Officiorum ac munerum |
Il Vescovo Leone, servo dei servi di Dio.
A perpetua memoria.
Fra gli uffici e i doveri che in questa Apostolica Sede occorre osservare con la massima diligenza e religiosità, fondamento e compendio di ogni altro è vigilare assiduamente ed adoperarsi con tutte le forze, perché l'integrità della fede e dei costumi cristiani non soffra alcun danno.
Se questo nel passato fu talora necessario, in specialissimo modo lo è ai giorni nostri, nei quali - menti e costumi travolti dalla licenza - quasi tutta la dottrina che il Salvatore degli uomini Gesù Cristo affidò in custodia alla sua Chiesa per la salute del genere umano, viene trascinata ogni giorno in dispute pericolose.
Nelle quali certamente sono diverse ed innumerevoli le astuzie dei nemici e le arti del nuocere; ma soprattutto è piena di pericoli la smania dello scrivere e di disseminare nel popolo ciò che malvagiamente fu scritto.
Infatti nulla si può pensare di più pernicioso a corrompere gli animi che eccitare il disprezzo per la religione e proporre molte lusinghe al peccato.
Per la qual cosa la Chiesa, vindice e custode dell'incolumità della fede e dei costumi, preoccupata di tanto male, comprese ben presto che era necessario un rimedio contro tale peste.
Perciò si adoperò a che gli uomini, per quanto poteva, stessero lontani come da un pessimo veleno dalla lettura dei libri cattivi.
Fin dai tempi apostolici si vide in ciò manifesto l'ardente zelo di San Paolo, e i secoli successivi ammirarono la vigilanza dei Santi Padri, gli ordini dei Vescovi e i decreti dei Concilii.
Principalmente poi gli antichi scritti attestano con quanta cura e diligenza i Romani Pontefici si impegnarono affinché gli scritti degli eretici non serpeggiassero impunemente a pubblico danno.
L'antichità ci fornisce copiosi esempi.
Anastasio I condannò severamente gli scritti più perniciosi di Origene;
Innocenzo I quelli di Pelagio;
Leone Magno tutte le opere dei Manichei.
In proposito sono pure note le lettere decretali sui libri da ammettere e da respingere date opportunamente da Papa Gelasio.
Similmente, nel corso dei secoli la Sede Apostolica proscrisse i libri pestilenziali dei Monoteliti, di Abelardo, di Marsilio Patavino, di Wycliffe e di Huss.
Nel secolo decimoquinto, poi, dopo l'invenzione dell'arte della stampa, non solo si pose mente agli scritti dannosi che erano venuti alla luce, ma si pose attenzione a che opere di tal genere non venissero più pubblicate.
Tale provvedimento in quei tempi era suggerito non da lievi ragioni, ma dalla necessità di tutelare l'onestà e la salute pubblica; perché un'arte per sé ottima, apportatrice di grandissimi vantaggi, nata per propagare la civiltà cristiana fra i popoli, rapidamente era stata rivolta dai più a strumento di grandi rovine.
Il grave danno dei cattivi scritti era diventato maggiore a causa della maggiore velocità nel diffonderli.
Pertanto, con provvida decisione, sia Alessandro VI, sia Leone X, Nostri Predecessori, emanarono apposite leggi, adatte a quei tempi e ai costumi dell'epoca, che disciplinassero i doveri degli editori.
Più tardi, essendo insorte più pericolose procelle, si riconobbe necessaria una più solerte vigilanza per impedire il veleno dell'eresia.
Per questo lo stesso Leone X e successivamente Clemente VII emanarono severissime leggi affinché a nessuno fosse lecito leggere o conservare i libri di Lutero.
Ma siccome, per la nequizia di quell'epoca, crebbe a dismisura e si sparse per ogni dove l'immonda colluvie di libri cattivi, fu necessario ricorrere a più grave e più efficace rimedio.
Del quale certamente si servì a proposito per primo Paolo IV, Nostro Predecessore, col pubblicare cioè un elenco degli scritti e dei libri dalla cui lettura i fedeli dovevano astenersi.
Così, poco tempo dopo, i Padri del Concilio Tridentino s'adoprarono per reprimere la sfrenata licenza dello scrivere e del leggere.
Pertanto, per volontà e comando degli stessi Padri, distinti prelati e teologi si impegnarono non soltanto ad aumentare e a perfezionare l'Indice che Paolo IV aveva fatto pubblicare, ma dettarono altresì norme da osservarsi nella stampa, nella lettura e nell'uso dei libri; a tali norme Pio IV diede forza con la propria autorità apostolica.
La stessa ragione della salute pubblica, che aveva dato origine alle Regole Tridentine, col passare delle età impose alcune variazioni.
Pertanto i Romani Pontefici, e particolarmente Clemente VIII, Alessandro VII, Benedetto XIV, conoscitori dei tempi e rispettosi della prudenza, decretarono molte cose che valsero a chiarire e ad adattare le norme ai nuovi tempi.
Ciò chiaramente dimostra che le particolari sollecitudini dei Romani Pontefici furono di continuo dedicate a tenere lontano dalla civile società degli uomini gli errori delle opinioni e la corruttela dei costumi, questa duplice rovina delle città che di solito viene causata e diffusa dai cattivi libri.
E l'esito coronò l'opera sino a che nell'amministrazione della pubblica cosa la legge eterna fu guida ai governanti, e l'autorità Civile si mantenne d'accordo con l'autorità Ecclesiastica.
Nessuno ignora quanto accadde successivamente.
Infatti, col tempo essendo a poco a poco mutate le condizioni delle cose e degli uomini, la Chiesa, giusta il suo costume, fece prudentemente quello che, considerati i tempi, le parve più conveniente ed utile alla salute degli uomini.
Parecchie prescrizioni delle Regole dell'Indice che parevano superate rispetto alla originaria opportunità, essa stessa abrogò con decreto o lasciò benignamente e sapientemente che, per il costume e l'uso qua e là introdotti, andassero in desuetudine.
Recentemente, con lettera agli Arcivescovi ed ai Vescovi dello Stato Pontificio, Pio IX mitigò in gran parte la Regola X.
Inoltre poco prima del gran Concilio Vaticano, diede l'incarico a dotti personaggi competenti a preparare la materia, che rivedessero ed esaminassero tutte le Regole dell'Indice e dessero il loro parere sul da farsi.
Essi indicarono concordemente ciò che si doveva cambiare.
La stessa cosa apertamente giudicavano e richiedevano al Concilio molti Padri.
Esistono tuttora le lettere dei Vescovi di Francia, che ritenevano essere cosa necessaria e da farsi senza indugio, che "quelle Regole e tutto l'Indice in genere fossero riformate secondo i bisogni dell'età presente e rese più facili da osservare".
Contemporaneamente, lo stesso giudizio fu espresso dai Vescovi della Germania, che domandavano chiaramente che le "Regole dell'Indice … fossero sottoposte ad una nuova revisione e redazione".
A questi facevano eco molti Vescovi dell'Italia e d'altre regioni.
Certamente le domande di costoro, tenuto conto dei tempi, delle istituzioni civili e dei costumi dei popoli, sono giuste e adeguate alla materna carità della Santa Chiesa.
Infatti, in così rapidi progressi degl'ingegni non v'è campo della scienza che non sia percorso sfrenatamente dalle lettere; di qui la quotidiana colluvie di pestilentissimi libri.
E, ciò che è peggio, non solo le leggi pubbliche sono conniventi a tanto male, ma concedono la più ampia licenza.
Quindi, da una parte gli animi di molti sono dubbiosi in materia di religione; dall'altra esiste un'impunita abbondanza di letture di ogni specie.
Noi pertanto, ad ovviare a questi inconvenienti, giudicammo opportuno fare due cose, da cui tutti possano ricavare una norma certa e chiara per sapersi regolare in tale materia.
Cioè, fare una revisione diligentissima dell'Indice dei libri, la cui lettura è riprovata; ed ora, essendo compiuto il lavoro, darlo alle stampe così rivisto.
Inoltre rivolgemmo l'attenzione alle Regole stesse e, salva la loro natura, le rendemmo alquanto più miti, in modo che, per chi non abbia animo cattivo, non sia cosa grave ed ardua osservarne le prescrizioni.
In ciò Noi, non solo seguiamo gli esempi dei Nostri Antecessori, ma seguiamo il materno zelo della Chiesa, che nulla più desidera se non mostrarsi benigna; essa provvide e provvede sempre a sanare i suoi figli con tale amore e sollecitudine da compatirne pietosamente le debolezze.
Pertanto, con matura deliberazione, dopo aver consultato i Cardinali di Santa Chiesa Romana addetti alla sacra Congregazione dell'Indice, abbiamo stabilito di pubblicare i Decreti Generali che seguono, e che formano una cosa sola con questa Bolla; ad essi la stessa sacra Congregazione d'ora innanzi unicamente si ispiri, e i cattolici di tutto il mondo religiosamente ubbidiscano.
Vogliamo che soltanto questi Decreti abbiano forza di legge, e restino abrogate le Regole pubblicate d'ordine del sacrosanto Concilio di Trento, le Osservazioni, l'Istruzione, i Decreti, i Moniti, e qualsiasi altro decreto istituito dai Nostri Predecessori concernenti questa materia, eccettuata la sola Costituzione di Benedetto XIV Sollicita et provida, la quale, come fu finora in vigore, così intendiamo lo sia integralmente in avvenire.
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