( Mt 24,36 ).
Per la realtà del supremo giudizio basti quel passo dell'Apostolo: É necessario per tutti noi di comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno ne riporti quel che è dovuto al corpo, secondo che ha fatto il bene o il male ( 2 Cor 5,10 ).
La sacra Scrittura è piena di passi, che i Parroci incontreranno ad ogni pagina, assai opportuni non solo a confermare detta verità, ma anche a metterla sotto gli occhi dei fedeli.
Osserveranno che come dal principio del mondo fu sempre nel massimo desiderio di tutti il giorno in cui il Signore rivestì l'umana carne e riposero in esso la speranza della liberazione; cosi, dopo la morte e ascensione del Figlio di Dio, dobbiamo desiderare ardentemente quel secondo giorno del Signore, aspettando quella beata speranza e l'apparizione della gloria del grande Dio ( Tt 2,13 ).
Per amor di chiarezza i Parroci distingueranno bene le due epoche, nelle quali ciascuno deve comparire innanzi al Signore per rendere ragione di tutti e singoli i pensieri, le opere, le parole, e sentire poi l'immediata sentenza del giudice.
La prima viene quando muore ciascuno di noi: subito l'anima si presenta al tribunale di Dio, ove si fa giustissimo esame di quanto ha operato, detto, o pensato; e questo si chiama giudizio particolare.
La seconda verrà quando tutti gli uomini saranno riuniti insieme in un giorno e in un luogo stabilito innanzi al tribunale del Giudice, affinché tutti e singoli, spettatori e ascoltatori, gli uomini di tutti i secoli sappiano la propria sentenza.
Il verdetto non sarà, per gli empi e scellerati, la minore delle pene; mentre i pii e i giusti ne trarranno grande premio e frutto, poiché sarà manifesto come ciascuno si è diportato in questa vita.
E questo si chiama il "giudizio universale".
É necessario spiegare perché, oltre al giudizio privato dei singoli, si farà anche quello universale.
Primo, avviene spesso che sopravvivano ai defunti dei figliuoli, imitatori dei genitori, o dei discepoli, fedeli nell'amarne e propugnarne gli esempi, le parole e le azioni; il che necessariamente fa aumentare il premio o la pena dei defunti medesimi.
Ora, poiché tale vantaggio o danno di valore sociale, non cesserà prima della fine del mondo, è giusto che di tutta questa partita di parole e di opere fatte bene o male, si faccia una completa disamina, impossibile a farsi senza il giudizio universale.
Secondo, poiché la fama dei buoni è spesso lesa, mentre gli empi vengono esaltati come innocenti, la giustizia di Dio vuole che i primi ricuperino innanzi all'assemblea di tutti gli uomini la stima, ingiustamente loro tolta.
Terzo, poiché gli uomini, buoni o cattivi, hanno compiuto nella vita le loro azioni con il loro corpo, ne segue che le azioni buone o cattive spettino anche ai corpi, che ne furono lo strumento.
É giusto dunque dare ai corpi, insieme con le rispettive anime, il dovuto premio di eterna gloria o il castigo: ciò che non si può fare senza la resurrezione degli uomini e il giudizio universale.
Quarto, bisognava mostrare finalmente che nei casi prosperi o avversi, i quali capitano talora promiscuamente agli uomini buoni e cattivi, nulla avviene fuori della infinita sapienza e giustizia di Dio.
Quindi è necessario non solo stabilire premi per i buoni e castighi per i cattivi nella vita futura, ma anche applicarli in un giudizio pubblico e generale, affinché riescano più notori ed evidenti; e così si lodi da tutti Dio per la sua giustizia e provvidenza, in compenso dell'ingiusto lamento che persone anche sante talora fanno come uomini, vedendo gli empi pieni di ricchezza e colmi di onori.
Il Profeta infatti dice: Manco poco non vacillassero i miei piedi; manco un nulla non sdrucciolassero i miei passi, quando mi adirai per prepotenti, nel vedere la prosperità degli empi.
E poco più oltre: Ecco come gli empi sono tranquilli e crescono sempre in potenza!
Io dunque indanno purificai il mio cuore e ho lavato nell'innocenza le mie mani!
Ed eccomi tutto il giorno battuto, e ogni mattina mi si rinnova il tormento ( Sal 73,2-3; Sal 13-15 ).
E questo il lamento di molti.
Era necessario pertanto che si indicesse un giudizio universale, affinché gli uomini non dicessero che Dio, passeggiando sulla volta del cielo, non si cura delle cose terrene ( Gb 22,14 ).
A buon diritto quindi questa formula di verità fu inclusa nei dodici articoli della fede cristiana, affinché gli animi di coloro che dubitano della provvidenza e giustizia di Dio, vengano sostenuti dall'efficacia di questa dottrina.
Quinto, bisognava che la prospettiva di questo giudizio rallegrasse i buoni e atterrisse i cattivi, affinché, conoscendo la giustizia di Dio, quelli non si scoraggino e questi rinsaviscono nel timore e nell'attesa dell'eterno supplizio.
Perciò il Signore e Salvatore nostro, parlando dell'ultimo giorno, dichiarò che vi sarebbe stato un giudizio universale e ne descrisse i segni precursori ( Mt 24,29 ), affinché vedendoli apparire intendessimo essere imminente la fine del mondo.
Quindi, salito al cielo, mandò degli angeli a consolare gli apostoli piangenti per la sua assenza, con queste parole: Quel Gesù che è stato assunto qui da voi al cielo, verrà precisamente nella stessa maniera, che lo avete visto andare al cielo ( At 1,11 ).
La sacra Scrittura mostra che a Cristo nostro Signore non solo come Dio, ma anche come uomo, è stato affidato questo giudizio.
Infatti sebbene la potestà di giudicare sia comune a tutt'e tre le Persone della santissima Trinità, pure la si attribuisce particolarmente al Figlio, cosi come gli si attribuisce la sapienza.
Che poi, come uomo debba giudicare il mondo, è confermato dalla parola del Signore: Come il Padre ha la vita in sé, cosi diede pure al Figlio l'avere in se stesso la vita.
E gli ha dato il potere di fare il giudizio, perché è Figlio d'uomo ( Gv 5,26 ).
Era poi oltremodo conveniente che tale giudizio fosse presieduto da Cristo S. N.; perché, trattandosi di giudicare gli uomini, questi potessero con i loro occhi corporei mirare il Giudice, ascoltare con le proprie orecchie la sentenza proferita, percepire insomma coi sensi tutto intero il giudizio.
Era ancora giustissimo che l'Uomo il quale fu condannato dalla più iniqua sentenza umana, sia visto da tutti sul seggio di giudice.
Perciò il Principe degli apostoli, dopo avere esposto nella casa di Cornelio per sommi capi la religione cristiana, ed aver insegnato che Cristo, appeso e ucciso sulla croce dai Giudei, era risorto a vita il terzo giorno, soggiunse: Ci ha comandato di predicare al popolo e attestare, come da Dio egli è stato costituito giudice dei vivi e dei morti ( At 10,42 ).
Sono tre i segni principali che, secondo le sacre Scritture, precederanno il giudizio: la predicazione del vangelo per l'universo mondo, l'apostasia e l'Anticristo.
Dice infatti il Signore: S'annunzierà questo vangelo del regno in tutta la terra, per testimonianza a tutte le nazioni; e allora verrà la fine ( Mt 24,14 ); e l'Apostolo ci ammonisce di non farci sedurre circa l'imminenza del giorno del Signore: Se prima non sia seguita la ribellione e non sia manifestato l'uomo del peccato, non avverrà il giudizio ( 2 Ts 2,3 ).
Quanto alla forma e alla natura del giudizio, il Parroco potrà agevolmente conoscerla, sia dalle profezie di Daniele ( Dn 7,9ss ), sia dall'insegnamento dei Vangeli ( Mt 24,25; Mc 13 ) e dell'Apostolo ( Rm 2 ).
Ma qui si dovrà con grande diligenza meditare la sentenza del Giudice.
Cristo Salvatore nostro, guardando con lieto volto i giusti collocati alla sua destra, pronunzierà la loro sentenza con somma benignità: Venite, benedetti dal Padre mio, possedete il regno preparato a voi fin dalla fondazione del mondo ( Mt 15,34 ).
Non ci sono parole più gioconde di queste: e ben lo intenderà chi le porrà a paragone con la condanna degli empi.
Con esse gli uomini giusti e pii sono chiamati dalle fatiche al riposo, da questa valle di lacrime al sommo gaudio, dalle miserie alla beatitudine sempiterna, meritata con le opere di carità.
Rivolto poi a quelli che staranno alla sua sinistra, fulminerà contro di essi la sua giustizia con queste parole: Via da me, maledetti, al fuoco eterno, preparato per il diavolo ed i suoi angeli ( Mt 25,41 ).
Con le prime, "Via da me", viene espressa la maggiore delle pene che colpirà gli empi, con l'essere cacciati il più possibile lungi dal cospetto di Dio, né li potrà consolare la speranza che un giorno potranno fruire di tanto bene.
Questa è dai teologi chiamata pena del danno; per la quale gli empi saranno privati per sempre, nell'inferno, della luce della visione divina.
L'altra parola: "maledetti ", aumenterà sensibilmente la loro miseria e calamità.
Se mentre sono cacciati dalla presenza di Dio fossero stimati degni almeno di qualche benedizione, questo tornerebbe a grande loro sollievo; ma poiché nulla di simile potranno aspettarsi, che allievi la loro disgrazia, la divina giustizia, cacciandoli giustamente, li colpisce con ogni sua maledizione.
Seguono poi le parole: "al fuoco eterno"; è il secondo genere di pena che i teologi chiamano pena del senso, perché si percepisce con i sensi del corpo, come avviene dei flagelli, delle battiture o di altro più grave supplizio, tra i quali non è a dubitare che il tormento del fuoco provochi il più acuto dolore sensibile.
Aggiungendo a tanto male la durata perpetua, se ne deduce che la pena dei dannati rappresenta il colmo di tutti i supplizi.
Ciò è meglio spiegato dalle parole che terminano la sentenza: "preparato per il diavolo e per i suoi angeli".
Siccome la nostra natura è tale che noi più facilmente sopportiamo le nostre molestie, se abbiamo come socio delle nostre disgrazie qualcuno, la cui prudenza e gentilezza ci possano in qualche modo giovare, quale non sarà la miseria dei dannati, cui non sarà mai concesso, in tanti tormenti, separarsi dalla compagnia dei perdutissimi demoni.
Tale sentenza giustamente il Signore e Salvatore nostro emanerà contro gli empi, perché questi hanno trascurato tutte le opere di vera pietà: non hanno offerto cibo all'affamato e bevanda all'assetato; non hanno alloggiato l'ospite, vestito l'ignudo, visitato l'infermo e il carcerato.
Tutto questo i Pastori devono frequentemente inculcare al popolo fedele, perché la verità di questo articolo, concepita con viva fede, ha un'efficacia immensa a frenare le prave cupidigie dell'animo e allontanare gli uomini dal peccato.
Perciò nell'Ecclesiastico è detto: In tutte le tue opere ricorda i tuoi novissimi e non peccherai in eterno ( Sir 7,36 ).
É ben difficile infatti che uno sia cosi proclive al peccato, da non sentirsi richiamato al dovere dal pensiero che un giorno dovrà rendere ragione innanzi al giustissimo Giudice, non solo delle opere e delle parole, ma anche dei pensieri più occulti, e pagare la pena dei suoi demeriti.
Mentre il giusto verrà sempre più spronato a praticare la virtù e proverà letizia grande, anche in mezzo alla povertà, all'infamia e ai dolori, pensando a quel giorno nel quale, dopo le lotte di questa vita d'angosce, sarà dichiarato vincitore davanti a tutti gli uomini, e, entrato nella patria celeste, vi riceverà onori divini ed eterni.
Quel che importa, dunque, è di esortare i fedeli ad abbracciare un santo tenore di vita ed esercitarsi in ogni pratica di pietà, onde possano con maggior sicurezza d'animo aspettare il grande giorno del Signore, anzi, desiderarlo con sommo ardore, come si conviene ai figli di Dio.
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