Giovedì, 23 dicembre 1971
Signori Cardinali!
Venerati Fratelli e Figli della Prelatura e della Curia Romana!
Salute a voi, in Cristo Gesù, nell'amore del Padre, nella comunione dello Spirito.
L'attesa dell'imminente Natale ci trova riuniti in questo a Noi sempre carissimo incontro.
Attendiamo la venuta del Figlio di Dio, che riempie il mondo della sua luce e della sua grazia; e in questa fede in Lui fulcro della storia umana, centro dei due Testamenti, aspettazione di tutti i popoli, ci è amabile sostare insieme, per sentire più viva e stimolante la sua presenza in mezzo a noi, e per riprendere energia e incoraggiamento per vivere di Lui, per essere gli apostoli del suo messaggio di salvezza: « quia ipse est sapientia, - come scrive S. Ambrogio - ipse est Verbum, et Verbum Dei … Ipsum semper loquamur.
Cum de sapientia loquimur, ipse est; cum de virtute loquimur, ipse est; cum de iustitia loquimur, ipse est; cum de pace loquimur, ipse est; cum de veritate et vita et redemptione loquimur, ipse est » ( Explan. Psalmi 37, 66 ).
Di Lui vuole essere piena la Nostra bocca, perché ne è pieno il cuore, che veglia nella preghiera e nell'attesa: e per questo è bello ogni anno ritrovarci, in questa antivigilia di Natale.
Siamo grati al venerando Cardinale Cento per averci introdotti in questa atmosfera con le sue fervide parole, con cui ha voluto richiamare alla memoria fatti ed avvenimenti dell'anno che volge al termine; gli siamo grati per tanta bontà, soprattutto per la promessa di preghiere, su cui tanto contiamo; e inviamo un augurio deferente e affettuoso al Cardinale Tisserant, Decano del Sacro Collegio, come agli altri Cardinali dei quali oggi sentiamo l'assenza, con particolare pensiero al Card. Mindsaenty, che abbiamo riabbracciato quest'anno con tanta commozione.
Lo scopo del presente discorso è quello di gettare insieme uno sguardo sulla Chiesa e sul mondo, specialmente in riferimento al Concilio Vaticano II e alle condizioni generali dell'umanità: lo facciamo tanto volentieri in quanto ci è dato di rilevare insieme i « segni dei tempi », per trarne le riflessioni opportune per noi e per la Chiesa intera.
La vita della Chiesa è tuttora sotto il segno del Concilio, di questo avvenimento fondamentale di cui il Signore ci ha dato la grazia di vivere l'esperienza entusiasmante e solenne.
Esso ha segnato una tappa di grande importanza nella dottrina, nella organizzazione, nella pastorale, in una parola nell'« aggiornamento » della Chiesa, quale Dio l'ha voluta.
Il rinnovamento liturgico, le responsabilità collegiali dell'intero Corpo episcopale unito con Pietro, la vita sacerdotale e religiosa, la presa di coscienza del laicato cattolico hanno ricevuto nuovo slancio di là, dal Concilio, è là fanno continuo riferimento;
di là è partito anche un fruttuoso lavorio di ricerca e di approfondimento teologico, del quale vediamo già alcuni frutti, che aspettiamo sempre più abbondanti e positivi, nell'arricchimento e nella meditazione dell'immutabile depositum fidei;
vi è stata una fioritura di studi e di contributi, nell'ambito delle scienze bibliche, della teologia, della morale, della vita spirituale, che resteranno a documentare inequivocabilmente il fervore di studi di questa epoca conciliare e Post-conciliare.
Quel grande avvenimento è stato proprio un'integrazione logica e coerente e fedele del sacro depositum, e una applicazione nuova e adeguata dell'azione pastorale della Chiesa ai bisogni dei tempi.
Vero è che - vogliamo, come sempre, essere obiettivi e realisti - è affiorata da qualche parte una certa ambiguità nell'interpretazione generale del Concilio; anzi per taluni esso autorizzerebbe cambiamenti profondi nell'ordine teologico e mutamenti costituzionali eversivi.
Gli aspetti principali di questa ambiguità, che talora ha non poco turbato il sensum fidei del Popolo di Dio, sono:
il ripudio della tradizione;
la contestazione dell'autorità, che, pur partendo da ottimi principi - quali servizio, eguaglianza, solidarietà e amore - la considera come se derivasse dal volere della comunità;
l'adeguamento alle correnti democratiche della società profana;
la tendenza ad eliminare i doveri e ad accrescere un'interpretazione più comoda e più facile dell'impegno cristiano.
In contrapposto a tali atteggiamenti, resta oggi la necessità, come ha voluto il Concilio, di coordinare la concezione della libertà cristiana - del farsi « tutto a tutti », del non rendere difficile la vita cristiana - con l'esigenza della Fede e della Croce.
Nonostante gli accennati fattori di ambiguità, Noi rimaniamo aperti alla fiducia più piena, abbiamo tenacissima speranza - il Natale non è forse la festa della speranza? - che, come ce lo indicano segni certi e confortanti, l'amore vero, profondo, sofferto alla Chiesa saprà portare a risultati costruttivi e positivi, con la cooperazione di tutti, clero, religiosi e laici, sotto la guida sapiente dei nostri Fratelli nell'episcopato, i successori degli Apostoli.
Un fatto saliente e recente di questa volontà di rinnovamento nell'ordine e nella serietà è stato dato dal Sinodo dei Vescovi, la cui seconda assemblea generale è terminata nello scorso mese di 2 novembre.
Essa è stata preparata con piena larghezza di consultazioni, con oculata scelta dei temi, suggeriti dalla Segreteria del Sinodo in seguito alle indicazioni emerse dalle Conferenze episcopali, e presentati alla discussione in documenti predisposti a cura della Segreteria medesima.
La esperienza certo - come già abbiamo detto al termine del Sinodo - potrà suggerire di perfezionare il regolamento e i modi di procedura.
Ma, ad un primo esame dei lavori svolti, bisogna riconoscere lealmente con quanta fraternità e libertà esso sia stato celebrato.
Lode e riconoscenza ai Presidenti Delegati, al Segretario ed a quanti ne hanno coadiuvato il difficile lavoro!
I risultati sono davanti agli occhi di tutti, e parlano da sé: abbiamo infatti ritenuto conveniente che i due documenti sinodali, anche se direttamente a Noi destinati come risposta alla consultazione da Noi stessi proposta ai Padri, fossero resi noti a tutta la Chiesa, in vista dei benefici effetti che ne sarebbero certamente derivati.
I due menzionati documenti invero rappresentano davanti ai Nostri occhi il frutto di un intenso studio, che attraverso le Conferenze episcopali, ci ha portato la voce, i desideri, le aspettative, i voti delle Chiese locali; esse ci hanno offerto la loro collaborazione su argomenti di vitale importanza, e ci è stato gradito accoglierla come conforto meditato e consapevole alla Nostra universale azione pastorale al servizio della Chiesa, in due settori di particolare importanza, da tutti sentita: il sacerdozio ministeriale e la giustizia nel mondo.
Le riflessioni dei Padri hanno anzitutto richiamato la dottrina, la spiritualità, la prassi della Chiesa sul sacerdozio.
Essi hanno confermato sostanzialmente la concezione della Chiesa e del Concilio su tale tema.
Da questo approfondimento, quale invito alla magnanima fedeltà scaturisce per il nostro sacerdozio, per Noi e per tutti i Nostri confratelli, impegnati nella sequela e nel servizio di Cristo mediante l'ordinazione sacramentale al sacerdozio ministeriale!
Quanto chiaramente delineata la « identità » del sacerdozio cattolico!
Quale beneficio assicurato, ancor oggi, all'economia della parola di Dio, alla dispensazione della Grazia, alla direzione pastorale del Popolo di Dio; quale pienezza di coscienza, di adesione generosa e gioiosa alla concezione paradossale, perché evangelica, santa, mistica cioè ed ascetica, semplice ed umana nella realtà pratica e profetica, della Nostra sequela di Cristo, qualificata dal duplice e totale dono di amore a Cristo stesso, ed, in Lui e per Lui, ai fratelli ed al mondo.
In questo quadro, l'impegno spontaneo e completo del sacro celibato, tradizionale nella Chiesa Latina, non poteva non avere nel Sinodo l'espressione che conosciamo, non solo di convinta conferma, ma di rinnovamento attuale e storico.
I Padri, pur non ignorando le difficoltà presenti della vita del Clero, non hanno trovato anacronistico questo modo di rispondere alla esigenza dell'amore di Cristo, selezionando per il ministero sacerdotale solo coloro che per carisma di vocazione e di grazia scelgono con libertà, e per la libertà del loro pieno ed esclusivo servizio, il sacro celibato.
Essi hanno ritenuto il celibato non un ostacolo isolante alla missione del Sacerdote nel mondo moderno, ma piuttosto una qualificazione, in parte reagente, in parte penetrante, per dialogare con esso, con il vigore evangelico del sale e della luce ( Cfr. Mt 5,13 ).
Noi siamo certi che sia la presente e sia ancor più la giovane e futura generazione del clero accoglieranno volentieri tale disciplina, e la vivranno con umile splendore.
La apprezza chi ama, col cuore aperto allo Spirito Santo, e immolato al miglior rendimento del proprio servizio alla Chiesa e al Popolo di Dio.
Le vocazioni fioriranno se la Croce ne sarà la potente attrattiva.
L'altro risultato del Sinodo è quello che riguarda la giustizia, e ci impegna ad approfondire il concetto della giustizia sociale e a studiare come la Chiesa ne può difendere le esigenze e favorire lo sviluppo, col coraggio e con la mitezza del Vangelo.
Se ne è tanto parlato in questi ultimi tempi; ma il discorso e l'opera, soprattutto, non sono finiti.
Si attende la voce e l'azione della Chiesa in favore di quanti soffrono nel mondo oppressione, povertà, discriminazioni, violenze.
E la Chiesa continua la sua opera, sulla linea della sua dottrina sociale, proclamata dai Romani Pontefici, per dare questa risposta.
Questo Sinodo è stato certo un avvenimento felice: così lo debbiamo ricordare.
Ma vi sono tanti altri fatti nuovi nella Chiesa, meritevoli di particolare menzione, che vogliamo richiamare:
l'intensità dell'attività missionaria;
lo studio approfondito, scientifico dei problemi della catechesi, per corrispondere a questa fondamentale vocazione della Chiesa;
il rinnovamento della formazione nei seminari;
l'impulso dato alla vita religiosa, riserva fecondissima di forze sante per la vita intima e per l'irradiazione esterna della Chiesa;
il procedere silenzioso ma tanto proficuo del lavoro ecumenico, con i contatti avuti a Roma - tra cui è stato di particolare rilievo, com'Ella, Signor Cardinale, ha ricordato, quello da Noi avuto con Sua Beatitudine il Patriarca Siro-ortodosso Jacob III - e numerosi scambi fuori Roma, mediante il nostro Segretariato per l'Unità dei Cristiani;
lo sviluppo delle attività di apostolato e di testimonianza dei laici, che la Santa Sede promuove nel mondo per mezzo del Consilium de Laicis;
le riforme liturgiche gradualmente promosse, tra cui quest'anno spicca l'apparire e l'entrata in vigore della Liturgia Horarum, che, in mano ai nostri sacerdoti, darà nuove ali alla loro preghiera per la Chiesa, con la Chiesa e a nome della Chiesa;
la legislazione sui matrimoni misti e sull'azione giudiziaria in materia matrimoniale;
l'istituzione di un organo di coordinamento nell'attività caritativa della Chiesa, detto « Cor unum ».
Né vogliamo dimenticare l'afflusso sempre crescente delle masse dei fedeli, che da ogni parte del mondo vengono a Roma, continuando l'antichissimo pellegrinaggio ai sacri trofei degli Apostoli, e in particolare a quello di Pietro, per portarci l'espressione della loro fede genuina, e con i quali continuiamo un colloquio pastorale, che annoveriamo tra le consolazioni e le responsabilità più alte del Nostro ministero.
Ma in modo particolare vogliamo cogliere l'odierna occasione per ringraziare i Confratelli nell'Episcopato, i Governi, le organizzazioni internazionali, il clero, il laicato per l'accoglienza da essi riservata alla lettera Octogesima adveniens, da Noi inviata al Card. Roy nell'80° anniversario dell'Enciclica « Rerum novarum ».
È stata una risposta tanto consolante per il Nostro cuore.
Soprattutto l'eco dei Nostri figli della Chiesa ci ha recato la testimonianza di una ferma volontà di riesaminare alla luce degli insegnamenti cristiani, affermati dal Nostro Predecessore Leone XIII di v.m., i nuovi problemi sociali, che la radicale trasformazione e la continua evoluzione in atto nel mondo moderno ha indotto con sé; e ci ha dichiarato l'impegno di considerare con intelligente comprensione le ansie e le aspirazioni dei contemporanei, per darvi la risposta che parte dal Vangelo.
Ci richiamiamo a tale consonanza di propositi e d'intenti per cogliere un lietissimo auspicio per l'Anno Nuovo.
Come abbiamo scritto nella citata lettera, « ciascuno esamini se stesso per vedere quello che finora ha fatto e quello che deve fare.
Non basta ricordare i principi, affermare le intenzioni, sottolineare le stridenti ingiustizie e proferire denunce profetiche: queste parole non avranno peso reale se non sono accompagnate in ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria responsabilità e da una azione effettiva » ( n. 48 ).
A questa presa di coscienza dei propri doveri, davanti alla società e davanti alla Chiesa - a cui il Sinodo ha fatto eco fedele nel suo secondo documento - Noi invitiamo tutti i fedeli, anzi tutti gli uomini di buona volontà, affinché approfondiscano sempre maggiormente tale loro responsabilità, e passino umilmente, ma decisamente all'azione.
Questa è l'ora delle forti volontà, delle grandi decisioni: la voce di Cristo tutti ci chiama a impegnarci a fondo per i fratelli.
Nessuno rimanga assente: tutti collaborino, secondo le proprie forze e la propria vocazione.
Dio benedirà e incoraggerà!
Avanti, in nomine Domini.
Il tema della giustizia è stato da Noi proposto alla riflessione e all'impegno del mondo, e in particolare della Chiesa, anche per la prossima Giornata della Pace, che sarà un richiamo a tutti gli individui e alle comunità a meditare insieme sul tema: « Se vuoi la pace, lavora per la giustizia ».
Una pace che vediamo tuttora qua e là profondamente turbata, e altrove minacciata: con grave preoccupazione per chi, come Noi, vede in essa « un bene essenziale e fondamentale per l'umanità in questo mondo »; per i più deboli e indifesi fra gli uomini, in particolare, che da tali turbamenti o minacce sono più che altri colpiti.
Una pace che Noi, per titolo del tutto speciale a Noi derivante dal Nostro ministero, siamo in dovere di tutelare o di ristabilire.
a) Il prolungarsi del conflitto nel Viet-Nam;
il suo allargarsi ad altre zone del Sud-Est asiatico;
il recente scoppio di ostilità fra l'India e il Pakistan con il suo seguito e i suoi strascichi di sangue e di sofferenze che Noi, nella modestia dei Nostri mezzi ma con tutta la ricchezza del Nostro cuore, ci siamo sforzati di prevenire e ci adoperiamo a lenire:
tutto ciò è fonte di pena e sorgente di angoscia per quanti nutrono sentimenti di umana fraternità verso quelle popolazioni, e sono pensosi, volgendo lo sguardo al più vasto campo del mondo, delle nuove tragedie che possono riservare all'umanità le passioni di parte e la insufficiente autorità degli organismi internazionali ad evitare e sanare situazioni di conflitto.
E impegna, tutto ciò, ad esaminare seriamente sino a qual punto moventi di più o meno palesi interessi particolari, politici od ideologici, abbiano - là, come altrove - il sopravvento sulle ragioni della giustizia e dell'equità internazionale, sulle quali, soltanto, è possibile basare un equilibrio che non sia appena frutto, amaro ed insicuro, di violenza o di sopraffazione.
b) Il Nostro pensiero va, qui, ad una regione d'Europa che è a Noi particolarmente cara: all'Irlanda del Nord, dove, anche in questa vigilia natalizia, sono andate susseguendosi luttuose manifestazioni di violenza, tanto contrastanti con il carattere cristiano di quelle popolazioni.
Nuovamente ricordiamo che non quella è la strada per la quale è lecito rivendicare il riconoscimento e il doveroso rispetto di diritti troppo a lungo conculcati; e che, d'altra parte, il rispondere a manifestazioni deplorevoli con la vendetta o con dura repressione è e può esser fonte di mali ancora maggiori, inasprendo e allargando i contrasti, in luogo di ristabilire un ordine civile.
La rappacificazione potrà essere frutto soltanto di uno sforzo saggio e volonteroso di tutte le parti, diretto ad eliminare le cause profonde d'un malessere, che non potrebbe essere occultato sotto le vesti di contrasti religiosi.
Il Nostro augurio paterno è che questa vicendevole buona volontà si manifesti, generosa ed efficace, faccia tacere il grido della violenza che chiama violenza ed intendere l'invito a quella pace civile e cristiana, che è propria del Natale.
c) Non abbiamo dimenticato, in questo contesto, il Medio Oriente, in particolare la Terra che a noi cristiani è caro chiamare Santa, e che in questi giorni ci è in tanti modi richiamata alla memoria: il Paese di Gesù.
Se è ragione di soddisfazione il notare che da un anno e mezzo il fragore delle armi tace quasi del tutto in quella zona del mondo, dà motivo a non ingiustificata trepidazione il timore che l'incerto armistizio possa improvvisamente venir a cessare, senza aver dato il frutto in vista del quale, principalmente, esso fu a suo tempo proposto e accettato: la ricerca volonterosa, cioè, di un accordo di pace, o almeno d'un solido inizio di intesa, mediante trattative leali, che tengano il dovuto conto dei diritti e dei legittimi interessi di tutte le parti; ponendo fra queste, al posto che loro compete, le popolazioni che le vicende degli ultimi decenni hanno costretto ad abbandonare le loro terre.
Dal canto Nostro, negli incontri avuti con responsabili di Nazioni interessate, non abbiamo mancato di incoraggiare insistentemente ogni nobile sforzo a favore del prolungamento della tregua e verso un intendimento giusto e onorevole.
Noi siamo convinti della urgente necessità di una soluzione pacifica e saggiamente equilibrata del nodo medio-orientale; soluzione che non potrà, certo, essere imposta ricorrendo ad altre guerre, o per mezzo di vittorie militari.
Per quel che riguarda, in particolare, Gerusalemme, non intendiamo ora aggiungere altre considerazioni a quelle che già ripetutamente abbiamo esposte in passato: confermando la necessità di uno speciale statuto, internazionalmente garantito, che renda giustizia al carattere pluralistico e del tutto speciale della Città Santa, e ai diritti delle varie Comunità che in essa hanno sede o che ad essa guardano e confluiscono come a loro centro spirituale.
d) Se la giustizia è base insostituibile della pace nei rapporti fra i Paesi e le varie comunità che in essi vivono, non meno necessaria essa si rivela per la tranquillità e la serenità della vita delle singole Nazioni.
Non pensiamo soltanto alla giustizia sociale, alla quale abbiamo fatto già cenno.
Non sarebbe, infatti, né giusto, né sufficiente limitare a tale aspetto l'esigenza di giustizia che comanda e condiziona la pacifica convivenza negli Stati e fra gli Stati.
Come passare sotto silenzio, da questa Cattedra di moralità e di pace che è la Sede di Pietro, gli attentati che contro i diritti e la dignità della persona umana si continuano a perpetrare in non pochi Paesi, i quali di tali diritti e di tale dignità pur proclamano solennemente il riconoscimento e il rispetto nelle loro Carte costituzionali e nelle Dichiarazioni o nei Trattati sottoscritti in qualità di membri della Comunità internazionale?
Come dimenticare, ad esempio, le restrizioni imposte all'esercizio dei diritti politici e gli abusi di potere - tanto spesso, benché il più delle volte unilateralmente lamentati, a seconda dei diversi interessi - da parte di pubbliche autorità contro individui e gruppi sociali, se pure con la motivazione della difesa dell'ordine costituito e della repressione o prevenzione di tentativi ad esso contrari?
E come dimenticare le limitazioni, ripetutamente denunciate, ai danni della libertà della cultura?
Né potremmo Noi, non meno per amore di giustizia e del rispetto dovuto ai diritti fondamentali dell'uomo che in considerazione del divino diritto della Chiesa, tacere qui delle ingiuste pressioni e repressioni che ancor oggi sono esercitate, in diverse regioni del mondo, contro la libera manifestazione della fede, la vita religiosa, la normale organizzazione e la benefica attività della Chiesa:
sino a togliere o a limitare ad essa la possibilità di insegnare, alla gioventù soprattutto, la Verità che illumina e salva la vita e che costituisce anche per la convivenza pacifica e civile un'incomparabile sorgente di principi e di energie morali, culturali e sociali.
Mentre, dunque, ancora una volta deploriamo tutte queste inique situazioni, e mentre manifestiamo la Nostra solidarietà con quanti ne sono le vittime, desideriamo mandare, in particolare, il Nostro affettuoso saluto a quelli fra i Nostri fratelli nell'episcopato e nella fede che tuttora soffrono in condizioni di oppressione o di illegale legalità, tanto facilmente coperte dal silenzio, dando insieme, alla cristianità ed al mondo, l'esempio di una fedeltà e di una forza d'animo, delle quali non possiamo non essere grati.
Per loro preghiamo e con loro auspichiamo l'avvento di giorni migliori.
E il Nostro augurio - che è augurio di vera, piena e stabile pace, solidamente fondata sulla giustizia: sincera e profonda, come il Natale la annuncia e la assicura - va a tutti gli uomini, tutti invitandoli a lavorare per essa; mentre ai figli della Chiesa chiediamo, in particolare, una conferma nella fede, una operosità fervorosa e concorde, una fiducia senza limiti nel Signore, che dia loro tenacia nella pazienza ed entusiasmo nell'azione.
Su di essi e sull'intera umanità scenda copiosa la benedizione dell'Altissimo, della quale vuol essere pegno quella che ora a voi impartiamo.