Compendio Dottrina sociale della Chiesa |
20 Ogni autentica esperienza religiosa, in tutte le tradizioni culturali, conduce ad una intuizione del Mistero che, non di rado, giunge a cogliere qualche tratto del volto di Dio.
Egli appare, da un lato, come origine di ciò che è, come presenza che garantisce agli uomini, socialmente organizzati, le basilari condizioni di vita, mettendo a disposizione i beni ad essa necessari; dall'altro lato, invece, come misura di ciò che deve essere, come presenza che interpella l'agire umano - tanto a livello personale quanto a livello sociale - sull'uso di quegli stessi beni nel rapporto con gli altri uomini.
In ogni esperienza religiosa, dunque, si rivelano importanti sia la dimensione del dono e della gratuità, che si coglie come sottesa all'esperienza che la persona umana fa del suo esistere insieme agli altri nel mondo, sia le ripercussioni di questa dimensione sulla coscienza dell'uomo, che avverte di essere interpellato a gestire in forma responsabile e conviviale il dono ricevuto.
Testimonianza di tutto ciò è l'universale riconoscimento della regola d'oro, nella quale si esprime, sul piano delle relazioni umane, l'interpellanza che giunge all'uomo dal Mistero: « Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro » ( Mt 7,12 ).23
21 Sullo sfondo, variamente condiviso, dell'universale esperienza religiosa, si staglia la Rivelazione che progressivamente Dio fa di Se stesso al popolo d'Israele.
Essa risponde alla ricerca umana del divino in modo inatteso e sorprendente, grazie ai gesti storici, puntuali ed incisivi, nei quali si manifesta l'amore di Dio per l'uomo.
Secondo il libro dell'Esodo, il Signore rivolge a Mosè questa parola: « Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze.
Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele » ( Es 3,7-8 ).
La prossimità gratuita di Dio - alla quale allude il Suo stesso Nome, che Egli rivela a Mosè, « Io sono colui che sono » ( Es 3,14 ) - si manifesta nella liberazione dalla schiavitù e nella promessa, diventando azione storica, dalla quale trae origine il processo di identificazione collettiva del popolo del Signore, mediante l'acquisto della libertà e della terra di cui Dio gli fa dono.
22 Alla gratuità dell'operare divino, storicamente efficace, si accompagna costantemente l'impegno dell'Alleanza, proposto da Dio e assunto da Israele.
Sul monte Sinai, l'iniziativa di Dio si concreta nell'Alleanza col Suo popolo, al quale viene donato il Decalogo dei comandamenti rivelati dal Signore ( Es 19-24 ).
Le « dieci parole » ( Es 34,28; Dt 4,13; Dt 10,4 ) « esprimono le implicanze dell'appartenenza a Dio stabilita attraverso l'Alleanza.
L'esistenza morale è risposta all'iniziativa d'amore del Signore.
E riconoscenza, omaggio a Dio e culto d'azione di grazie.
E cooperazione al piano che Dio persegue nella storia ».24
I dieci comandamenti, che costituiscono uno straordinario cammino di vita e indicano le condizioni più sicure per una esistenza liberata dalla schiavitù del peccato, contengono un'espressione privilegiata della legge naturale.
Essi « insegnano la vera umanità dell'uomo.
Mettono in luce i doveri essenziali e, quindi, indirettamente, i diritti fondamentali inerenti alla natura della persona umana ».25
Essi connotano la morale umana universale.
Ricordati anche da Gesù al giovane ricco del Vangelo ( Mt 19,18 ), i dieci comandamenti « costituiscono le regole primordiali di ogni vita sociale ».26
23 Dal Decalogo deriva un impegno che riguarda non solo ciò che concerne la fedeltà all'unico vero Dio, ma anche le relazioni sociali all'interno del popolo dell'Alleanza.
Queste ultime sono regolate, in particolare, da quello che è stato definito il diritto del povero: « Se vi sarà in mezzo a tè qualche tuo fratello che sia bisognoso… non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso; anzi gli aprirai la mano e gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova » ( Dt 15,7-8 ).
Tutto questo vale anche nei confronti del forestiero: « Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto.
Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l'amerai come tè stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d'Egitto.
Io sono il Signore, vostro Dio » ( Lv 19,33-34 ).
Il dono della liberazione e della terra promessa, l'Alleanza del Sinai e il Decalogo sono dunque intimamente connessi ad una prassi che deve regolare, nella giustizia e nella solidarietà, lo sviluppo della società israelitica.
24 Tra le molteplici disposizioni che tendono a dare concretezza allo stile di gratuità e di condivisione nella giustizia che Dio ispira, la legge dell'anno sabbatico ( celebrato ogni sette anni ) e di quello giubilare ( ogni cinquant'anni ) ( Es 23, Dt 15, Lv 25 ) si distingue come un importante orientamento - anche se mai pienamente realizzato - per la vita sociale ed economica del popolo d'Israele.
È una legge che prescrive, oltre al riposo dei campi, il condono dei debiti e una liberazione generale delle persone e dei beni: ognuno può tornare alla sua famiglia d'origine e rientrare in possesso del suo patrimonio.
Tale legislazione vuole stabilire che l'evento salvifico dell'esodo e la fedeltà all'Alleanza rappresentano non solo il principio fondatore della vita sociale, politica ed economica di Israele, ma anche il principio regolatore delle questioni attinenti alle povertà economiche e alle ingiustizie sociali.
Si tratta di un principio invocato per trasformare continuamente e dall'interno la vita del popolo dell'Alleanza, così da renderla conforme al disegno di Dio.
Per eliminare le discriminazioni e le sperequazioni provocate dall'evoluzione socio-economica, ogni sette anni la memoria dell'esodo e dell'Alleanza viene tradotta in termini sociali e giuridici, così da riportare le questioni della proprietà, dei debiti, delle prestazioni e dei beni al loro più profondo significato.
25 I precetti dell'anno sabbatico e di quello giubilare costituiscono una dottrina sociale « in nuce ».28
Essi mostrano come i principi della giustizia e della solidarietà sociale siano ispirati dalla gratuità dell'evento di salvezza realizzato da Dio e non abbiano soltanto il valore di correttivo di una prassi dominata da interessi e obiettivi egoistici, ma debbano diventare piuttosto, in quanto « prophetia futuri », il riferimento normativo al quale ogni generazione in Israele si deve conformare se vuole essere fedele al suo Dio.
Tali principi diventano il fulcro della predicazione profetica, che mira a farli interiorizzare.
Lo Spirito di Dio, effuso nel cuore dell'uomo - annunciano i Profeti - vi farà attecchire quegli stessi sentimenti di giustizia e di misericordia che dimorano nel cuore del Signore ( Ger 31,33 e Ez 36,26-27 ).
Allora la volontà di Dio, espressa nel Decalogo donato sul Sinai, potrà radicarsi creativamente nell'intimo stesso dell'uomo.
Da tale processo di interiorizzazione derivano maggiore profondità e realismo all'agire sociale, rendendo possibile la progressiva universalizzazione dell'atteggiamento di giustizia e solidarietà, che il popolo dell'Alleanza è chiamato ad assumere verso tutti gli uomini, di ogni popolo e Nazione.
Indice |
23 |
Cat. Chiesa Cat. 1789; Cat. Chiesa Cat. 1970; Cat. Chiesa Cat. 2510 |
24 | Cat. Chiesa Cat. 2062 |
25 | Cat. Chiesa Cat. 2070 |
26 | Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor 97 |
28 | Giovanni Paolo II, Tertio Millennio Adveniente 13 |