24 giugno 1966
Signor Cardinale Decano! Signori Cardinali!
La visita, che raduna intorno a Noi i membri del Sacro Collegio, che dimorano, ovvero che oggi si trovano in Roma, Ci obbliga ad esprimere il Nostro devoto e cordiale ringraziamento per atto tanto deferente e cortese, e per il motivo che lo suggerisce,
quello di presentare alla Nostra umile persona voti, tanto alti e preziosi da un lato, e perciò a Noi molto graditi e confortanti,
tanto ammonitori dall'altro circa i Nostri debiti verso la divina bontà,
verso la Chiesa romana e quella universale insieme,
verso cotesto Collegio cardinalizio, decoro e sostegno della Sede Apostolica,
e perciò a Noi molto opportuni per ricordarci quale vera letizia debba rendere festive le ricorrenze che Ci riguardano, quella della Nostra povera, ma totale Nostra dedizione al servizio di Cristo e della sua Chiesa.
Così Ci assista la vostra fedeltà e la vostra longanimità,
così Ci sia conservata sempre valida e cordiale la vostra preziosa collaborazione,
così Ci sostenga la vostra spirituale comunione e la vostra preghiera;
e così il santo Precursore di Cristo, sotto il cui patrocinio trova scuola e rifugio la cattedrale della Chiesa romana, oggi nel suo nome in festa,
e così i Santi Pietro e Paolo, nella prossima ricorrenza della loro celebrata memoria,
Ci siano larghi della protezione, che, con quella della santissima Vergine Maria, Madre di Cristo, invochiamo a sostegno della Nostra apostolica fatica, e a consolazione e a favore delle vostre venerate persone e di tutta la santa Chiesa.
Ella, Signor Cardinale, Ci ha testé rivolto parole, delle quali parimente Le dobbiamo essere grati, non solo per gli auguri che esse Ci esprimono, ma altresì per il richiamo che esse Ci fanno alle vicende e alle occupazioni, che hanno caratterizzato la vita della Curia romana in questa prima metà dell'anno corrente.
La sua attenzione s'è fermata sui lavori susseguenti al Concilio Ecumenico; e Le siamo obbligati dell'apologia che ne risulta, sull'impegno specialmente che Noi abbiamo messo, e con Noi la Curia romana, per dare pronta, coerente e leale esecuzione ai decreti ed ai voti espressi dal Concilio medesimo;
opera questa complessa e non facile, ma che in breve tempo avrà, Noi speriamo, la sua felice conclusione, pur lasciando al Sinodo Episcopale e alla Commissione per la revisione del Codice di Diritto Canonico non poche e non lievi questioni da studiare e da risolvere.
Ma il riferimento, così espresso, al Concilio non Ci consente di tralasciare, anche in questo breve momento, dal ringraziare la Provvidenza per aver concesso alla Santa Chiesa di celebrare felicemente un avvenimento di tanta importanza, e dal rallegrarci che il Giubileo, tuttora in corso di svolgimento in ogni Diocesi, abbia dato al Concilio la sua prima fecondità,
quella d'una diffusa conoscenza delle dottrine e delle prescrizioni conciliari,
quella d'un rinnovato fervore religioso nel popolo cristiano,
e quella d'un'accresciuta coscienza della natura e della missione della Chiesa.
Questi ricordi, ed ora ancor più a causa della vostra presenza, Signori Cardinali, Ci sono di stimolo a considerare il duplice orizzonte, che sta sempre davanti al Nostro sguardo insonne: quello della vita presente della Chiesa, e quello del mondo circostante, in cui essa si svolge.
Con chi, meglio che con Voi, Nostro Senato e Nostro organo del governo centrale della Chiesa cattolica, potremmo parlare di tali, sempre interessanti e sempre drammatiche situazioni?
Voi conoscete molto bene la prima visione, quella dell'orizzonte ecclesiale; e non ne parleremo ora, per non protrarre questo discorso.
Solo avvertiremo quanto esso abbia bisogno di vigilanza:
fenomeni nuovi Ci obbligano a considerare con amorosa attenzione il fervore, che quasi dappertutto percorre, in ogni suo organo, il corpo della Chiesa;
e nello stesso tempo, con non minore affettuosa comprensione, l'inquietudine, che agita qualche settore, e di non poco interesse, del mondo ecclesiastico, producendo, sia nel campo dottrinale, sia in quello disciplinare, certe espressioni discordanti dai criteri circa l'ossequio alla verità e all'autorità, che definiscono la Chiesa e ne costituiscono la dignità, la vitalità e l'autenticità.
È tema di grande importanza, già presente certamente ai vostri spiriti, sul quale converrà meditare, pregare, discorrere; ma non in questo momento.
Vi invitiamo piuttosto a dare uno sguardo rapidissimo all'altro orizzonte, quello esteriore alla Chiesa, ma nel quale la Chiesa si trova a vivere e ad operare.
Ma anche in questa visione taciamo di proposito la valutazione del panorama generale, sorvolando così gli aspetti che sarebbero maggiormente consolanti e degni di osservazione; quelli cioè che ci presentano la Chiesa in condizioni, possiamo dire, tranquille e normali, dove il regno di Dio, pure in mezzo alle sue fatiche e difficoltà, effonde la sua azione salutare.
E passiamo invece in rassegna quei punti, dove qualche particolare anomalia richiama più vivo il Nostro interesse.
E per cominciare.
Abbiamo sempre davanti ai Nostri occhi il triste spettacolo del Sud Est asiatico, del Vietnam, tormentato da un conflitto e da lotte che tanto lo fanno soffrire e che sembrano non aver fine.
All'aggravarsi della situazione, con la terribile prospettiva della possibile estensione del conflitto, l'esigenza del Nostro Apostolico Ministero Ci ha spinto ad adoperarCi in tutti i modi, intraprendendo pure nuovi cammini, perché una soluzione fosse ricercata e raggiunta attraverso franche ed onorevoli trattative.
Riteniamo superfluo ricordare i Nostri reiterati appelli - pubblici e privati - alla concordia ed alla pace: nulla abbiamo trascurato per affrettare l'incontro degli animi; anzi abbiamo approfittato di ogni circostanza per confortare la speranza di qualche onorevole soluzione.
E così avvicinandosi il Santo Natale, la festa del « Principe della Pace », abbiamo proposto una tregua di armi, auspicando che essa non solo fosse prolungata, ma costituisse altresì una base per l'avvio di negoziati di pace.
Fiduciosi ancora nell'opera delle Nazioni Unite - di questa Organizzazione che lavora per la pace e che nei venti anni della sua esistenza tanti conflitti ha prevenuto e tanti altri ha composto - abbiamo creduto di suggerire un arbitrato, da affidarsi a Paesi neutrali, per la pacifica soluzione della grave questione.
Voi ben conoscete l'esito non risolutivo dei Nostri sinceri e disinteressati sforzi in favore della pace.
Ma non per questo Ci disanimiamo nel continuare la Nostra azione, desiderosi come siamo di promuovere la concordia e la fratellanza dell'umana società, proclamate dal Messaggio evangelico.
Intanto rinnoviamo ai Capi di Stato ed a tutti gli uomini di buona volontà - che con tanta generosità ed entusiasmo hanno risposto alle Nostre premure di Padre e Pastore universale - i sentimenti della Nostra sincera e profonda gratitudine, e ripetiamo l'invito a polarizzare i loro pensieri verso una pace giusta, che dia a quelle popolazioni la libertà, l'ordine, la prosperità.
A seguito di recenti provvedimenti governativi, numerosi Missionari cattolici sono costretti ad abbandonare la nobile Nazione birmana, dove per tanti anni essi hanno contribuito, con zelo e sacrificio, al progresso civico e sociale di quelle generose ed ospitali popolazioni.
Fiduciosi che un Nostro intervento, dovuto unicamente a motivi religiosi e morali, potesse giovare ad attenuare la portata delle disposizioni governative, non abbiamo esitato a intercedere presso quelle Autorità in favore di istituzioni, che Ci stanno tanto a cuore, che assicurano il consolidamento della Chiesa e che favoriscono il progresso civile in quella Nazione.
Purtroppo la speranza non è confortata da felice successo e le notizie che Ci pervengono riempiono di profonda amarezza il Nostro spirito, poiché vediamo allontanati tanti ottimi Missionari e generose Missionarie, senza che essi abbiano mai meritato tale trattamento, e poiché temiamo per la sorte di tanti Nostri figli di quella Nazione, che rimangono privi di una adeguata assistenza spirituale.
Con viva preoccupazione abbiamo seguito le alterne vicende di una contesa armata tra due Nazioni, a Noi care, e delle quali apprezziamo il profondo sentimento religioso e l'incomparabile patrimonio culturale e filosofico.
All'annuncio dell'incontro dei Capi del Governo dell'India e del Pakistan, in un tentativo di risolvere equamente difficoltà e contrasti sorti tra i due Paesi, Ci siamo affrettati ad esprimere i Nostri voti perché quel primo passo fosse coronato dal successo desiderato.
Auspichiamo, ora, che l'accordo raggiunto consolidi la mutua comprensione, e sia preludio di quella serena ed efficace cooperazione, che contribuirà al progresso sociale delle popolazioni, alla ricostruzione dei due Paesi ed al trionfo della causa della pace nel mondo.
È poi per Noi motivo di particolare conforto l'aver potuto portare aiuto a questi due popoli, come ad altri del Sud-Est asiatico, mediante le generose offerte messe a Nostra disposizione da ogni parte del mondo, e formuliamo il voto che la loro distribuzione, affidata principalmente alla Caritas Internationalis, possa non incontrare difficoltà, poiché l'unico scopo che Ci ha mossi è quello di alleviare le sofferenze di popoli a Noi tanto cari.
Altra Nazione alla quale si è rivolta la Nostra particolare attenzione e paterno interessamento è la Repubblica Dominicana.
Da oltre un anno, com'è noto, gravi disordini ne hanno turbato profondamente la pace.
Il Nostro cuore non poteva rimanere insensibile di fronte a tanto pericolo e, memori del Nostro dovere pastorale, abbiamo cercato, tramite in modo speciale il Nunzio Apostolico locale, di moltiplicare sforzi e tentativi per aiutare, per soccorrere e per ricordare a tutti i figli della Repubblica Dominicana che unicamente con la mutua comprensione, la vicendevole carità, il rispetto degli altrui diritti ed il generoso assolvimento dei propri doveri, rivolti specialmente a favorire il progresso sociale, sarà possibile il ritorno della auspicata tranquillità, e il rifiorire della prosperità.
Ci conforta il pensiero che i Nostri ripetuti appelli non sono rimasti inascoltati e Ci arride la speranza che quella nobile Nazione - auspice la sua celeste Patrona, la Vergine della Altagrazia - possa ritrovare finalmente, dopo tante prove dolorose, il cammino della pace, del benessere e della prosperità.
Il Nostro pensiero si è rivolto poi ad un'altra Nazione che Ci è pure molto cara, la Repubblica di Haiti.
Particolari difficoltà hanno turbato in questi ultimi anni quella cordialità e normalità di rapporti, che sono sempre necessari ed auspicabili fra l'autorità religiosa e quella civile.
Tali fatti hanno arrecato a Noi e a Nostri Fratelli grave dolore; ma confidiamo che - nel sincero reciproco desiderio di ridare al Paese pace e serenità religiosa - le varie questioni pendenti possano trovare quanto prima soddisfacente soluzione e la Chiesa possa riprendere con rinnovato vigore la propria attività e contribuire in misura sempre più larga al benessere ed alla prosperità di quella Nazione che è tanto vicina al Nostro cuore, ed alla quale indirizziamo il Nostro saluto beneaugurante e benedicente.
Un altro Paese tanto vicino al Nostro spirito per le memorie apostoliche che vi sono collegate, ma dove permangono tensioni e contrasti, è Cipro.
Mossi dal sentimento del Nostro apostolico ministero e dal vivo desiderio di contribuire alla pace di tutti i popoli, Noi abbiamo cercato, anche recentemente, di fare appello alla buona volontà dei Capi di Stato e dei Governi interessati, perché fossero tentate tutte le vie per una soluzione negoziata della vertenza, al fine di assicurare, nel rispetto dei diritti umani e civili e nella salvaguardia dei legittimi interessi di tutti, la concordia e la pace a quelle popolazioni così lungamente provate.
Nell'intento di onorare la Madonna Santissima nel suo venerato Santuario di Czestochowa e per partecipare personalmente alle solenni celebrazioni millenarie della diletta Nazione Polacca, era Nostro proposito, com'è noto, di accogliere il ripetuto ed obbligante invito rivoltoci dal Signor Cardinale Stefano Wyszynski, Primate di Polonia e Arcivescovo di Varsavia, unitamente a quello di tutto l'Episconato e dei Nostri cari figli polacchi, per averCi fra di loro.
L'attuazione di questo pellegrinaggio - lo ripetiamo ancora non senza dispiacere - non è stata possibile.
Ciononostante, siamo stati e rimaniamo spiritualmente e intimamente vicini alla cattolica Nazione, la cui concordia, progresso e vera pace imploriamo dal Signore, mentre Ci rallegriamo nel vedere che i Vescovi e il popolo cristiano, fermamente uniti al degnissimo Cardinale Primate, hanno riconfermato la loro volontà di mantenersi fedeli, senza mai venir meno all'amore della loro Patria, alla Chiesa di Cristo e al suo Vicario il Romano Pontefice.
Un altro Paese al quale si è rivolta con particolare affetto la Nostra premurosa attenzione è stata la Jugoslavia.
Già all'inizio del Nostro Pontificato - non insensibili alle prove di nuova partecipazione di quel Governo ai più solenni avvenimenti, lieti o tristi, della Sede Apostolica, quali le onoranze funebri al Nostro indimenticabile Predecessore Papa Giovanni XXIII e la Nostra Incoronazione - volgemmo lo sguardo verso le condizioni, i problemi, le speranze della Chiesa fra quei popoli;
e ben volentieri demmo il Nostro assenso e le Nostre direttive alle conversazioni che le stesse Autorità civili dimostrarono di voler condurre con la Santa Sede, allo scopo di ricercare un onesto, anche se non ancora completo, regolamento delle relazioni fra la Chiesa cattolica e lo Stato jugoslavo e dei rapporti fra quel Governo e la Santa Sede.
Una tappa del cammino così intrapreso sta per conchiudersi positivamente, e Noi affidiamo alla Provvidenza questo risultato perché sia apportatore di frutti benefici per la Chiesa e per i popoli in quella Nazione.
In adempimento del Nostro dovere pastorale, mossi dalla Nostra universale paternità e al fine di contribuire al superamento delle difficoltà che turbano la civile concordia fra i popoli e minacciano di provocare dolorosissimi e irreparabili conflitti, abbiamo ricevuto in Udienza S. E. Andrei Gromiko, Ministro degli Affari Esteri dell'Unione Sovietica, recatosi da Noi quale Rappresentante ufficiale del suo governo.
L'incontro rese, infatti, possibile l'auspicata continuazione del colloquio iniziato a New York - in occasione del Nostro viaggio alle Nazioni Unite - in merito ai problemi della pace, senza - naturalmente - dimenticare i problemi della Chiesa e dei fedeli in tutto il vasto territorio che forma l'Unione Sovietica e di una meno inadeguata assistenza religiosa ai numerosi gruppi cattolici residenti nel grande e nobile Paese.
Vogliamo sperare che questo incontro non sarà senza frutto per la causa della pace e della effettiva libertà religiosa.
Grandi problemi agitano il mondo africano, nuovo nelle sue istituzioni politiche, desideroso di trovare stabilità ed equilibrio per segnare la propria via nel mondo, e bisognoso, come tutti i popoli giovani, di aiuto disinteressato e fraterno.
La Chiesa, che ha dedicato all'Africa un'assistenza missionaria generosa e assidua, guarda con grande fiducia e simpatia, e aiuta quanto può lo sviluppo delle popolazioni africane.
Non si possono nascondere le gravi difficoltà che nascono da particolari situazioni nello stabilire retti rapporti di giustizia ed equità tra i vari gruppi che compongono una nazione, sia dal punto di vista economico, sia da quello sociale ed etnico.
Esse devono essere affrontate con coraggio e con saggezza.
La scuola del Vangelo può contribuire in maniera decisiva nella formazione d'una superiore mentalità africana.
È necessario che coloro i quali si adoperano per promuovere il bene comune tengano presenti i tesori di luce e di civiltà derivanti dal Vangelo e guardino avanti, spingano lo sguardo verso il futuro:
un mondo nuovo sta preparandosi faticosamente,
un mondo che tende ad esser più compatto e più articolato, necessariamente più interdipendente, più unito nella sua diversità, più presente a se stesso;
un mondo più giusto, dove sempre più profonda e generale si fa la comprensione dell'uguaglianza fondamentale tra gli uomini, che ha nel Vangelo la sua conferma e la sua elevazione: « Non enim est distinctio Iudaei, et Graeci: nam idem Dominus omnium, dives in omnes, qui invocant illum » ( Rm 10,12 ).
Seguiamo con vivo interesse i tentativi che si compiono in Rhodesia per risolvere, in via pacifica, una questione complessa e delicata.
Nutriamo viva fiducia che le parti in causa, animate da buona volontà e dal senso della realtà, sapranno finalmente trovare una soddisfacente soluzione che, nel comporre rettamente i diritti di ognuno, prepari sempre maggiori possibilità di promozione umana e civile per tutti dando concreta espressione della fraternità umana e cristiana e favorisca la pace e la collaborazione delle genti dell'Africa.
Potremmo continuare.
L'orizzonte fa il giro del mondo, e abbraccia tutti i Paesi, presenta innumerevoli questioni.
Ma basti così.
Vi diciamo queste cose, Signori Cardinali, perché sappiate quanto la Santa Sede, per opera specialmente della Nostra Segreteria di Stato, sia sollecita per le sorti dell'umanità.
È la Chiesa, al suo centro, come lo è nel vastissimo quadro della vita dei Popoli, che osserva, che ama, che soffre, che serve, che compie la sua missione, non puramente religiosa, sebbene sempre mossa da principii, da mezzi e da fini che la religione fornisce, ma insieme umana e civile.
È la Costituzione pastorale del Concilio « Gaudium et spes », che trova in quest'attività illuminante e benefica della Santa Sede la sua applicazione.
E a voi le diciamo queste cose, perché sappiamo quanto voi ne condividete le ansie, le fatiche, le soddisfazioni ed i meriti; e perché speriamo che proprio in questo sforzo di pace mondiale voi ci sarete ancora ottimi consiglieri, validi collaboratori.
Né, così facendo, miglior prova Ci potreste dare del valore dei vostri auguri; né aver maggior titolo alla Nostra riconoscenza e alla Nostra Benedizione.