16 settembre 1966
Abbiamo già espresso il Nostro compiacimento per codesto Congresso Nazionale della Pontificia Opera Missionaria del Clero in Italia, mediante il messaggio che il Nostro Cardinale Segretario di Stato, a Nostro nome, gli ha rivolto, e che voi tutti avete accolto con plauso.
Già vi sono noti i Nostri elogi per lo spirito che informa la vostra Unione,
per l'attività ch'essa svolge,
per i risultati ch'essa ha conseguiti,
per i propositi ch'essa viene formulando,
per le speranze ch'essa lascia di sé concepire.
Noi ora li rinnoviamo tali elogi e li accompagniamo del Nostro vivo incoraggiamento, li vogliamo impreziosire con i Nostri voti, con le Nostre orazioni, e coronare alla fine con la Nostra benedizione.
Vorremmo far Nostre, a vostro riguardo, le parole di San Paolo: « Non faccio conto d'aver già toccata la meta; ma a questo solo io miro: dimentico di ciò che mi sta dietro, mi protendo verso ciò che mi sta davanti, continuo la mia corsa, fisso alla meta, verso la palma … » ( Fil 3,13-14 ).
Se non che quel « dimenticare » il passato, nel vostro caso, non è del tutto a proposito, perché voi state celebrando un anniversario, il cinquantenario della fondazione della vostra Unione; e la ricorrenza obbliga al ricordo retrospettivo, non foss'altro per tributare omaggio di memoria e di pietà alle insigni e benemerite persone, allo zelo delle quali essa, la vostra Unione, deve la sua fondazione ed il suo primo sviluppo; vogliamo dire il venerato Monsignor Guido Conforti e il Padre Paolo Manna.
Ma indubbiamente questo doveroso sguardo all'indietro non vuol avere migliore intenzione che di proiettarlo in avanti; di far servire cioè la memoria del cinquantennio trascorso per trarne ispirazione, esperienza, coraggio a proseguire, con l'aiuto di Dio, l'intrapreso cammino.
E proprio a tale scopo una Nostra Lettera pontificia vi è giunta ieri, per la fausta occasione.
Proseguire, dunque; sia questa la consegna risultante da dieci lustri trascorsi di buona operosità, dal presente convegno, non che da questa Nostra paterna esortazione.
Essa si fa più forte ed autorevole dalla recente celebrazione del Concilio ecumenico, di cui voi tutti non soltanto conoscete gli importantissimi documenti in ordine alle missioni cattoliche ed anche all'opera vostra, ma state studiando, anzi suscitando quel « clima missionario conciliare », ossia quello spirito missionario, del quale molto e bene s'è parlato al vostro Congresso.
Indubbiamente il Concilio ha inteso dare un nuovo e grande impulso all'apostolato missionario;
ne ha illustrato i principii dottrinali;
ne ha descritto le manifestazioni essenziali;
ne ha ricordato i metodi ed i bisogni fondamentali;
ne ha indicato gli sviluppi particolari;
ne ha esaltato i protagonisti, i missionari cioè,
mostrando come sia loro necessario il sostegno d'un'organizzazione molto vasta, varia e fedele,
e d'una cooperazione sempre più larga e complessa, alla quale la voce del Concilio ha invitato non solo i volonterosi, ma tutti quanti compongono il Popolo di Dio;
e non già con proposte facoltative, ma con istruzioni precettive.
La Chiesa, s'è detto, si è messa in stato di missione; tutta vuol essere missionaria.
Faremmo torto al vostro Congresso, e all'attenzione, all'impegno, all'entusiasmo, con cui voi ne avete seguito i lavori, se Noi indugiassimo a parlare di ciò che, in ordine alla rinnovata vocazione missionaria della Chiesa, voi conoscete benissimo.
Continuate, vi diremo piuttosto, a respirare « il clima missionario conciliare », a diffondere lo spirito missionario; lasciate che esso penetri nei vostri animi!
È vento di Pentecoste!
E la vostra inserzione nel grande movimento spirituale ed apostolico, nel grande sforzo di espansione universale del Vangelo, che caratterizza la Chiesa del nostro secolo, e che il Concilio ha potentemente accelerato, sarà felicemente compiuta, a vostra edificazione, e a vantaggio della causa del Vangelo nel mondo contemporaneo.
Sarà certamente indispensabile per dare all'idea missionaria la sua genuina espressione e la sua forza d'espansione che le virtù teologali, donde trae radice, siano, quanto più ci è dato, rinvigorire.
Sarebbe mai possibile che il movimento missionario avesse senso e avesse lena, se la fede, la fede non solo del missionario che si consacra all'evangelizzazione di fratelli lontani e sconosciuti, ma quella altresì del Popolo di Dio, di cui il missionario, in virtù del mandato gerarchico, è portavoce, venisse a languire?
Non è forse l'indispensabile necessità della fede alla salvezza, che mette vigore nel missionario, e ansia di partire e audacia di predicare e di soffrire?
La necessità della fede è il presupposto dell'attività missionaria; questa non avrebbe più ragion d'essere, se la fede non fosse quel supremo bene, a noi elargito dalla divina Bontà, per il quale ogni altro bene, anche la vita, se occorre, deve essere posposto e sacrificato.
Nessun maggiore pericolo per l'attività missionaria che dubitare dell'eccellenza e della necessità della fede, della vera fede, quale la Chiesa Cattolica, custode e maestra di questo divino messaggio, affida ai suoi figli, primo fra essi il missionario.
E ciò che diciamo della fede possiamo ripetere, sotto altro riguardo, della carità.
Come concepire l'attività missionaria che come un impulso di traboccante carità apostolica, della quale misura è trascendere ogni misura per farsi generosa, per farsi eroica, per farsi universale?
Questa legge, che presiede all'apostolato missionario, ci fa pensare alla sua sorgente, che non può essere, normalmente, esclusivamente personale, ma collettiva e ambientale.
Cioè l'apostolato missionario nasce
là dove fede e carità sono in altissimo onore;
là dove una comunità cattolica vive intensamente la fede e la carità;
là dove la vita cristiana associata - nella famiglia, nella parrocchia, nell'associazione, nell'istituto educativo o religioso - è in fiore, è nel fervore che genera i gesti più arditi ed ispira le vocazioni più alte.
Con questo risultato circolante: che il fenomeno missionario, generato dalla fede e dalla carità d'una comunità, restituisce alla comunità stessa ciò di cui si alimenta; conserva cioè ed arricchisce la fede e la carità, in una parola la vita cristiana nella comunità, che si gloria di farla scaturire dal suo nome.
Questo diciamo a voi, membri dell'Unione missionaria del Clero, per confermare in voi la coscienza della solidarietà, che fa partecipare al merito missionario
chi parte e chi resta;
chi produce il movimento missionario e
chi vi concede la propria personale consacrazione;
chi prepara, sostiene, benefica l'apostolato missionario e
chi effettivamente lo esplica.
Leggendo le prescrizioni che il Concilio promulga circa questo dovere dei Sacerdoti, dei Religiosi e dei Laici di sapersi tutti missionari e di favorire in ogni modo l'incremento nella storia e sulla terra del Corpo visibile e mistico di Cristo, ch'è la Chiesa cattolica ( cfr. Ad Gentes, n. 39, n. 41 ), sorge nell'animo un'altra considerazione.
È fuori dubbio che l'idea missionaria è grandiosa:
essa contempla il disegno divino della salvezza dell'umanità;
essa si apre sugli orizzonti storici e geografici più estesi e più comprensivi della civiltà;
essa suppone una vocazione magnanima e drammatica, immessa dallo Spirito Santo nel cuore della Chiesa;
essa esige la dedizione più coraggiosa, congiunta con le virtù religiose e morali più agguerrite;
essa comporta una esecuzione ardua e ingegnosa, spesso avventurosa e rischiosa;
essa reclama mezzi e forze d'ogni genere, spirituali e temporali;
essa raffigura l'impresa più alta e più folle dell'uomo al servizio della verità e dell'amore di Cristo Signore.
Nessuna meraviglia che i giovani spesso ne siano affascinati per la rispondenza ch'essa ha con la fantasia e con la prontezza di spirito, proprie della loro età.
È un'idea grandiosa, diciamo, che mette nell'anima pensieri, impulsi, immaginazioni, sogni, ardimenti meravigliosi.
È niente meno che l'idea dell'apostolato universale, della conquista del mondo alla Chiesa di Cristo.
Ora questa idea è calata nelle singole anime fedeli, specialmente dei Sacerdoti e dei Religiosi.
Non è forse un fermento d'inquietudine?
Non è una suggestione utopistica?
Non una contraddizione, che irride alla realtà, cioè alla vita concreta che il Clero è normalmente obbligato a vivere?
Quanti Sacerdoti e Religiosi sono legati dai loro doveri a trascorrere la vita entro un quadro ristretto e chiuso, dove le giornate passano insignificanti e monotone; e dove spesso manca la soddisfazione d'una pienezza interiore e d'un ministero ampio e conquistatore!
Ebbene questo è da notare: l'idea missionaria infonde la coscienza ed il gusto della grandezza, del dinamismo, della drammaticità del mistero cristiano; e reca così non illusoria consolazione a chi deve vivere in piccolo ed umile ambiente; non è un sogno vano, che viene a distrarre e a compensare in modo fantastico ed evasivo l'esiguità della sorte d'una vocazione compressa e d'un servizio confinato in un angolo misero e sconosciuto.
No; è un invito a restituire all'anima cattolica le sue dimensioni di grandezza; ricordate il « Magnificat »: Fecit mihi magna qui potens est?
È una scoperta di comunione universale; è una certezza che la fedeltà, dovunque vissuta, a Cristo e alla sua Chiesa conferisce il possesso a tutta l'eredità dei seguaci del Signore, a tutto il regno di Dio.
Perciò Noi confidiamo e Noi auguriamo che l'Unione Missionaria del Clero, tenendo accesa questa fiammante idea del regno di Dio, nel suo essere e nel suo divenire, apporti a quanti all'Unione appartengono e per l'Unione lavorano la visione aperta e il gaudio a tutti offerto della vocazione e della testimonianza missionaria.
Così sia, con l'aiuto di Dio, mediante la Nostra Apostolica Benedizione.