Ex quo primum |
30 Già ben sapete, venerabili Fratelli e diletti Figli, che due sono gli Introiti nella vostra Liturgia; uno Minore e l'altro Maggiore.
Il Minore è quello nel quale viene processionalmente portato il sacro testo del Vangelo; il Maggiore, quando i sacri doni, cioè il Pane e il Vino non ancora consacrati, dal piccolo Altare o Mensa ( che si chiama Prothesis, sulla quale sono stati preparati con una serie di Suppliche ) vengono portati al sacro Altare.
Nel secondo capitolo di questo Monito non si tratta dell'Introito Minore, ma del Maggiore, dove viene osservato questo Rito: che il Pane sulla Patena, coperto da un velo, venga portato in alto, sopra il capo o dal Diacono o dal Sacerdote; cioè dal Diacono, quando la Messa solenne è celebrata con l'assistenza e il ministero del Diacono ( che, allora, con la mano sinistra sostiene la Patena col Pane sopra la testa e con la destra incensa il Sacerdote, che porta con ambo le mani il Calice col Vino ).
Se poi il Sacerdote celebra senza Diacono, allora il Sacerdote viene incensato dal Lettore, mentre porta con la sinistra la Patena col Pane, alzandola sopra il capo, mentre con la destra porta il Calice del Vino sopra il petto.
A questo Introito Maggiore avviene che il popolo si inchina, o secondo il costume di certe Regioni, si prostra per terra fino a toccare il pavimento con la fronte, come se sotto le specie del Pane e del Vino, benché non siano ancora consacrati, fossero presenti e si contenessero il Corpo e il Sangue di Cristo.
"Il popolo, generalmente, in Grecia si inchina molto dimessamente, e non vuole inginocchiarsi, per non far vedere che imita i Latini, anche se non è Domenica.
In Russia invece si prostra, e con la fronte tocca la terra e prega e parla come se fosse presente in quella oblazione il Re del Cielo, e lo adora".
Le parole sono di Pietro Arcudio nella sua opera De concordia Ecclesiae Occidentalis et Orientalis.55
31 Cristiano Lupo nella parte terza delle sue Opere sui Concili i, edizione di Bruxelles, p. 760, descrive il rito dell'Introito Maggiore, quando il Patriarca o il Metropolitano celebrano la Messa.
Magri, nel Vocabolario Ecclesiastico, alla voce Prothesis descrive nei particolari gli atti dell'Imperatore davanti alla sacra assemblea nel giorno in cui assumeva la corona imperiale.
Goario56 espone accuratamente l'atto dell'Introito Maggiore.
Lo stesso viene compiuto dal Cardinale Bona, Rer. Liturgicar.57
Per la verità, ogni atto compiuto dai Greci in quella occasione, viene similmente effettuato dagli Armeni, dai Copti, dagli Etiopi e dai Siriani Giacobiti, come si può evincere presso Le Brun In explanatione Missae, tomo 3, presso Chardon In historia Sacramentorum58 e presso Renaudot In notis ad Liturgiam Cophtorum, tomo 1.
Del resto, anche in questa città di Roma, durante la festività di Sant'Atanasio, si vede che i Greci nella loro Chiesa compiono tutti gli atti che sopra abbiamo indicato.
"Ancor oggi i Greci nel giorno di festa si comportano nello stesso modo nella Basilica Romana di Sant'Atanasio" scrive Lupo nel passo citato.
32 Anche a voi, venerabili Fratelli, diletti Figli, è noto che, secondo il vostro Rito, nei giorni di Quaresima si può celebrare presso di voi soltanto la Messa dei Presantificati, salvo il sabato e la domenica e la festività dell'Annunciazione della Beata Vergine Maria, se coinciderà con la Quaresima, a norma del Codice Trullano LII che recita: "In tutti i giorni di digiuno quaresimale, salvo il sabato e la domenica e il santo giorno dell'Annunciazione, si celebri il Sacro Ministero dei Presantificati".
Ben sapete inoltre che il Sacerdote che celebra la Messa in Quaresima, nei giorni in cui è concessa tale facoltà, cioè il sabato e la domenica, consuma una sola Ostia consacrata e ripone una seconda consacrata e la divide in tante particole quanti sono i giorni successivi in cui si dovrà celebrare la Messa dei Presantificati, durante la quale comunica se stesso e gli altri eventuali fedeli con il Pane Eucaristico consacrato nei giorni precedenti.
Tale rito è esposto in modo corretto da Leone Allazio nei Prolegomeni a Gabriele Naudeo:59 "Ogni Sacerdote con le sue stesse dita enumera i giorni della settimana ventura in cui celebrerà la Messa; poscia spezza il Pane in tante particole quante sono le Messe che dovrà celebrare; consacra le particole insieme con quella che assumerà quel giorno, e quelle consacrate e intinte nel Sangue del Signore, come è costume, conserva nella Pisside; da questa poi, nelle funzioni successive e nel momento opportuno, estrae col cucchiaio una particola, lasciando le altre ad altro uso, e la ripone nella Patena e la consuma presso l'Altar Maggiore".
33 In tale occasione si procede con rito solenne attraverso la Chiesa, mentre il Diacono reca sopra il capo la sacra Pisside in cui è contenuto il Sacramento sotto le specie del Pane, e il Sacerdote regge con le mani il Calice con vino misto ad acqua, non ancora consacrato ma soltanto benedetto.
E poiché non sempre il Sacerdote celebra la Messa con l'assistenza del Diacono, se celebra da solo, egli stesso con la mano sinistra porta la Pisside sopra il capo mentre con la destra sostiene il Calice; e così procede dall'Altare Minore all'Altare Maggiore, come attesta Arcudio nell'Opera citata:60 "I Greci, nelle Presantificate Liturgie, prima di cominciare il Rito, sono soliti riporre il Sacramento contenuto nella Patena sopra un piccolo Altare di presentazione e versano il vino nel Calice senza alcuna preghiera.
Di poi, a metà della funzione sacra, il Sacerdote, se celebra da solo, solleva la Patena sul capo, prende il Calice con la mano destra e si trasferisce all'Altare Maggiore.
Se poi il Sacerdote celebra quel rito con l'assistenza di un Diacono, allora suole affidare la Patena con il Sacramento al Diacono, e questi la riceve innalzandola sul capo.
Egli stesso poi, portando con sé il Calice, esce e segue il Diacono".
Allora poi la folla dei fedeli non tralascia di piegare le ginocchia, di battersi il petto e, con altri appropriati gesti, di adorare il Pane consacrato, trasportato indifferentemente dal Sacerdote o dal Diacono, come abbiamo detto sopra.
In proposito ci si domanda come mai il popolo presti simile venerazione durante la funzione dell'Introito Maggiore, quando si portano per la Chiesa, nel rito della Supplica, il pane e il vino non ancora consacrati, ma che verranno consacrati in seguito.
Questo è il problema che ha sollevato difficoltà contro l'Introito Maggiore.
Nicola Cabasilas61 così scrisse: "Se vi sono taluni che si prosternano al suolo quando il Sacerdote entra con i doni, e adorano e invocano tali doni come fossero il Corpo e il Sangue di Cristo, ebbene costoro sono tratti in inganno dall'ingresso dei doni Presantificati, ignorando la differenza di questo e di quel Sacrificio.
Il primo, infatti, nel momento dell'Entrata, reca doni non ancora santificati e perfetti; il secondo invece li reca perfetti e santificati, in quanto Corpo e Sangue di Cristo".
Dopo di lui, Arcudio così prosegue nella stessa opera citata:62 "Pertanto il popolo, ignorando la distinzione tra l'una e l'altra Liturgia, si comporta allo stesso modo sia nel Rito ordinario, sia in quello Presantificato.
Perciò erra gravemente, poiché nella Presantificazione il Sacerdote reca nella Patena il vero Corpo di Cristo e giustamente il popolo si prosterna a terra in atto di adorazione; negli altri Sacrifici, quando si fa questa offerta prima della consacrazione, occorre che si comporti in modo molto differente".
Lo stesso Arcudio, nei successivi capitoli del medesimo libro, smentisce Gabriele, Arcivescovo di Filadelfia, che diffusamente aveva scritto per difendere un Rito siffatto.
Invece Goario, nel passo sopra citato, ritenne necessario, a difesa di quel Rito, proporre alcuni opportuni argomenti.
Nella più recente edizione dell'opera intitolata Perpetuitas Fidei Catholicae de Sacramento Eucharistiae, adversus Claudium vindicata,63 si legge che i Greci sono ben lontani dal non adorare il Sacramento dell'Eucaristia, ma desiderano piuttosto mostrare che intendono purificarsi, in modo di non andare oltre i limiti del giusto; né si comportano nei confronti del pane e del vino non ancora consacrati con gli stessi atti di adorazione con i quali li venerano dopo la consacrazione.
Il Padre Le Brun non esitò ad affermare che il Rito è di tale natura da meritare di essere in qualche modo riformato.
Tournefort64 quando riferisce di aver visto coi propri occhi che gli Armeni seguivano questo stesso rituale, ne parla con una certa indignazione.
Chardon, citato più sopra, riferisce in proposito gli scritti di Tournefort e di Padre Le Brun, ma lascia impregiudicato il nodo della questione.
Pertanto i Padri del Concilio di Zamoscia,65 non dubitarono di vietare che ci si genufletta o si chini il capo mentre il pane e il vino, non ancora consacrati, vengono trasferiti da un piccolo Altare ad uno maggiore.
"Il Sinodo proibisce di genuflettersi o di piegare il capo, mentre il pane del Sacrificio è trasferito dal minore all'Altare maggiore per la Consacrazione nel momento dell'Offertorio; ordina ai parroci di comunicare al popolo tale precetto, affinché non sia esposto al pericolo dell'idolatria".
Forse i Padri ebbero davanti agli occhi ciò che viene riportato nel Sacro Testo dei Re66 a proposito del Re di Giuda, Ezechia, che ruppe un serpente di bronzo fuso da Mosè poiché i figli d'Israele fino a quel giorno avevano bruciato incenso in suo onore.
34 Questi sono i passi che Noi ci compiacemmo di estrapolare dai libri degli Autori che trattarono di questo Rito.
Ora Noi indicheremo quali punti siano stati ravvisati e fissati sia nelle Congregazioni convocate sotto Urbano VIII, sia in quelle che ebbero luogo nei nostri tempi e i cui decreti Noi stessi successivamente approvammo.
35 Pertanto, in primo luogo fu saggiamente convenuto che abolire e proibire questo Rito dell'Introito Maggiore ( ciò che d'altronde avrebbe posto la falce alla radice, come si suol dire ) sarebbe apparso intollerabile alla Chiesa Greca e neppure conforme alle istituzioni della Chiesa Latina, la quale si preoccupò sempre di rispettare, per quanto possibile, i Riti Greci nella Chiesa Greca; e ciò con tanto più zelo, quanto più tale cerimonia è antica.
Quella solennità che in essa si conserva, fu interpretata per tradizione come riferimento al trionfale ingresso di Cristo, quando da Betania venne a Gerusalemme, come scrisse Germano, Patriarca di Costantinopoli, nel trattare tale materia: "Allora dunque una vasta folla e fanciulli ebrei innalzavano sensibilmente un inno come al Re e al vincitore della morte, e come Angeli con i Cherubini scioglievano spiritualmente un inno tre volte santo".
Soggiungevano poscia che l'Introito Minore significava l'umile avvento del Figlio di Dio in questo mondo.
36 In secondo luogo fu segnalato un discrimine tra ciò che si canta durante la traslazione dei Presantificati e ciò che il Clero canta nella Processione dell'Introito Maggiore.
In questo caso infatti si dice: "Stiamo per ricevere il Re dell'universo", le quali parole non indicano il Re presente, ma di lì a poco venturo.
Nell'altro caso, omesso l'inno Cherubico, si ripetono le seguenti parole: "Ecco consumato il Sacrificio Mistico" in modo che chiunque, anche dotato di modesta intelligenza, è in grado di cogliere la differenza tra l'uno e l'altro Rito : mentre nella traslazione dei Presantificati viene mostrato Gesù Cristo presente sotto le specie del Pane, invece nella cerimonia dell'Introito Maggiore lo stesso Signore non è indicato come presente sotto le specie del pane e del vino ma come prossimamente venturo, dopo che appunto il Sacerdote avrà pronunciato le parole della Consacrazione.
37 In terzo luogo si convenne che se i Greci esperti di sacre dottrine considerano dimostrato che non esistono ancora il Corpo e il Sangue del Signore, mentre procede il Maggiore Introito, gli stessi compresero ( e ciò non si può ignorare ) che il culto di latria è dovuto solo a Dio e nessuno potrebbe ragionevolmente supporre che essi abbiano in animo di manifestare il culto di latria verso specie non ancora consacrate con atti esteriori di venerazione durante l'ingresso delle offerte.
Considerato che le stesse manifestazioni di ossequio esteriore si è soliti esprimere talvolta verso il Creatore, talvolta invero verso le cose create ( come per esempio si legge nelle Sacre Scritture quando Abramo adorò gli Angeli, Giacobbe si prosternò non una sola volta al cospetto del fratello Esaù, e nello stesso modo si comportò il profeta Nathan davanti a Davide ), ne consegue che l'adorazione in forma di latria non consiste unicamente in atti esterni, ma soprattutto in un'intima commozione d'animo, dalla quale derivano siffatti comportamenti.
Inoltre, se i Greci nella Messa dei Presantificati con gli stessi atti esteriori accompagnano il Pane che è stato consacrato, e contemporaneamente il Vino contenuto nel Calice, non per questo si obietta che nella predetta Messa dei Presantificati adorano con pari culto di latria il Pane consacrato e il Vino soltanto benedetto; poiché le azioni estrinseche sono dirette dall'intimo sentimento dell'animo o da una diversa disposizione della mente, lo stesso atto comporta ora l'adorazione di latria, ora invece un significato di minore ossequio.
Da tutto ciò si evince a sufficienza che sebbene anche i Greci, mentre procede l'Introito Maggiore in cospetto del pane e del vino ( che sono condotti in processione non ancora consacrati ) manifestassero gli stessi atti esterni di adorazione che sono soliti compiere nei confronti del Pane Eucaristico e del Calice consacrato, non per questo si può affermare con diritto che essi adorino con culto di latria il pane comune e il vino non consacrato, quando tutto deve essere commisurato all'interiore sentimento, la cui forza è tale che può dirigere gli stessi atti esterni, dopo la consacrazione, a mostrare adorazione di latria verso il Pane Eucaristico e il Vino.
È da escludere che compiendo tali atti prima della Consacrazione, nel momento della solenne entrata dei Doni, si effettui culto di latria.
Su tale nostro argomento correttamente disserta Leone Allazio nel suo Tractatus de Missa Praesanctificatorum, n. 8: "Questo culto non si chiama latria, che è dovuta soltanto a Dio, ma è quello che la venerazione delle creature chiede con insistenza.
Un gesto di esteriore riverenza, lo scoprirsi il capo, il bacio delle mani, il piegarsi alla maniera dei supplicanti, il protendersi, l'elevarsi ed altri simili comportamenti, non escluso il cadere in ginocchio, il prosternarsi in terra non sono attribuibili solo all'adorazione di Dio, ma anche delle creature: né si commette errore purché con la mente distinguiamo Dio creatore dalla creatura, e la creatura più eminente da quella inferiore.
Pertanto attraverso i gesti esterni del corpo, il culto mostrato a Dio nell'adorarlo non è valutato come latria in base alla natura di quegli atti, ma in rapporto all'intenzione con cui essi sono compiuti, mentre sono indifferenti se considerati soltanto per la loro natura.
Infatti l'intima volontà e il proposito di ottenere per mezzo di questi atti esterni la benevolenza divina fa sì che siano materia di culto divino, al punto che per essi si esercita una esteriore adorazione di Dio, tributando un culto divino".
San Tommaso67 così insegna: "L'adorazione consiste soprattutto nell'interiore riverenza verso Dio; in secondo luogo, poi, in certe manifestazioni corporali di umiltà; quando ci genuflettiamo, mettiamo in evidenza la nostra fragilità in confronto con Dio; quando ci prosterniamo, confessiamo che noi siamo nullità per noi stessi".
Svolgendo questa dottrina, Silvio nel citato art. 2 aggiunge: "Insegna che l'adorazione consiste soprattutto nell'interiore ossequio a Dio, e in secondo luogo in alcuni atteggiamenti corporali.
Ciò è tanto vero che fra le manifestazioni corporali non vi è quasi alcuna deferenza o comportamento con cui possa essere espresso il culto, non soltanto verso Dio, ma anche verso la creatura: perciò la valutazione del culto esterno deve desumersi dall'intenzione di chi lo compie.
Infatti se il fedele è consapevole di onorare attraverso il culto, e ritiene conveniente che sia giusto onorare come sommo soltanto Dio, allora la sua devozione apparterrà al culto divino.
Se poi vi è l'intenzione di venerare qualcuno come eccellente creatura, amica di Dio, tale comportamento apparterrà al culto di dulìa o di iperdulìa.
Ho parlato a un dipresso: infatti non esiste alcun dubbio che il Sacrificio, anche quello esterno, può essere offerto solo a Dio".
Pertanto Silvio afferma che l'unico atto esteriore, che necessariamente introduce il culto di latria, è il Sacrificio esterno che per certo viene offerto al solo Dio, come anche dimostra diffusamente lo stesso San Tommaso.68
Perciò negli Atti degli Apostoli leggiamo che i Laodiceni, dopo aver proclamato dei Paolo e Barnaba, tosto pensarono di offrire loro un Sacrificio.
La stessa dottrina ci tramanda Suarez,69 come si evince dalle sue seguenti parole: "Gli atti esteriori non sono per se stessi così definiti per cui si possano compiere tanto per venerare Dio quanto per onorare una creatura.
Ne deriva che la distinzione tra latria dovuta al solo Dio, e l'adorazione della creatura, in questi atti esterni dipende soprattutto dalla disposizione interiore".
Tuttavia, poco più oltre Suarez prosegue che l'atto esterno assume il carattere di adorazione divina non solo per l'intima volontà di chi agisce, ma si può anche dire che lo acquista se a quell'atto esteriore viene attribuito un siffatto significato da colui che sia dotato di tale potere e autorità: " Bisogna tener conto, oltre che della intima intenzione, della pubblica denominazione.
Infatti se questi atti sono imposti con sufficiente autorità e potere per significare il culto di Dio, possono essere compiuti solo per il culto divino, e se tale culto verrà trasferito alle creature, si darà luogo all'idolatria, almeno esteriore, se non proverrà dall'animo né da falsa opinione".
Tuttavia questa dottrina non può coincidere con quella di cui ora ci occupiamo, poiché in nessun luogo si legge che per pubblica decisione si sia stabilito che quegli atti esteriori ( come sopra descritti e come compiuti dai Greci ) debbano essere considerati come atti o segni di latria nel momento in cui nella Chiesa procede l'Introito Maggiore.
38 In quarto luogo, infine, quando nella Congregazione che ha affrontato la correzione dell'Eucologio, nel giorno 5 settembre 1745 fu proposta la questione se si dovesse abolire o emendare il Rito dell'Introito Maggiore, del quale abbiamo parlato fino ad ora, dopo l'esame e la discussione di tutti gli argomenti, si decise finalmente che non si dovesse introdurre innovazione alcuna, e questa deliberazione fu subito confermata dalla Nostra approvazione.
Né certo diversa fu la sentenza delle Congregazioni che sotto Urbano VIII esaminarono questa stessa questione.
Incontrò favore tuttavia un parere suggerito con prudenza : invitare i Vescovi e coloro che hanno cura d'anime ( e dei quali questa è la riflessione ) di non smettere d'insegnare al popolo impreparato che mentre con Rito solenne sono trasferiti dalla Prothesis all'Altar Maggiore i sacri doni non ancora consacrati, in nessun modo esistono sotto le loro specie il Corpo e il Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo, in quanto essi saranno presenti dopo il compimento della Consacrazione.
Pertanto quegli atti esteriori, che vengono compiuti in segno di venerazione verso i predetti doni non ancora consacrati, non sono ispirati dal motivo di prestare il culto di latria dovuto al solo Dio, ma si manifestano sotto forma di culto esteriore, il cui oggetto è la futura transustanziazione degli stessi doni nel Corpo e nel Sangue del Signore.
Un metodo non dissimile adottarono i Padri del Concilio Tridentino quando si discusse sulla venerazione e sul culto delle Sacre Immagini; si decise appunto che, immutata restando in argomento l'antica disciplina della Chiesa, fosse compito dei Vescovi e di coloro cui è demendato l'incarico dell'insegnamento di informare il popolo cristiano circa le regole da praticare e da rispettare in relazione a tale culto, come si può desumere dal predetto Concilio.70
Per quanto riguarda più da vicino la nostra questione, Goario, nel passo più sopra citato, diede un parere analogo, cioè che non si doveva affatto abrogare il Rito dell'Introito Maggiore, ma, allo scopo di istruire il popolo con opportuni avvertimenti, "bisogna coltivare la fede di quel rustico popolo; non lasciare che si spenga la sua devozione o che sia represso il suo culto esteriore".
Similmente Padre Filippo di Carboneano71 così conclude: "Nulla vi è da rimproverare in ciò, ma resta solo il dovere di istruire quella gente incolta perché non veneri quei doni come Corpo e Sangue di Cristo".
Se terrete tale condotta, Venerabili Fratelli, diletti Figli ( e confidiamo che appunto così vi comporterete ) allontanerete da voi l'accusa che Arcudio72 rivolge ai Vescovi Greci del suo tempo, dicendo che il popolo allora si trovava immerso nella più totale ignoranza, ma che i Vescovi potevano facilmente, con appropriati insegnamenti, portare rimedio alla sua cecità, salvo che per rispetto umano non si fossero astenuti dall'adempiere un simile impegno: "Potrebbero, e dovrebbero, i Vescovi di Grecia, ammonire con zelo il popolo per trarne assieme grande profitto; ma poiché anch'essi sono afflitti dallo stesso morbo e cadono nello stesso errore per ignoranza, come se nessuno scorgesse la verità, i pochi temono i più, temono di perdere la gloria terrena e gli umani favori; temono che il loro nome sia disprezzato dal volgo come quello degli eretici; perciò essi, almeno nell'atteggiamento esterno, imitano egregiamente l'altrui errore e con rigoroso silenzio trascurano tutto e dissimulano; così i ciechi guidano i ciechi, e tutti finiscono per cadere in una fossa".
39 Inoltre il Sacerdote celebrante, indossati i paramenti sacri, prima che i sacri doni siano trasferiti dalla Mensa minore, o Prothesis, all'Altare Maggiore, si accosta a quella e divide in particole il pane da consacrare.
La parte maggiore viene offerta, come dovuto culto, a Dio Ottimo Massimo in memoria del nostro Salvatore Gesù Cristo.
Le restanti minori particole, che si chiamano merides, vengono similmente offerte a Dio Onnipotente, ma una di esse è offerta in onore della gloriosa Vergine Maria Madre di Dio; un'altra in onore di San Giovanni Battista, dei Santi Apostoli e degli altri Santi, i cui nomi vengono pronunciati dal Sacerdote; un'altra per la salvezza dei vivi, dei quali vengono ricordati i nomi; un'altra per i defunti, dei quali vengono parimenti citati i nomi; un'altra in onore del Santo di cui si celebra il giorno festivo.
È facoltà del Sacerdote, peraltro, offrire le rimanenti particole come speciale sacrificio a favore di colui o di coloro che egli stesso preferirà.
Che già fosse in vigore il Rito di questa divisione del pane in diverse parti, quale da Noi è stato descritto, è confermato dal Typicon dell'Imperatrice Irene, edito da Padre Montfaucon.73
Invero, se il Vescovo, o il Presbitero che assiste il primo celebrante, concelebra con altri Sacerdoti, e anche i Diaconi assistono come ministri nella funzione, non solo ogni Sacerdote, ma anche ciascun Diacono, offre un'unica Ostia maggiore e insieme le minori particole o merides.
Se alcune di queste rimangono inconsumate dal celebrante o dai celebranti, vengono distribuite ai presenti che chiedono di essere partecipi della Comunione Eucaristica.
Tutto ciò esattamente descrivono e narrano il Card. Bona,74 Arcudio75 e Goario.76
40 Tra i cattolici non esiste alcuna controversia circa il Rito dell'Ostia Maggiore e delle altre minori particole che sono chiamate merides.
Quando infatti fu proposta tale questione nel Sinodo Ecumenico di Firenze, fu annotato negli Atti che l'Arcivescovo di Mitilene aveva accolto le proposte argomentazioni nel loro insieme.
Sebbene non sia stato riferito in quella sede il tenore delle risposte dell'Arcivescovo, tuttavia si deve ritenere ch'egli abbia accolto le domande, dimostrando la vetustà di quel Rito, praticato per molti secoli nella Chiesa Orientale, del quale il messaggio è questo: indicare i diversi fini per i quali si offre il Sacrificio.
"Penso abbia detto che questa è antica consuetudine della Chiesa Orientale, e che quella Chiesa se ne vale per dichiarare i vari fini del Sacrificio": sono le testuali parole di Arcudio.77
Perciò dicemmo che non esiste alcuna controversia tra i cattolici circa questo Rito; risulta infatti che, tra gli scismatici, Simone, Arcivescovo di Tessalonica, nel suo trattato De Sacramentis si sia mostrato dubbioso circa la consacrazione delle particole.
Ma ciascuno può intuire quanto fosse irrazionale il dubbio di costui.
Infatti, quando il Sacerdote presso il sacro Altare pronuncia la formula della Consacrazione sia sopra la maggiore porzione, sia sopra le particole minori; e quando la sua intenzione sia diretta alla regolare consacrazione di tutte, e quando la materia di esse sia idonea alla mutazione sacramentale, se la porzione maggiore riceve la consacrazione, certamente è necessario che siano consacrate anche le particole minori le quali, come già abbiamo detto, si chiamano merides.
41 È sorta una controversia tra i cattolici circa l'Offerta fatta dai Diaconi, cui sopra accennammo.
Arcudio78 ritiene sia da dimostrare che quel Rito non è affatto consentito ai Diaconi, a rigore dei Sacri Canoni.
Goario79 afferma che l'Offerta Diaconale, nella grande Chiesa di Costantinopoli, non è stata praticamente accolta.
Né mancarono coloro che sostennero l'obbligo di espungere dall'Eucologio le parole che riguardano l'Offerta Diaconale, in quanto introdotta dagli Scismatici.
Al contrario, il Card. Bona80 osserva che nessun Canone si oppone a tale Rito, mentre i Sacri Canoni escludono l'Offerta che il Diacono presumesse di poter fare davanti al Sacro Altare, ma non quella ch'egli fa davanti alla Prothesis, in quanto essa non è altro che la preparazione all'offerta che il Sacerdote deve fare sul Sacro Altare.
Inoltre lo stesso Cardinale dimostra che è antico il Rito dell'Offerta Diaconale, da molti secoli praticato nella Chiesa Greca.
Si discusse anche di questo argomento nel Concilio di Firenze, e dai Padri colà riuniti fu espressa soddisfazione per le risposte date all'Arcivescovo di Mitilene.
Analogamente Berlendis, tra le funzioni dei Diaconi ammette il rito dell'Offerta alla Prothesis, mentre interdice agli stessi il diritto di offrire all'Altare, che compete ai soli Sacerdoti: "Quella facoltà di offrire attribuita al Diacono riguarda la prima offerta delle Particole, mentre ancora si trovano sulla mensa chiamata Prothesis; non riguarda invece le altre due offerte che sono fatte dal Sacerdote durante la Liturgia".82
42 Sant'Ambrogio, esaltando la virtù di San Lorenzo che, essendo Diacono, desiderava essere condotto al martirio insieme con il Santo Pontefice Sisto, così lo fa parlare: "Vedi se hai scelto un Ministro idoneo a cui affidare la somministrazione del Sangue del Signore".
Sappiamo anche che non pochi Codici, invece della parola "somministrazione" ne usano un'altra: "consacrazione".
Ma "consacrazione" in questo caso non significa altro che il ministero, ossia l'assistenza prestata al Sacerdote consacrante: "A noi Diaconi è affidata la consacrazione di quell'Ostia salutare, non per condurla a termine ma per assistere umilmente coloro che la condurranno a termine" dice Pietro Blesense nella sua Epistola 123.
Non è dissimile la spiegazione di Pietro Cantore presso Menardo.83
Ai Suddiaconi infatti fu sempre vietato somministrare l'Eucaristia al popolo, sia sotto la specie del Pane, sia del Vino, conforme al Canone di Laodicea XXV, e alle relative note di Balsamone, di Zonara e di Aristeno, come ci è dato leggere in Beveregio.84
Non è così per i Diaconi, ai quali un tempo era specialmente demandata la sola somministrazione del Sangue del Signore: somministrazione che poi fu loro sottratta per il manifestarsi di taluni abusi; così dimostra Cotelerio in Constitutiones quae Apostolicae dicuntur.85
43 Invero, già nelle Congregazioni svoltesi sia sotto Urbano VIII, sia in questi nostri tempi, per nulla fu trascurato l'esame della questione proposta, se cioè fosse da sopprimere l'Offerta che i Diaconi facevano presso la Prothesis.
Nella Congregazione che ebbe luogo il 3 gennaio 1745 fu scritto ( e Noi successivamente approvammo ) che "nulla doveva essere innovato".
Parvero infatti più valide e salde le ragioni favorevoli al Rito sostenute dal Cardinale Bona, di quelle messe insieme da Arcudio per respingere lo stesso Rito.
Pertanto, nella nuova edizione dell'Eucologio è stato lasciato intatto il Rito dell'Offerta Diaconale; conviene che di essa non si faccia menzione alcuna in quel capitolo del secondo Monito che fin qui abbiamo trattato.
Noi tuttavia a questo punto dobbiamo aggiungere un cenno sulla questione, sia perché è la sola, fra le sacre azioni che si compiono presso la Prothesis e che furono oggetto del precedente discorso; sia perché non ci lasciamo sfuggire occasione alcuna, venerabili Fratelli, diletti Figli, per rendere a voi insistente testimonianza che in nessun modo la Chiesa Romana è ostile ai vostri Riti, ché anzi essa, secondo le proprie forze, si comporta in modo che siano rispettati coloro che non compiono alcun errore né atti sconvenienti.
44 Ora si propone il terzo Monito, che consta di due parti ed è concepito nei seguenti termini: "I Sacerdoti devono inoltre ricordare che il Sacramento dell'Olio Santo, chiamato Euchelaeon, fu istituito da Cristo come un farmaco celeste non solo per la salute dell'anima ma anche del corpo; deve perciò essere somministrato soltanto agli infermi e non alle persone sane, e nel momento in cui gli ammalati sono consapevoli e padroni di se stessi; siano unti con l'Olio Santo, al fine di ricevere il maggior beneficio dal Sacramento, coloro che gli si accostano con fede e con devota volontà.
Inoltre, sebbene i Vescovi della Chiesa Orientale nel preparare la Sacra Unzione siano soliti usare diversi aromi, bisogna sapere che gli ingredienti necessari al Sacramento sono l'olio e il balsamo, ai quali si mescolano correttamente altre specie d'aromi ( secondo un'antica usanza della Chiesa Orientale ) purché compatibili con le prescrizioni.
E invero, anche se mancano alcuni aromi non necessari al Sacro Unguento, purché siano presenti l'olio e il balsamo, il Santo Unguento risulta ugualmente preparato secondo il Rito".
Indice |
55 | Lib. 3, cap. 19 |
56 | In Notis ad Liturgiam Sancti Ioannis Chrysostomi, n. 110 |
57 | Lib. 2, cap. 9, n. 4 |
58 | Tomo 2, cap. 2 |
59 | De Missa Praesanctificatorum, p. 1531, n. 1 |
60 | Lib. 3, cap. 58 |
61 | In expositione Liturgiae, cap. 24 |
62 | Lib. 3, cap. 19 |
63 | p. 68 |
64 | Tomo 2, p. 411 e ss. |
65 | Tenuto nell'anno 1720, nel decreto De celebratione Missarum, § 4 |
66 | Lib. 4, cap. 18 |
67 | 2.2, quest. 84, art. 2, in Respons. ad secundum |
68 | 2. 2, quest. 85, art. 2 |
69 | In part. 3, Divi Thomae, tomo I, quest. 25, art. 2, disput. 61, sez. 4 |
70 | Sess. 25, Decretum de invocatione et veneratione et reliquiis Sanctorum et Sacris Imaginibus |
71 | In: Appendice ad Tract. P. Antoine, De Eucharistia, § 3 |
72 | De concordia, lib. 3, cap. 19 |
73 | Tomo I, Analect. Graecor., cap. 34 |
74 | Rer. Liturgicar., lib. 2, cap. I, n. 7 |
75 | Lib. 3, De concordia, cap. 9 |
76 | Ad Rituale Graecorum in notis ad Liturgiam Sancti Johannis Chrisost., p. 98 e ss. |
77 | Predetto lib. 3, cap. 9 |
78 | Lib. 3, cap. 17 |
79 | Ad Euchologium, p. 72 |
80 | Rer. Liturgic., lib. 2, cap. 1, n. 7 |
82 | Tractatus de oblationibus, stampato a Venezia nel 1743, § 5, p. 143 |
83 | In notis et observationibus ad librum Sacramentorum S. Gregorii, p. 287 |
84 | Tomo I, p. 464 |
85 | Tomo 1, cap. 13, lib. 8 |