27 ottobre 1989
Eccellenza, signor presidente, illustri membri dell’accademia.
1. È per me una grande gioia salutare tutti voi che avete partecipato alla settimana di studio organizzata dalla pontificia accademia delle scienze sul tema “Società per lo Sviluppo in un contesto di solidarietà”.
L’argomento che avete affrontato è effettivamente complesso e non c’è dubbio che richiederà quel tipo di studio ulteriore che soltanto degli eminenti studiosi quali voi siete possono promuovere.
Non di meno, l’argomento è di vitale importanza per la soluzione di uno dei problemi più urgenti che oggi il mondo deve affrontare: quello di uno sviluppo che si realizza entro un contesto di genuina solidarietà fra i popoli e gli Stati.
2. La Chiesa ha sempre nutrito una sollecitudine particolare nei confronti del pieno sviluppo dei popoli, come risulta dall’imponente insieme della sua dottrina sociale.
Ciò è particolarmente vero ai nostri giorni, in cui questo problema ha assunto proporzioni così vaste.
In effetti, per tutta la sua lunga storia, il genere umano non ha mai conosciuto un’epoca di prosperità lontanamente paragonabile a quella che il mondo sta vivendo in questa seconda metà del XX secolo.
Eppure, questa prosperità, ad un’analisi più accurata, si è dimostrata distorta e squilibrata.
È una prosperità che avvantaggia solo una piccola porzione dell’umanità, mentre lascia la maggioranza degli abitanti del mondo in uno stato di sottosviluppo.
Lo sviluppo perciò ha fatto sorgere problemi assai seri, che la Chiesa non può fare a meno di affrontare.
Questi problemi non sono soltanto di ordine politico ed economico; essi riguardano allo stesso tempo l’ordine morale.
In effetti ciò che è in gioco è l’uomo stesso.
E il dovere principale della Chiesa è quello di far udire la sua voce ogni qualvolta si presenta un problema che riguarda l’uomo - nella sua dignità di persona umana; nel suo diritto alla libera associazione per una crescita migliore e più umana; nel suo diritto alla libertà.
3. Essenzialmente, la Chiesa ha deciso di intervenire nel problema dello sviluppo per due motivi.
Innanzitutto essa vuole proclamare il disegno di Dio per l’umanità, così come lo troviamo nella Rivelazione cristiana, che ha il suo culmine e la sua espressione definitiva nell’insegnamento di Gesù.
Ma la Chiesa vuole anche offrire una “lettura” del problema dello sviluppo alla luce del Vangelo e della legge morale naturale, che essa ha il dovere sia di tutelare che di applicare alle mutevoli situazioni storiche.
Nel far ciò essa si augura di rendere evidenti le storture e le ingiustizie che affliggono le persone umane, di indicare le loro cause e quei principi e linee di azione necessarie per uno sviluppo giusto ed equilibrato.
È proprio questo ciò che Papa Paolo VI ha cercato di fare nel 1967 con la sua grande enciclica Populorum Progressio.
Nei vent’anni trascorsi dalla pubblicazione di questo importante documento, molti grandi cambiamenti sono avvenuti nel mondo.
In alcune regioni si notano segni che lasciano aperta la speranza di risolvere il problema dello sviluppo.
Mentre, in altre regioni, la mancanza di progresso verso lo sviluppo ha assunto proporzioni veramente catastrofiche.
Per questa ragione ho ritenuto mio dovere raccogliere l’insegnamento di Papa Paolo VI e svilupparlo ulteriormente nella mia enciclica Sollicitudo Rei Socialis del 30 dicembre 1987.
Mi fa molto piacere che questa settimana di studi prenda in esame un tema importante di questa enciclica.
Nell’enciclica ho osservato che le condizioni dei paesi in via di sviluppo “si sono notevolmente aggravate” ( Sollicitudo Rei Socialis, 16 ) a motivo di “una concezione troppo limitata, ossia prevalentemente economica, dello sviluppo” ( Sollicitudo Rei Socialis, 15 ).
I paesi industrializzati ne sono responsabili, in quanto “non sempre, almeno non nella debita misura, hanno sentito il dovere di portare aiuto” ai paesi tagliati fuori dalla prosperità mondiale ( Sollicitudo Rei Socialis, 16 ).
Ho ritenuto necessario “denunciare l’esistenza di meccanismi economici, finanziari e sociali, i quali, benché manovrati dalla volontà degli uomini, funzionano spesso in maniera quasi automatica, rendendo più rigide le situazioni di ricchezza degli uni e di povertà degli altri” ( Sollicitudo Rei Socialis, 16 ).
Partendo da una lettura puramente politica ed economica della situazione - per quanto importante e valida possa essere -, ho proseguito parlando di alcune “strutture di peccato”.
Due fattori in particolare hanno contribuito a creare, promuovere e rafforzare queste “strutture”, mettendole così in grado di condizionare ancora di più la condotta umana: il desiderio esclusivo di profitto e la sete di potere che tende ad imporre agli altri la propria volontà.
“Ovviamente, a cader vittime di questo duplice atteggiamento di peccato non sono solo gli individui; possono essere anche le nazioni e i blocchi.
E ciò favorisce di più l’introduzione delle “strutture di peccato” di cui ho parlato …
Diagnosticare così il male significa identificare esattamente, a livello della condotta umana, il cammino da seguire per superarlo” ( Sollicitudo Rei Socialis, 37 ).
4. Qual è dunque il cammino da seguire?
È compito della Chiesa risvegliare le coscienze ed invitarle a prendere atto del fatto che oggi, come Lazzaro alla porta dell’uomo ricco, milioni di persone si trovano in una terribile necessità, mentre gran parte delle risorse mondiali vengono impiegate in settori che poco o nulla hanno da offrire per contribuire al miglioramento della vita in questo pianeta.
La Chiesa ha affermato con forza che la solidarietà è un grave obbligo morale, sia per le nazioni che per gli individui.
La virtù della solidarietà ha le sue radici più profonde nella fede cristiana, la quale insegna che Dio è nostro Padre e che tutti gli uomini e le donne sono fratelli e sorelle.
Da questa convinzione scaturisce l’etica cristiana, un’etica che esclude ogni forma di egoismo e di arroganza e cerca di unire liberamente le persone per raggiungere il bene comune.
Dall’etica cristiana deriva la convinzione che è ingiusto sprecare risorse che potrebbero essere necessarie per la vita di altri.
Oggi si rende necessaria una maggiore consapevolezza di questo imperativo morale, date le attuali condizioni di parti tanto vaste della razza umana.
La solidarietà inoltre conduce alla collaborazione di tutti i gruppi sociali, che sono quindi chiamati a guardare oltre gli orizzonti del proprio interesse egoistico, per fare della solidarietà una “cultura” da promuovere nella formazione dei giovani e da mettere in evidenza nei nuovi modelli di sviluppo.
In effetti, soltanto una diffusa “cultura della solidarietà” consentirà quello scambio di obiettivi ed energie che sembra tanto necessario se si vuole raggiungere un livello di vita veramente umano su questa terra.
5. Parlando in termini pratici, cosa occorre fare perché il principio di solidarietà fra gli individui e i popoli si diffonda sempre di più?
La Chiesa, da parte sua, non può offrire soluzioni tecniche al problema del sottosviluppo come tale, poiché non ha né la missione né la capacità di enunciare i modi e i mezzi contingenti, con i quali i problemi dell’ordine politico ed economico possono e devono essere risolti.
A questo punto entra in gioco il ruolo della scienza.
È qui che troviamo il significato reale di questa settimana di studio e di altre simili iniziative volte a sviluppare le direttive tracciate dall’enciclica.
Il loro obiettivo è quello di analizzare e studiare in modo più approfondito - servendosi di un approccio interdisciplinare e scientificamente provato - le cause culturali, economiche e politiche del sottosviluppo; di identificare con un’analisi precisa e rigorosa i processi che perpetuano il sottosviluppo; e di suggerire modelli di sviluppo che possano essere considerati realizzabili nelle presenti circostanze storiche.
Tale analisi cerca di indicare i modi e i tempi opportuni per intervenire, le condizioni, i mezzi e gli strumenti necessari per passare dal sottosviluppo ad uno sviluppo equilibrato, vale a dire, uno “sviluppo in un contesto di solidarietà”.
6. Fra i molti problemi che occorre prendere in considerazione, ve n’è uno in particolare che vorrei portare alla vostra attenzione.
È il problema del debito internazionale, un debito che grava pesantemente, talvolta con conseguenze devastanti, su molti paesi in via di sviluppo.
Non è un problema che può essere considerato isolato dagli altri; anzi, il debito internazionale è intimamente legato ad un insieme di altri problemi, quali quelli dell’investimento estero, del giusto funzionamento delle maggiori organizzazioni internazionali, del prezzo delle materie prime e così via.
Vorrei soltanto osservare che questo problema, negli ultimi anni, è diventato il simbolo di squilibri ed ingiustizie già esistenti, il cui peso viene spesso portato dai settori più poveri della popolazione, e ciò dimostra un’apparente incapacità di ribaltare un processo pernicioso che sembra talvolta vivere di vita propria.
La Santa Sede ha già avuto occasione di parlare di questo problema a livello ufficiale ( cf. Pont. Commissionis “Justitia et Pax”: “At the Service of the Human Community: on Ethical Approach to the International Debt Question, die 27 dec. 1986 ).
Eppure la Chiesa continua a udire gli accorati appelli dei suoi Pastori in quei paesi che sono gravati da questo peso enorme, un peso che sembra senza tregua e che compromette gravemente l’autentica possibilità di uno sviluppo libero e positivo.
Ho sottolineato l’importanza di questo problema perché, una volta affrontato con equilibrio, competenza e in uno spirito di autentica solidarietà, esso ha il potenziale per diventare un simbolo e un modello genuino di soluzione creativa ed efficace dinanzi agli altri complessi e pressanti problemi dello sviluppo internazionale.
Le soluzioni a questi problemi non sono né semplici né a portata di mano; eppure, una volta affrontati con saggezza e coraggio, essi promuovono la speranza in un mondo in cui la solidarietà non sia più semplicemente una parola, ma un compito urgente ed una convinzione che dà i suoi frutti nell’azione. La virtù della solidarietà, praticata ad un livello autentico e profondo, esigerà da tutte le parti sia la disponibilità a farsi coinvolgere, che il profondo rispetto per gli altri.
Solo in questo modo le grandi risorse potenziali dei paesi in via di sviluppo potranno trasformarsi in una realtà concreta che ha molto da offrire al mondo intero.
Illustri membri dell’accademia ed eminenti professori: ho desiderato soltanto sottolineare alcuni dei problemi e delle idee più pressanti su cui avete discusso durante questa settimana di studio.
Nell’esprimere la mia speranza che il vostro impegno sia stato fruttuoso, invoco su tutti voi abbondanti benedizioni divine.