27 settembre 1970
Noi non possiamo tralasciare, anche in questo incontro domenicale, tanto semplice e familiare, di rivolgere lo sguardo agli avvenimenti del prossimo Oriente e di riannodare la Nostra parola a quella, che ci scaturì dal cuore mercoledì scorso, alla Udienza Generale.
Noi non siamo soliti a fare oggetto della Nostra parola le cose che non ci riguardano; ma gli avvenimenti di quelle regioni sembrano assumere una importanza, potenziale almeno, che potrebbe coinvolgere la pace di tutti.
E per di più hanno il loro punto focale nella terra di Gesù, che è carissima a Noi e a tutta la cristianità.
Crediamo perciò dovere riflettere circa la serietà di quella situazione e manifestare la Nostra compassione per le vittime del conflitto, che in questa settimana ha assunto forme violente e sanguinose assai dolorose.
Anche Noi abbiamo cercato di prestare soccorso, e siamo riconoscenti a chi si adopera a questo scopo e cerca di ricondurre il conflitto alla tregua e alla trattativa.
Noi vogliamo dire ancora una volta che soltanto sentimenti di giustizia, di carità, di pace guidano questo Nostro interessamento, e che né interessi temporali, né calcoli esclusivisti ispirano questa Nostra azione.
Anche i contatti che essa reclama, così come gli altri che il Nostro ufficio ci porta ad avere con i Responsabili della vita delle Nazioni e del mondo, non hanno altro scopo che
di giovare ai più deboli, alle popolazioni civili, ai profughi innanzi tutto,
di difendere i diritti umani, e
di indurre tutti a deporre le armi, e a cercare vie sagge, oneste e pacifiche per risolvere la complicata e tragica vicenda.
Noi non possiamo erigerci a giudici, né fungere da mediatori; ma cerchiamo d'essere a tutti consiglieri per una ricomposizione del conflitto nell'equilibrio, nell'amicizia, nella collaborazione fra le Nazioni col solo fine supremo del bene comune e della pace nel mondo.
Siate con Noi, fratelli e figli, nella solidarietà di questi sentimenti umani e cristiani, e nella preghiera che tutto può.