26 giugno 1967
La ragione che qui vi raccoglie, venerabili Fratelli e diletti Figli Nostri, per la celebrazione dell'odierno Concistoro - di questa che, da antichissima data, è una delle più solenni occasioni, in cui il Papa si incontra con i suoi diretti collaboratori nel servizio della Chiesa Universale, i Cardinali del Sacro Collegio - la ragione, diciamo, che qui, oggi, vi chiama accanto a Noi, è duplice:
anzitutto la nomina dei nuovi Cardinali, che abbiamo voluto far entrare nel vostro alto consesso;
quindi l'annuncio delle provviste delle sedi vescovili, preconizzando al tempo stesso i nuovi chiamati alla dignità e all'ufficio episcopale;
e, in secondo luogo, la necessità, che sentiamo intima e sofferta, di gettare
con voi lo sguardo ansioso e pieno di attesa sull'ora presente della Chiesa e del mondo;
con voi, che condividete le Nostre ansie e le Nostre sollecitudini;
con voi, la cui esperienza e prudenza abbiamo tante volte sperimentate;
con voi, la cui assistenza al Nostro fianco Ci infonde tanta sicurezza e tanta consolazione, dopo l'immensa fiducia che riponiamo in Dio.
La nomina dei nuovi Cardinali Ci offre anzitutto l'opportunità di ripetervi i criteri che l'hanno originata: criteri che del resto vi sono ben noti, e di cui voi, qui presenti, e gli altri membri del Sacro Collegio, sparsi nel mondo, siete la prova evidente e suggestiva.
Abbiamo anzitutto voluto pubblicamente riconoscere i meriti di Persone, che hanno servito fedelmente la Chiesa in lunghi anni di fervida applicazione,
sia nei dicasteri centrali della Curia Romana, al contatto di problemi ed avvenimenti della vita ecclesiastica, particolarmente intensi in questi anni recenti,
sia nel governo pastorale di sedi vescovili di antiche e nobili tradizioni cattoliche, rappresentative di intere nazioni;
e sia nell'ufficio di Nostri Rappresentanti in vari Paesi del mondo.
Meriti indubitabili, a tutti noti e da tutti riconosciuti, che Noi volentieri additiamo alla Chiesa mediante questo Nostro personale attestato di riconoscenza e di stima; meriti poi che di per sé escludono da parte Nostra ogni indebito personalismo.
L'atto che ora compiamo pone in luce un secondo criterio, che Ci ha mossi a questo passo importante.
Che è quello di conferire carattere di sempre maggiore e più vasta rappresentatività al Sacro Collegio.
È quanto aveva mosso il Nostro Predecessore Pio XII, fin dal 20 febbraio del 1946, quando, seguendo del resto l'esempio dei Predecessori, con gesto come profetico e di immensa risonanza, egli chiamò a far parte di questo ecclesiastico senato eletti Presuli « e quinque terrarum orbis partibus »; e con questo gesto, egli dichiarò in quello storico Concistoro Segreto, « illud in nova luce ponitur, quod peculiaris est Catholicae Ecclesiae nota: eam nempe non ad aliquam tantummodo stirpem, gentem nationemve pertinere, sed ad singulos universos humanae familiae populos; quos quidem, divino Iesu Christi sanguine redemptos, materno animo amplectitur omnes, ac fraterna invicem caritate copulatos ad supernam patriam perpetuoque mansuram convertit ac dirigit » ( Discorsi e Radiomessaggi, VII, 374 ).
Da allora questa finalità universalistica si è affermata sempre di più; essa è stata la nota dominante delle vaste scelte del Nostro immediato Predecessore Giovanni XXIII, ed ha guidato altresì come una stella luminosa, anche la Nostra umile e ferma azione, fin da quando il Signore Ci ha posti sulla Cattedra del suo primo Apostolo.
La ragione è evidente e spiega un terzo criterio: ed è quella di associare al governo centrale membri degni e valenti, esperimentati in lunghi anni di servizio alla Chiesa, provenienti da tutti i popoli, e da tutte le più svariate circostanze di carattere pastorale, storico, ambientale, psicologico.
L'immensa responsabilità che Ci è commessa, la fralezza delle Nostre forze, l'urgenza dei problemi che chiedono di essere risolti, esige questa oculatezza e ampiezza di scelta.
E, come tale, questa pone in particolare rilievo il quarto ed ultimo criterio, che Ci ha mossi: quello di far risplendere sempre di più davanti al mondo - un mondo purtroppo diviso, spesso sfiduciato e ostile nei suoi rapporti tra popoli, che pur dovrebbero essere e comportarsi da fratelli e non sono - le note dell'unità e della cattolicità della Chiesa:
l'unità che, di molte membra, di varie differenze etniche e sociali forma unum corpus ( Ef 4,4 ), mirabilmente fuso nella carità di Cristo, « ex quo totum corpus compactum et connexum per omnem iuncturam subministrationis … augmentum corporis facit in aedificationem sui in caritate» ( Ef 4,16 );
la cattolicità, che abbraccia tutti gli uomini di tutti i tempi e luoghi, li sottrae alle tentazioni dell'egoismo e dell'individualismo, e ne dilata i confini dell'amore, senza più barriere.
II. - Tutto questo vi fa dunque capire con quale animo Noi, oggi, traendo motivo dall'evento che qui Ci ha trattenuti finora, guardiamo alla Chiesa e al mondo.
È un duplice sguardo, che Ci sentiamo obbligati a gettare con voi, per il singolare, gravissimo rilievo dell'ora, che viviamo.
È questa l'ora della Chiesa, venerabili Fratelli e diletti Figli Nostri.
Un'ora grande, un'ora benedetta, un'ora delicata.
Un'ora che esige docilità e fervore, e vigile attenzione alla voce dello Spirito Santo, secondo il grave e misterioso avvertimento rivolto nella visione giovannea dell'Apocalisse: « Qui habet aurem audiat quid Spiritus dicat Ecclesiis » ( Ap 2,29; Ap 3,6 ).
È dovere di tutti, pastori e fedeli, scrutare i divini disegni, e cercar di penetrare la volontà del Signore per diventarne fedeli interpreti ed esecutori.
È un'ora particolare, in cui sorgono nuove strutture, a cui la gran fiamma rinnovatrice del Concilio ha dato ispirazione e calore e movimento.
È pur vero che le novità e i cambiamenti introdotti in alcuni settori della pratica liturgica e pastorale hanno potuto indurre qualche spirito incauto o insofferente a ritenere giustificate novità e cambiamenti anche dottrinali e disciplinari.
Ne abbiamo accennato espressamente a voi, membri del Sacro Collegio, nella Nostra festa onomastica di quest'anno, con le parole a voi rivolte, or sono due giorni, come pure dello scorso anno, quando vi abbiamo parlato della « inquietudine, che agita qualche settore, e di non poco interesse, del mondo ecclesiastico, producendo, sia nel campo dottrinale, sia in quello disciplinare, certe espressioni discordanti dai criteri circa l'ossequio alla verità e all'autorità, che definiscono la Chiesa e ne costituiscono la dignità, la vitalità e l'autenticità ».
Tuttavia, come di recente abbiamo detto a Fatima, il magnifico risveglio suscitato dal Concilio non deve divenire per la Chiesa « acquiescenza alle forme negative della mentalità profana e del costume mondano ».
La Chiesa deve risplendere, oggi, agli occhi del mondo, come il Divino Salvatore la volle, « columna et firmamentum veritatis » ( 1 Tm 3,15 );
garanzia sicura dell'indefettibilità della Parola di Dio, che in essa vive, e che, anche oggi,
è per l'uomo l'unica risposta ai suoi sommi problemi e ai suoi tormentosi interrogativi;
centro e direzione dell'universale « coetus caritatis » ( cf. S. Ignat. Ant. );
dispensatrice di aiuto fraterno;
ispiratrice di pensieri e di opere di pace.
È questa Chiesa - Madre e Maestra - che tiene occupato il Nostro pensiero e la Nostra preghiera, « una Chiesa viva, una Chiesa vera, una Chiesa unita, una Chiesa santa » ( ibid. ), come ancora abbiamo detto a Fatima.
Una Chiesa in cui splendano davanti al mondo, nel loro genuino fulgore, le virtù vere che hanno scosso un tempo il mondo pagano, trasformandolo dalle radici:
la giustizia,
la fortezza d'animo,
la purezza dei costumi,
la generosità,
il disinteresse,
la povertà,
la probità,
la lealtà;
ma soprattutto la fede, che muove le montagne ( cf. Mt 21,21 ),
la speranza che distacca il cuore da questo mondo effimero e lo rivolge al regno eterno di Dio,
la carità ardente e paziente, che ci lega a Dio e ai fratelli.
Una Chiesa umile e semplice, impavida e trascinatrice, in cui tutti riconoscano la propria Madre, e ritrovino la propria Casa.
Questa è la Chiesa che abbiamo chiesta a Maria Santissima, Mater Ecclesiae, nel Nostro recente pellegrinaggio a Fatima, e di cui, fin dall'alba del Pontificato, abbiamo tracciato qualche linea dell'ideale e reale ritratto nella Nostra prima Lettera Enciclica « Ecclesiam Suam », affinché essa, la Chiesa, voglia sempre più decisamente « vivere la propria vocazione e offrire al mondo il suo messaggio di fraternità e di salvezza ».
Le stesse sofferenze della Chiesa, che anche oggi ne accompagnano il cammino col sacrificio e l'oppressione morale di tanti suoi figli, costretti a rinunciare alla loro libera professione religiosa e a chiudere nell'intimo rifugio del cuore l'insopprimibile dovere dell'atto di fede, sono conferma di questa santità, e garanzia consolantissima della continua assistenza del Signore: « In mundo pressuram habebitis; sed confidite, ego vici mundum » ( Gv 16,33 ).
E pertanto lo sguardo, che si fa ansioso e pieno di speranza e di tristezza ad un tempo, si rivolge ora al più vasto orizzonte del mondo, a quel mondo che il Concilio ha guardato con immensa benevolenza.
È l'ora del mondo, questa, perché esso, ai nostri giorni, si è come tutto risvegliato, ha preso nuova coscienza di sé, e perché ad esso, cioè alle sue immense e ricchissime risorse di bravura, di esperienza, di forza, la Chiesa guarda con nuovo, apostolico interesse, a lui rivolgendo i suoi spirituali servizi con appassionato amore e da lui attendendo qualche nuova comprensione non che preziosi e validi strumenti per la propria missione evangelizzatrice.
Il mondo è diventato adulto, e attende giustizia, equa distribuzione dei beni, progresso, pace; è questo il mondo che la Chiesa « prae oculis habet, seu universam familiam humanam cum universitate rerum inter quas vivit; mundum, theatrum historiae generis humani, eiusque industria, cladibus ac victoriis signatum; mundum, quem christifideles credunt ex amore Creatoris conditum et conservatum, sub peccati quidem servitute positum, sed a Christo crucifixo et resurgente, fracta potestate Maligni, liberatum, ut secundum propositum Dei transformetur et ad consummationem perveniat » ( Const. past. Gaudium et Spes, n. 2 ).
Ma è da questo mondo, altresì, che oggi vengono i motivi di più grande sofferenza per il Nostro cuore di Pastore della Chiesa universale, e di quanti « Spiritus Sanctus posuit episcopos regere Ecclesiam Dei » ( At 20,28 ):
l'indifferenza di molti alle verità religiose e spirituali;
la diffusa mancanza d'amore;
l'esaltazione vacua e quasi idolatrica dell'autonoma potenza dell'uomo, da cui già tanti lutti sono stati causati in un recente passato;
l'ostilità preconcetta verso l'azione della Chiesa la quale rimane tuttora, in vari Paesi, in maggiore o minore misura, priva di quella libertà e dell'esercizio di quei diritti che ad essa competono, anche nell'ambito dell'interna organizzazione,
della nomina dei sacri Pastori,
della formazione dei futuri ministri dell'Altare,
dell'educazione cristiana della gioventù.
Voi comprendete, venerabili Fratelli e diletti Figli, a chi vanno le Nostre ansie; e se possiamo augurarci che, dove qualche onorevole modus vivendi è stato possibile instaurare, la sopravvivenza della Chiesa possa preludere a future migliori condizioni della sua normale attività, dobbiamo ancora profondamente dolerci della triste e tribolata situazione della Chiesa in quelle altre Nazioni in cui, sotto l'accusa immeritata d'oscurantismo ed il falso sospetto di insubordinazione, le è contestato il diritto di tranquilla e sicura esistenza.
Ma altre ansie e preoccupazioni incalzano: le vampe della guerra fratricida sono di nuovo qua e là scoppiate, e mettono in pericolo nel mondo la pace e la serena convivenza dei popoli.
Anzitutto permetteteci di menzionare il Vietnam, il Paese tanto provato dal prolungato conflitto, e la cui comunità cattolica si dimostra fervorosa ed esemplare per la compattezza della fede e la forza pur fra le avversità.
Purtroppo la condizione del Sud Est Asiatico è ancora tanto travagliata; eppure, per quanto stava in Noi, abbiamo moltiplicato le iniziative.
Abbiamo incoraggiato ogni passo autorevole intrapreso, perché i figli di una stessa terra tornino ad amarsi come fratelli, e tutti, nel posto che a ciascuno compete, lavorino nella sicurezza e nella libertà alla ricostruzione e al progresso economico e sociale della propria Patria, libera e indipendente.
E questo diciamo anche per la condizione del Vicino Oriente, dopo la guerra che ha fatto esplodere tremendi contrasti, ha falciato vite umane, ha accresciuto ed esasperato il problema dei profughi, ed ha messo in evidenza la troppo precaria e inadeguata situazione dei Luoghi Santi, cari e sacri per ogni cuore cristiano.
Ai primi annunci del conflitto, Noi scongiurammo, per il tramite dei Nostri Rappresentanti, che i governi evitassero quanto poteva aggravare la situazione;
scoppiate le ostilità, abbiamo fatto il possibile, ma inutilmente, per risparmiare rovine e tribolazioni a quelle popolazioni e per evitare almeno a Gerusalemme le sofferenze e i danni della guerra, chiedendo a tutte le Nazioni interessate di accogliere la richiesta delle Nazioni Unite per la cessazione del fuoco;
dopo il conflitto, Ci siamo prodigati per lenire, un poco almeno, tante ferite.
Noi rinnoviamo i Nostri appelli; questioni gravi attendono di essere risolte:
la condizione dei profughi palestinesi specialmente Ci rattrista profondamente, ed attende il rimedio di una soluzione equa e generosa;
i difficili e complessi problemi territoriali che da tempo aspettano una ragionevole soluzione, e che il conflitto armato ha ora messo in tragica luce, devono essere affrontati senza indugio, per il bene della stessa umanità;
la Città Santa di Gerusalemme deve restare per sempre ciò che rappresenta:
Città di Dio,
libera oasi di pace e di preghiera,
luogo di incontro,
di elevazione
e di concordia per tutti,
on proprio statuto internazionalmente garantito.
Ma qui, sospendendo questa Nostra fugace rassegna dell'orizzonte del mondo, pensiamo che sarebbe illusione voler costruire la pace su un terreno che non sia di giustizia, di riconoscimento dei diritti umani, di accettazione del diritto altrui, così come si vuole riconosciuto il proprio.
Concordia e pace non vanno disgiunte da giustizia e da verità.
E questi valori Noi auguriamo all'umanità e questi invochiamo dalla sempre generosa bontà di Dio.
Vi abbiamo aperto il cuore.
Non Ci resta che procedere all'atto solenne, che riguarda la nomina dei nuovi Cardinali.